Iraniani in Italia: lo strano caso dei conti chiusi
di Marina Forti (*)
Fariba Karimi ha capito che qualcosa non andava quando la cassa di un supermercato ha rifiutato la sua carta bancomat. “Ho pensato che fosse un difetto momentaneo della rete, ma è successo lo stesso in un altro negozio” spiega. “Poi ho visto che non potevo entrare nel mio home banking. Ho chiamato la filiale della banca Ing dove avevo il conto corrente, ma non rispondevano: erano i primi giorni della pandemia, marzo 2020, una voce diceva di chiamare l’ufficio centrale a Milano”. All’ennesima telefonata, Karimi ha scoperto che il suo conto corrente era stato chiuso, ma nessuno aveva saputo dirle un motivo preciso. “Eravamo in pieno lockdown e d’improvviso non potevo né ritirare contanti né pagare la spesa”.
Perché? Karimi continua a chiederselo. “Vivo in Italia da poco più di dieci anni” spiega. Ha studiato all’accademia di Belle Arti a Roma; è titolare di un permesso di soggiorno illimitato, ha un lavoro. Aveva aperto quel conto corrente sette anni fa: “Pago le tasse e non ho mai fatto nulla di irregolare”. Insomma: non c’era un motivo apparente per quel conto chiuso d’autorità, senza neppure un preavviso (una lettera formale le è arrivata un mese dopo). “Mi sono sentita trattata come uno zero” dice “e solo perché sono iraniana”.
Il suo non è un caso isolato. Secondo l’Istat i cittadini iraniani residenti in Italia sono poco più di dodicimila. Negli ultimi due o tre anni molti di loro si sono visti chiudere i conti correnti bancari. Tra le comunità straniere la loro è una delle più piccole ma anche una delle più benestanti e inserite. Ci sono studenti, professionisti, artisti, commercianti, imprenditori, residenti di vecchissima data e nuove generazioni di studenti universitari. E c’è chi dopo gli studi ha deciso di restare. Come Mahsa Razavi, che nel 2009 ha cominciato la specializzazione all’accademia di Belle Arti a Roma: “Durante i corsi avevo partecipato a un simposio sulla scultura con il travertino e poi ho fatto il tirocinio lavorando al restauro delle statue del Bernini e della sua scuola in piazza San Pietro” ricorda. In seguito ha continuato con il restauro, e allo stesso tempo lavora alle proprie creazioni. “Abito qui da dodici anni. Ho un lavoro, pago le tasse. Mi sento quasi italiana. Poi un giorno, alla fine del 2020, mi arriva una lettera dalla UniCredit che annuncia la chiusura del mio conto corrente. Il direttore della filiale sembrava dispiaciuto, ma erano ordini dall’alto”.
Le non risposte delle banche
Qualcosa di simile è capitato anche Shahrzad Baradaran, che ha studiato architettura e si è specializzata in disegno di interni ed esterni. “Ho il permesso di soggiorno illimitato, lavoro, fatturo. Dieci anni fa avevo aperto un conto corrente a banca Intesa; su quel conto ricevevo i compensi e pagavo le mie tasse all’agenzia delle entrate. Poi nell’ottobre 2019, senza nessuna spiegazione, l’hanno chiuso”.
Le storie si somigliano, le banche coinvolte sono diverse. Ogni singolo caso può dipendere da circostanze personali, ma quando i casi sono decine, o centinaia, diventa una questione collettiva: per quale motivo alcune banche chiudono unilateralmente i conti correnti intestati a cittadini iraniani residenti in Italia? “All’inizio va tutto bene. Poi, quando sentono nominare la nazionalità iraniana, si blocca tutto” osserva Mahsa Razavi: “È una discriminazione”.
Discriminazione? La Ing nega. La banca “non discrimina in base alle nazionalità o alla provenienza geografica, né in base ad altri criteri quali razza, religione o altro” risponde Silvia Colombo, responsabile delle relazioni pubbliche dell’istituto in Italia. La chiusura unilaterale, precisa in un messaggio scritto, rientra nella “normale prassi di una banca prevista dall’articolo dieci – sezione I del contratto unico che regola il rapporto di conto corrente”.
Molte delle testimonianze raccolte per questo articolo riguardano proprio la Ing, banca olandese che ha cominciato a operare in Italia nel decennio scorso. “Nel 2012 cercavano nuovi clienti e offrivano facilitazioni mirate agli stranieri residenti” ricorda Rouzbeh Rafie. Allora era uno studente arrivato da poco in Italia. Aveva aperto un conto e poi, nell’autunno 2017, la solita storia: “La carta bancomat mi era stata bloccata. La mia filiale non ne sapeva nulla e me ne ha dato una nuova, ma dopo due giorni era di nuovo bloccata. Infine l’ufficio centrale ha detto che una banca può chiudere un conto quando vuole e non è tenuta a dare spiegazioni”. Nello stesso periodo sul forum dei clienti della Ing molti raccontavano storie simili.
Le banche consultate per questo articolo si appellano alla riservatezza, alla norma che permette di chiudere un conto senza dare spiegazioni, e alle “normative vigenti”. Esistono normative riguardo ai cittadini iraniani residenti? Interpellato a riguardo, l’ufficio stampa della Banca d’Italia non ha mai risposto.
Il dirigente di una banca, in via ufficiosa, parla di norme antiriciclaggio: ogni istituto di credito è tenuto a verificare che i propri correntisti non abbiano transazioni “a rischio”, e la Repubblica Islamica dell’Iran è elencata dalla Commissione europea tra i Paesi che hanno “deficienze strategiche” nel sistema di controlli sul riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali o sul finanziamento del terrorismo internazionale.
Questo non impedisce a un cittadino iraniano residente in Europa di aprire un conto corrente, ma ogni sua operazione sarà soggetta a controlli molto approfonditi. L’ufficio relazioni pubbliche di UniCredit ad esempio mi dice che “la banca può mantenere relazioni e aprire conti per cittadini iraniani residenti in Italia, ciononostante prodotti denominati in dollari Usa sono limitati e non vengono in questo caso offerti”.
Un’ipotesi
Neppure questo dunque spiega perché un cittadino iraniano residente in Italia debba vivere nel timore che il suo conto venga chiuso da un giorno all’altro. Meglio allora allargare lo sguardo. Rouzbeh Rafie osserva che quando la Ing ha bloccato il suo conto corrente, negli Stati Uniti era da pochi mesi insediato il presidente Donald Trump, che minacciava nuove sanzioni all’Iran. I bancomat bloccati in Italia sono una conseguenza delle sanzioni?
“Nessuna banca lo ammetterà mai, perché sarebbe una violazione delle norme di legge” osserva l’avvocato Dario Gorji, esperto di diritto commerciale internazionale e in particolare del regime di sanzioni che riguarda l’Iran. Lui però è convinto che alla base dell’avversione delle grandi banche europee per i correntisti iraniani ci siano proprio le sanzioni decretate dall’amministrazione statunitense. Riassume: nel 2015 cinque potenze mondiali e l’Iran hanno firmato l’accordo sulle attività nucleari iraniane; il Joint comprehensive plan of action è entrato in vigore nei primi mesi del 2016. Tutte le sanzioni economiche decretate in precedenza dalle Nazioni unite sono allora cadute, e anche quelle dell’Unione europea. Non quelle degli Stati Uniti, che però secondo gli accordi hanno abrogato le “sanzioni secondarie” o extraterritoriali: cioè quelle con cui Washington colpisce imprese o banche di Paesi terzi che hanno relazioni d’affari con l’Iran. È stato un momento di grandi aperture nelle relazioni tra l’Iran e il mondo, lo testimoniano le numerose delegazioni commerciali che sbarcavano a Teheran a caccia di investimenti.
“Poi nel gennaio 2017 a Washington si è insediato Trump e la scena è cambiata” continua l’avvocato Gorji. Nel maggio 2018 gli Stati Uniti sono usciti dall’accordo sul nucleare, lasciando sconcertati gli altri firmatari. L’amministrazione statunitense ha subito rilanciato le “sanzioni secondarie”. Nel giro di poche settimane le imprese europee che avevano progetti in Iran si sono tirate indietro. “Gli Stati Uniti sono stati molto aggressivi nel minacciare multe” spiega l’avvocato. Un paradosso: i Paesi europei, Italia compresa, non applicano sanzioni all’Iran; al contrario affermano di voler mantenere aperti i canali commerciali e hanno varato un meccanismo per garantire le transazioni (si chiama Instex). L’Unione europea ha perfino attivato la norma detta “regolamento di blocco” che vieta a soggetti europei di rispettare le sanzioni statunitensi. Ma imprese e banche si tengono alla larga: il rischio di perdere l’accesso al mercato statunitense o di essere multati da Washington è “un deterrente fortissimo”.
L’avvocato Gorji è convinto che le remore delle banche europee verso i correntisti iraniani siano dovute proprio a questo. I grandi istituti non avevano normalizzato i rapporti con quelle iraniane neppure dopo l’apertura seguita alla firma dell’accordo sul nucleare: restavano questioni legate alle norme antiriciclaggio. In seguito le banche iraniane sono state escluse dal sistema Swift, il meccanismo digitale di garanzia dei trasferimenti bancari (e su cui gli Stati Uniti esercitano un forte controllo).
Tutto ciò non dovrebbe riguardare gli iraniani residenti in un Paese europeo. “Ma a partire dal 2018 diverse banche hanno mandato lettere ai loro clienti per annunciare la chiusura dei conti” dice Gorji. “Centinaia di conti correnti sono stati chiusi senza un motivo plausibile in Italia, in Spagna, nel Regno Unito”. È chiaro che gli istituti di credito, soprattutto se hanno una presenza internazionale, preferiscono non rischiare: “Con un cliente di nazionalità iraniana sono tenuti a fare controlli approfonditi su ogni transazione. Piuttosto rinunciano ai piccoli correntisti”. Tuttavia, “in quelle lettere non è mai indicata una motivazione precisa; soprattutto non compare mai la parola sanzioni, che permetterebbe di impugnare il provvedimento”.
Non è del tutto vero che una banca non è tenuta a dare spiegazioni. Ci si potrebbe appellare all’arbitro bancario, l’organismo indipendente che può mediare nelle controversie fra correntisti e istituti di credito. Ma un piccolo correntista, piuttosto che perdere tempo e soldi in ricorsi, desiste.
(*) ripreso da www.internazionale.it
Praticamente siamo colonizzati da un sistema finanziario, si dovrebbe far partire un’azione legale collettiva