Irlanda: la scrittura come resistenza

Recensione a  Scritti dal carcere. Poesie e prose di Bobby Sands, curato da Riccardo Michelucci ed Enrico Terrinoni, per le Edizioni Paginauno. Fu grazie ai testi fatti uscire ingegnosamente dal carcere che il mondo venne a conoscenza delle torture della Gran Bretagna nei confronti dei prigionieri politici irlandesi.

di David Lifodi

Scritti dal carcere. Poesie e prose racconta l’inferno nel “civile” vecchio continente. I centri di detenzione clandestini nell’Argentina di Videla o lo stadio di Santiago del Cile sono poco diversi dai Blocchi H del carcere inglese The Maze, a Belfast, dove Bobby Sands è stato rinchiuso fino alla morte, avvenuta il 5 maggio 1981, al termine di un drammatico sciopero della fame.

Riproposti grazie alle Edizioni Paginauno, i testi di Bobby Sands rappresentano tuttora un durissimo atto d’accusa verso il governo inglese. Per la morte di Sands e degli altri numerosi reclusi nei Blocchi H, la Gran Bretagna non ha mai chiesto scusa.

Leggendo le poesie e gli scritti del giovane militante dell’Ira, l’immagine che resta in mente è quella descritta da Riccardo Michelucci nella sua introduzione al libro: «Un giovane uomo avvolto in una coperta passeggia lentamente, a piedi nudi, nei pochi metri quadrati della sua cella, cercando di scansare i vermi e gli escrementi ammucchiati negli angoli del pavimenti reso scivoloso dall’urina».

Così denominati perché ciascun braccio aveva la forma di un’acca, i Blocchi H servivano per spersonalizzare i prigionieri politici e delegittimarne la protesta. Lì, in condizioni disumane, scrivendo su pezzetti di carta igienica e cartine di sigarette piccolissime che riuscivano, grazie a metodi assai ingegnose, a far uscire fuori dal carcere-campo di concentramento, Bobby Sands e i suoi compagni fecero conoscere al mondo la loro condizione di reclusi. Etichettati con un numero, per Sands il 1066, al pari dei lager nazisti, i prigionieri politici vengono sottoposti alle quotidiane angherie dei secondini e spesso il presagio della morte si affaccia tra i pensieri del prigioniero politico più conosciuto della questione irlandese. Viene da pensare: cosa racconteranno i secondini alle loro famiglie o ai loro figli, quando torneranno a casa?

Nonostante una situazione psicologica difficilissima, tra gli scritti di Bobby Sands emergono delle analisi politiche lucidissime sui diritti dei prigionieri politici irlandesi, sulla resistenza dei popoli oppressi, sulla denuncia delle organizzazioni neofasciste britanniche, ma anche sulla rivolta di Dublino del 1916. Al tempo stesso, va sottolineato che i test di Sands non sono soltanto politici, poiché, come scrisse lui stesso in La finestra della mia mente, «Quando passi la giornata nudo e rannicchiato nell’angolo di una cella che sembra un porcile… è per la salvezza del tuo equilibrio mentale che devi alzarti e osservare il mondo fuori della finestra». Per questo motivo, Bobby Sands è convinto che i suoi aguzzini non possano comunque chiudere la finestra della sua mente, per questo lui e i suoi compagni cercano di non farsi demoralizzare nella costruzione di una repubblica socialista irlandese.

Eppure, anche poche ore dopo la sua morte, il governo inglese cercò di delegittimare la protesta di Bobby Sands, annunciando nel suo comunicato che “si era tolto la vita”, spacciando per una vittoria politica la conclusione dello sciopero della fame che, al contrario, nei mesi successivi, vedrà morire altri prigionieri politici che seguirono questa forma di estrema protesta di Bobby Sands. Il mostro contro il quale aveva combattuto Sands, quello che quotidianamente gli diceva “arrenditi!”, nel tentativo di far ammettere al prigioniero politico la sua sconfitta, non era riuscito nel suo scopo. A farlo andare avanti, giorno dopo giorno, fu la scrittura, sua compagna inseparabile.

Fatto passare come un criminale di fronte all’opinione pubblica dalla Gran Bretagna, in realtà Bobby Sands, come i suoi compagni, non è un uomo che desidera la guerra e teme che un giorno gli inglesi raccoglieranno i frutti che hanno seminato, quell’odio che sarà tramandato di padre in figlio a causa del tentativo di dominare e schiacciare la resistenza irlandese.

Nella sua postfazione Enrico Terrinoni cita Joe McDonnel, compagno di carcere di Bobby Sands che alcuni mesi dopo farà la sua stessa fine: «Osate chiamarci terrorista. E lo fate puntandoci il fucile. E penso a tutto quel che avete fatto voi: saccheggiato molte nazioni, diviso tante terre, terrorizzato la mia gente, governato col pugno di ferro. E ora siete voi qui a portare il terrore alla mia di terra».

Ancora oggi, le ragioni della protesta di Bobby Sands e dei suo compagni continuano a vivere in tutti coloro che credono nella libertà, come avvenne anche quel 9 aprile 1981, a meno di un mese prima della sua morte, quando fu eletto, da carcerato, al Parlamento di Westminster: un ulteriore schiaffo all’oppressione inglese.

Scritti dal carcere. Poesie e prose

di Bobby Sands

a cura di Riccardo Michelucci ed Enrico Terrinoni

Edizioni Paginauno – 2020

Pagg. 258,  18

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *