Islam e gay: un dossier

1) notizie da Parigi 2) prime reazioni 3) un libro importante 4) due chiacchiere con Jolanda Guardi e Anna Vanzan 5) e i cattolici italiani invece?  

1.

Ieri, 30 novembre, ha aperto i battenti a Parigi (o meglio nel sobborgo di Sevres) una moschea per gay, su iniziativa di Ludovic Mohamed Zahed, 35enne francese di origine algerina. Zahed è stato studente di antropologia e psicologia, ha fondato due ong che si occupano di omosessualità e lotta all’Aids ed è autore del libro «Le Coran et la chair» («Il Corano e la carne») nel quale ripercorre il suo cammino spirituale come musulmano gay.

«Guardian» dà la notizia ampiamente. Qui sotto una mia sintesi: per inciso, evviva il traduttore automatico che mi ha aiutato in questa impresa.

«Non voglio che la gente pensi sia una miscela impossibile. Questi diversi aspetti dell’identità sono compatibili. Oggi in Francia, gli adolescenti gay hanno quasi 15 volte più probabilità di uccidersi a causa del diffuso rifiuto sociale sul loro orientamento sessuale. Sono profondamente ferito per questo e nel 2010 ho deciso di creare un’associazione a sostegno dei gay musulmani di Francia. Ciò mi ha portato a progettare una moschea inclusiva a Parigi, la prima del suo genere. L’idea mi è venuta dopo un lungo viaggio personale. Da adolescente, la mia rappresentazione dell’Islam era radicale. (Zahed era vicino ai salafiti. precisa in un’intervista al quotidiano turco «Hurriyet», ma se ne è allontanato dopo aver visto che compivano atti terroristici). Da piccolo ho imparato metà del Corano a memoria. Sono rimasto incantato dalla bellezza dei testi, ricchi di universalismo. A 17 anni sono venuto a patti con il fatto che ero gay. Adesso, dopo 15 anni di riflessione, capisco che il Corano non fa esplicito riferimento all’omosessualità, né alle donne come inferiori. In effetti l’interpretazione restrittiva e dogmatica di alcuni versetti del Corano non è più unanime, soprattutto agli occhi dei musulmani progressisti di tutto il mondo (anche se restiamo, per il momento, una minoranza). Ora voglio condividere il mio amore e la ricerca di una via pacifica spirituale con tante altre persone. Per questo voglio aprire un luogo di culto in cui le persone saranno sempre accolte come fratelli e sorelle, qualunque sia il loro orientamento sessuale o etnico. Il mio progetto è sostenuto da uomini, donne, trans e anche padri che non vogliono lasciare in eredità solo un Islam intollerante. Il mio piano non prevede di celebrare i matrimoni gay. I musulmani considerano il matrimonio come un contratto sociale fra due individui consenzienti, da stabilire di fronte ad almeno due testimoni, e celebrato davanti alla loro comunità. Le preghiere dell’imam funzionano solo per chiamare i partecipanti a benedire la felicità e a sigillare un contratto fra due zawjan, una parola araba che significa “coniuge”. A differenza della Chiesa cattolica, a esempio, che continua a decidere unilateralmente chi può o non può sposarsi, i musulmani non considerano il matrimonio un sacramento. Questo progetto dà speranza a tanti credenti della mia comunità. La preghiera comune, praticata in ambiente egualitario e senza alcuna forma di discriminazione basata sul genere, è uno dei pilastri a sostegno delle proposte di riforma della nostra rappresentazione progressiva dell’Islam. In Nord America, i progressisti musulmani sono spesso assistiti da congregazioni cristiane o da associazioni private, che consentono di utilizzare una parte dei loro locali per la preghiera del venerdì. A Parigi per il momento possiamo beneficiare del supporto di un bellissimo tempio buddista zen nella parte orientale di Parigi, ma siamo alla ricerca d’una soluzione più praticabile nel lungo periodo: un luogo più centrale per accogliere il maggior numero possibile di fedeli. Guardare il femminismo e l’omosessualità all’interno dell’Islam significa che possiamo capire meglio la nostra relazione con l’autorità religiosa, mettere in discussione il dogma istituzionale e, per estensione, meditare sulla libertà di definire la nostra identità, senza concessioni, compromessi o sottomissioni».

2.

I media italiani per ora non si sono granché appassionati a questa notizia (al contrario il quotidiano turco «Hurriyet» ha intervistato Zahed).

In rete invece se ne discute. La notizia rimbalza anche su alcuni siti in italiano che fanno riferimento all’Islam. A esempio su «BladiBella.Com» (servizio di notizie per marocchini) viene riassunta così.

«Sarà Ludovic Mohamed Zahed, 35enne francese di origine algerina, già balzato agli onori della cronaca per aver contratto, a marzo di quest’anno, un matrimonio omosessuale con cerimonia islamica, ad inaugurare la prima moschea per gay a Parigi, il prossimo 30 novembre. L’iniziativa è destinata a creare non poche polemiche nel mondo islamico, anche in virtù del fatto che Zahed ed il suo consorte hanno già ricevuto molte minacce per la scelta di sposarsi. Ma Zahed non ci sta e si sfoga così sul quotidiano turco “Hurriyet”: “Le donne nelle moschee si coprono con il hijab e siedono dietro agli uomini. Noi abbiamo paura di essere molestati, sia verbalmente che fisicamente e per questo dopo il mio rientro dal pellegrinaggio ho deciso di aprire una moschea dove solo gli omosessuali possono pregare”. La notizia ha avuto molta risonanza anche in Italia e sulla questione è intervenuto Yasin Gentile, imam della Moschea di Piazza Mercato a Napoli: “Nel Corano si legge che l’uomo si lega alla donna e va ad abitare presso di lei e si racconta che Abramo rimproverò alcuni uomini attratti dalla bellezza degli angeli. Inoltre si definisce come atto di peccato l’unione tra due persone dello stesso sesso, su questo punto c’è concordia tra le religioni monoteiste”».

Subito sotto – intendo sui su «BladiBella.Com» – alcuni commenti negativi come questo, a firma Fatima Morchid che riproduco integralmente: «negli ultimi tempi si leggono notizie di tutti i colori ma questa ha superato i limiti della vita stessa. ha sconfinati i cosi detti parametri… diffondere gia una notizia cosi è di per se un atto di pubblicita perche è cio che vogliono loro.. far discutere e parlare su vittimismo dei gay… io personalmente non condanno non giudico nessuna scelta di ogni individuo ma di certo non condivido qualsiasi atto o pensiero che va contro quello che DIO ha stabilito per noi …percio questa è una notizia che non va ne insultata come ho visto alcuni fare nei commenti ma bisogna solo pregare che dio fermi tutto cio e che la sua misericordia possa passare nei cuori di questi persone».

3.

Per una fortunata coincidenza è uscito da poco in Italia un libro che può aiutarci a capir meglio di cosa si sta parlando. Evitando il solito schieramento di entusiasti e indignati… entrambi disinformati e a prescindere dai fatti. Si chiama «Che genere di Islam» – con il sottotitolo «Omosessuali, queer e transessuali tra shari’a e nuove interpretazioni» – e lo hanno scritto Jolanda Guardi e Anna Vanzan, per Ediesse (208 pagine, 12 euri). Di fronte a gran parte dell’opinione pubblica che considera l’Islam omofobico e un’altra minoritaria corrente di pensiero che lo vede «tollerante della diversità», le due autrici non prendono posizione. Nell’introduzione spiegano che «il rigore scientifico della ricerca consiste nel procedere con serendipità accostando ricerca letteraria, storica, sociale e artistica» per render conto della complessità e di «sostanziali variazioni nel tempo e nelle realtà socio-geografiche con una vasta gamma di atteggiamenti fra gli stessi musulmani».

Dunque, «partendo dall’analisi dei testi sacri musulmani (Corano e hadit)», il volume scopre «come fra i musulmani non vi sia un approccio unico e negativo» ma una vasta gamma di atteggiamenti e «di nuove interpretazioni religiose di cui tenta d’impadronirsi chi voglia conciliare fede e “diversità”». Ricchissimi di citazioni – e di contrastanti valutazioni lungo l’arco storico – i primi due capitoli su religione e letteratura come il quarto sul mondo persiano. Il terzo ci piomba nel «Queer Islam» e in particolare nelle esperienze transgender, «un tabù sociale». Un solo esempio: sin dal 1999 in Libano si chiede (senza successo) di cambiare la legge che punisce gli «atti sessuali contro natura»: sono nati un sito, una rivista on-line, a Beirut «un centro rifugio per transessuali» vittime di violenza e nel 2009 un libro bianco di testimonianze. Il quinto capitolo è su «Repubblica islamica» (cioè Iran) e «LGBTQ» (la sigla definisce l’arcipelago lesbico, gay, bisessuale, transessuale e queer). Le autrici segnalano un paradosso: «man mano che lo Stato interviene per separare i sessi nelle aree pubbliche […] le persone dello stesso sesso sono costrette a condividere spazi che escludono l’altro sesso». Chiudono il volume bibliografia, sitografia, filmografia – davvero ricche – e «Le parole per dirlo», molto più di un glossario perché – come sempre – chi decide di usare una parola (positiva o negativa) piuttosto di un’altra in qualche modo influenza o controlla il linguaggio (cioè decide i significati) e vince una lotta decisiva. Siccome in ogni contesto serio – o drammatico – c’è sempre da sorridere segnalo un buffo parallelismo che però colpirà solo i romani (o almeno credo): nella sezione del persiano e urdu del libro si rimanda al termine «mosahequeh», letteralmente «azione di sfregamento», per lesbica; nel dialetto romanesco i primi pomiciamenti giovanili sono chiamati, con un misto di ironia e di spavalderia, «andare allo sfregatoio» o «andare allo scorticatoio».

Di passaggio – ma è un punto importante – Guardi e Vanzan smascherano anche l’ipocrisia di molti Paesi occidentali: per non concedere asilo politico, negano che nell’Iran di oggi gli omosessuali siano perseguitati. Conclusioni? Le autrici ribadiscono che «l’immaginario collettivo si nutre di idee e preconcetti che trovano solo un riscontro parziale nella realtà» e che il territorio d’indagine è immenso e poco esplorato. Anche perché non esiste un solo Islam come del resto un cristianesimo compatto o una laicità buona per tutti.

4.

Ho cercato di approfondire il discorso con le due autrici. Ecco le interviste (sempre sia lodato Skipe). Per prima Jolanda Guardi: docente di lingua araba a Milano e ricercatrice in Spagna, da anni si occupa di intellettuali e potere nel mondo arabo.

«Su questi temi sono usciti altri libri interessanti ma poco in italiano. Quel che mi pare nuovo è l’approccio: interrogarsi su una visione monolitica del mondo musulmano che non corrisponde alla realtà. L’islam è una società in movimento, piuttosto è il nostro modo di guardarlo che non cambia. Io spero che questa nostra impostazione possa essere applicata ad altre questioni. Il primo capitolo serve a contrastare l’idea che il discorso religioso sia granitico e uniforme: anche in assenza di un’interpretazione moderna non esiste nell’Islam un riferimento indiscutibile sull’omosessualità, come per altri temi. Pesa molto più la tradizione, ovviamente all’interno dei mutevoli contesti storico-politici, che il riferimento ai testi religiosi. Io ho voluto risalire alle fonti per mostrare che si trovano opinioni variegate e dunque c’è uno spazio di scelta».

Le chiedo del linguaggio.

«Occorre rigore per affrontare temi così complessi, ma, se il nostro approccio all’Islam deve mutare, occorre cambiare anche il nostro linguaggio. Così io e Anna Vanzan abbiamo scelto di comunicare, di essere chiare, senza cadere nel banale, tenendo presente che volumi anche di rango sono spesso scritti in modo auto-centrato». Cioè, aggiungo io, finiscono con l’essere utili solo a super-specialisti.

«Ritengo importante lo spazio dato all’approccio letterario: quello del mondo arabo è molto sfaccettato. Molte ricerche, anche di buon livello, considerano la letteratura del periodo classico come un genere realista, ma evidentemente è fiction: con un vero e proprio sotto-genere sui rapporti erotici fra persone dello stesso sesso. Letteratura senz’altro a beneficio delle elites. Non abbiamo documenti che possano confermare o smentire che l’omo-erotismo lì descritto (sia fra adulti che rispetto ai ragazzi) fosse praticato. Diverso il discorso sulla letteratura moderna e contemporanea. Quella araba è notoriamente impegnata. L’omosessualità è un tema difficile da affrontare e viene inizialmente messo in relazione con la violenza e la discriminazione. Ma sta nascendo un nuovo genere, potremmo dire LGBTQ, in lingua araba – mentre di solito su certi temi scomodi in passato si preferiva usare l’inglese o il francese – e questo mette in crisi il canone letterario ufficiale, che è quello del potere. Si contesta un concetto di virilità ben preciso che si definisce in opposizione a quella femminile. Anche la “teologia della liberazione” nel mondo arabo ha messo in discussione questo stereotipo, che si era rafforzato nei nazionalismi, anche con un patto fra politica e religione. Ammettere che i corpi siano sessuati e parlino linguaggi differenti contribuisce a rompere le rigidità, costringe a rimettere in discussione tutto, comprese le diverse visioni della società. E’ un primo approccio, continueremo il nostro lavoro. Se il libro appare contraddittorio ebbene… così è la realtà».

Chiedo a Jolanda Guardi se l’iniziativa di Zahed merita attenzione.

«In questo quadro l’apertura della moschea a Parigi è importante. Negli ultimi anni, già in diverse situazioni (Cina e Pakistan) si sono aperte moschee solo per donne, con una donna imam: non a caso è accaduto in Paesi dove le donne sono particolarmente penalizzate. Ma è anche un segnale più generale di mutamento. Perciò giudico molto positivamente quel che succede a Parigi: non è un luogo di segregazione ma di riconoscimento. Finora si diceva che “se scegli” di essere gay (o sei “malato di omosessualità” secondo altri) allora sei fuori dall’Islam. Oggi questo schema vacilla. La scorsa settimana è stato annunciato a Madrid l’apertura di un centro per gay e lesbiche musulmane. Tutto questo influisce sui Paesi d’origine dei migranti. Alla fine qualcosa cambierà. Il libro arriva proprio al momento giusto per aiutare a capire il processo in corso».

Ancora sulla lingua “giusta” da usare.

«Il sesto capitolo si intitola “Le parole per dirlo”. Non è questione solo di politically correct o di complessità. Si sta creando un nuovo linguaggio e nella cultura araba la scelta delle parole è importante ancor più che da noi. Di solito è la mentalità a influire sul linguaggio ma talvolta accade il contrario: un modo diverso di parlare aiuta a capire meglio, influisce sul cambiamento».

Fra i tanti muri quello più solido si chiama silenzio.

«Io tengo d’occhio la stampa araba e ho notato che la questione LGTBQ è presente sempre più spesso. Si danno le notizie anche se con commenti negativi. A esempio sull’iniziativa a Parigi di Ludovic Mohamed Zahed un quotidiano apriva così il suo articolo: “Siamo davvero arrivati alla fine dei tempi”. Insomma se ne parla ma prendendo in qualche modo le distanze. Autocensura dei giornalisti? Chissà. Comunque un passo avanti rispetto al silenzio. Il dibattito è aperto, l’esito da vedere».

Ero presente a Roma quando Guardi e Vanzan hanno presentato il loro libro alla Casa internazionale delle donne e mi è parso significativa la presenza di Salameh Ashour, esponente della Comunità islamica in Italia. Il suo discorso non ha convinto tutte le persone presenti (molte della comunità gay) ma la sua presenza è comunque positiva e rivelatrice. Tanto più che, in estrema sintesi, ha detto: siamo tutti figli di Dio e ognuno nel suo privato faccia quello che vuole. «Non mi pare poco anche perché non stavamo chiacchierando al bar ma in un luogo pubblico» sintetizza Jolanda Guardi.

Qualche altra domanda (stavolta Skipe è meno benevolo) la rivolgo ad Anna Vanzan, iranista e islamologa, anche lei docente all’università di Milano. I suoi libri più recenti sono «Le donne di Allah, viaggio tra i femminismi islamici» (Bruno Mondadori, 2010) e «Figlie di Shahrazàd. storia delle scrittrici iraniane dal XIX secolo a oggi» (sempre Bruno Mondadori, 2009).

La prima questione che le pongo è se l’Iran sia compattamente omofobo come certi sostengono.

«Nonostante una legislazione particolarmente punitiva (con 19 articoli sulla sodomia nel nuovo Codice penale) e che contempla addirittura la pena di morte, la situazione dell’Iran è in movimento. Piena di contraddizioni e paradossi, a esempio la relativa facilità con la quale le persone possono cambiare sesso. D’altro canto esiste qui una tradizione letteraria, religiosa e filosofica che attesta l’omosessualità, non la si può cancellare all’improvviso dopo secoli. Nell’attuale Iran esistono dunque associazioni gay e anche gruppi di madri che sostengono la richiesta di cambiare le leggi. Di solito le madri sono più comprensive, i padri più duri. Grazie a Internet, il mondo LGBTQ dell’Iran può entrare in contatto con altri Paesi. Dall’altra parte c’è la famosa frase del 2007 di Ahmadinejad, mentre era negli Usa, secondo cui “Nel nostro Paese non ci sono omosessuali”. Il tono era sprezzante anche se può darsi che le parole siano state male interpretate. Eppure, anche se con gran fatica, la comunità LGBTQ iraniana si fa sentire e non solo su internet: il 17 maggio di quest’anno, in occasione dell’IDAHO (giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia) sia nelle comunità dei migranti che in alcune città iraniane vi sono state azioni di protesta».

Forse quando, nel discorso pubblico, diciamo Islam non ci capiamo.

«Infatti è necessario capire bene cosa intendiamo per Islam quando parliamo del comune sentire. Ovviamente essere musulmani significa cose diverse anche in rapporto con la visibilità che si può conquistare in Occidente o con i nostri pregiudizi: per alcuni quell’etichetta è come un mestiere, per altri uno scudo dietro il quale nascondersi oppure per cercare una platea. Invece per le persone qualunque io farei, certo usando l’accetta, questa distinzione. Quasi tutti si considerano musulmani e danno grande importanza alla religione; c’è poi un secondo gruppo, meno numeroso, che potremmo definire di islamici militanti i cui appartenenti credono giusto che la religione contamini gli spazi sociali; infine gli “islamisti” per i quali nessuno spazio è pensabile fuori dalla religione. Con ogni evidenza esistono punti di passaggio o di frizione fra i tre “raggruppamenti”. Ma l’idea di un’etica pubblica è comunque accettata da tutti e questa è una differenza importante con gran parte dell’Occidente. La differenza risalta anche quando, a esempio, consideriamo i cosiddetti femminismi islamici: di certo le musulmane chiedono maggiori diritti ma all’interno di una cornice religiosa; molte donne dunque non accettano il femminismo “secolare” all’occidentale ma chiedono che l’Islam apra alle donne, ai loro diritti. Analogamente per i gay: tantissimi fra loro si considerano buoni musulmani (per gli atei il discorso evidentemente è diverso) dunque non vogliono rinunciare alla loro identità religiosa, anzi non si pongono proprio il problema. Credono che per loro ci sia uno spazio dentro l’Islam. E si impegnano in questa direzione».

La contraddizione si riflette anche nei vecchi e nuovi media?

«Ovviamente questi discorsi passano, in molte forme esplicite o più spesso sotterranee, anche nella musica o nel cinema. Nel nostro libro ricordo alcuni film importanti come le canzoni autobiografiche dell’iraniana Sayeh Sky, il suo coming out, la denuncia dei diritti negati, i suoi versi : “il tempo delle costrizioni è finito e la schiavitù femminile pure”. Ma oggi Sayeh Sky è in Canada, come Saqi Qahraman, poetessa e attivista del movimento. Davvero interessante è che questo scontro culturale e religioso non passa solo nella produzione underground. Il cinema iraniano più popolare è fatto di strati: noi cogliamo il senso generale di un film ma chi ci vive o conosce bene la realtà sa scavare e trova altri messaggi. Tanto per usare una frase fatta ma chiara si usa molto la tecnica “dire a suocera perché nuora intenda”. C’è comunque un nuovo modo, anche nel cinema più diffuso, di affrontare queste tematiche».

Lasciamo l’Iran ma restiamo in Asia.

«Ancora diverso è il discorso in Centr’Asia. Per esempio nell’area pakistana la situazione generale è più difficile, esasperata e dunque ogni diversità è perseguitata. Più interessante quel che accade nella parte islamica (il 10 per cento circa ma non pochi … visto che parliamo di un miliardo di persone) dell’India dove invece ci sono aperture al dialogo in ogni direzione».

E chi migra?

«Anche nelle migrazioni ci si organizza. Da noi esiste a esempio il Moi cioè Musulmani Omosessuali in Italia, un gruppo on line. In un certo senso il loro è un doppio coming out, davvero difficile. Non è detto infatti che nelle migrazioni ci sia più libertà: spesso il controllo della comunità è maggiore sia come reazione al razzismo sia per il timore di perdere le proprie radici che spinge verso le tradizioni più consolidate».

Una seppur provvisoria conclusione?

«Per concludere bisogna sottolineare di nuovo la complessità delle questioni e dunque anche del nostro libro. Siamo state il più chiare possibile ma comunque eravamo consapevoli di essere all’inizio di un percorso. Lavorando abbiamo avuto anche conferma che in Italia quasi nulla di serio si trova su questi temi e a livello internazionale c’è molta letteratura schierata (in un senso o in un altro) ma poche ricerche approfondite. Avevamo urgenza di fare uscire questo libro ma occorrono altri approfondimenti. E soprattutto mutare sguardo, uscire dai preconcetti di ogni tipo».

5.

Musulmani e omosessuali, un rapporto in evoluzione. 
E fra i cattolici italiani? Se si va sul cito della Comunità di base cristiana di Pinerolo (cdbpinerolo.wordpress.com) e poi si clicca su «La scala di Giacobbe» esce questo «Chi siamo».

«Siamo un gruppo di persone gay, lesbiche e transgender di età, provenienza e percorsi di vita diversi: cattolici, protestanti, cristiani/e senza chiesa, persone che non si definiscono credenti ma si sentono in ricerca su cammini diversi. Il gruppo è nato nell’autunno 2001 come momento di incontro, di amicizia, di riflessione e di confronto. Ci accomuna la voglia di stare insieme, il desiderio di riflettere sulla nostra identità sessuale e affettiva partendo dalla nostra esperienza, l’apertura ad un cammino spirituale e il riferimento nella comunità cristiana di base di Pinerolo. Ci incontriamo di solito il terzo sabato del mese per partecipare ad un incontro di studio che ci propone Franco Barbero; dopo la cena insieme, proseguiamo la riflessione e il confronto o vediamo un film. La domenica mattina partecipiamo all’eucarestia della comunità di base. Talvolta prepariamo le nostre riflessioni sulle letture bibliche per la celebrazione. E-mail: lascaladigiacobbe@gmail.com, mailing list: http://it.groups.yahoo.com/group/lascaladigiacobbe».

Una eccezione? Sì e no. Qui sotto un elenco dei – così amano definirsi – «gruppi di omosessuali credenti in Italia». Pochi o molti, ognuno giudicherà; comunque invisibili sui media come tutte le minoranze (e paradossalmente le maggioranze) di un Paese dove il giornalismo ama quasi esclusivamente le elites, i Palazzi e i Vip.

Torino

Centro studi e documentazione Castellano: centro.castellano@gmail.com

La Fenice: lafeniceglbt@gmail.com

La Rondine: larondine_to@yahoo.it

Milano

Il Guado: gruppodelguado@gmail.com
La Fonte: info@gruppolafonte.it
Varco: chiesavaldese.varco@yahoo.it

Cremona

Alle querce di Mamre: info@allequercedimamre.it
La Goccia: goffredo.crema@tiscali.it

Brescia

Il Mosaico: ilmosaico.brescia@libero.it

Bergamo

La Creta: gruppolacreta.bg@email.it

Verona

La Formica e le stelle: laformicaelestelle@supereva.it

Vicenza

La Parola: sito internet http://parola.altervista.org/

Padova

Emmanuele: gruppo_emmanuele@hotmail.com

Trento

Ressa: ressa_trento@yahoo.it

Udine-Trieste

Kairos presso la comunità di accoglienza «E. Balducci» di Zugliano (UD)

Bologna

In cammino: incammino@gmail.com

Parma

L’Arco: gruppoarcoparma@libero.it

Rimini

Narciso e Boccadoro: narcisoeboccadoro@email.it

Ancona

Tenda dell’incontro: tendadellincontro@gmail.com

Firenze

Fiumi d’acqua viva: fiumidacquaviva@gmail.com
Kairos: kairosfirenze@yahoo.it

Pisa

Il Ponte: mailing list: http://it.groups.yahoo.com/group/ilpontepisa/

Roma

La Sorgente: lasorgente@hotmail.com
Nuova Proposta: nuova.proposta@yahoo.it
Refo (Rete evangelica Fede e Omosessualità): segreteriarefo@gmail.com

Bari

Progetto Naussa–Laboratorio Lesbico di Spiritualità: naussa@hotmail.it
Rosa di Gerico: larosadigerico.bari@gmail.com

Napoli

Ponti Sospesi: pontisospesi@libero.it

Palermo

Ali d’Aquila: gruppoalidaquila@libero.it

Religioni e scelte sessuali: una complessa questione che andrebbe discussa senza manicheismi. Questo dossier evidentemente è solo un piccolo, provvisorio contributo giornalistico. Notizie e commenti sono, come sempre, graditi. (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

  • “Ha aperto i battenti a Parigi (o meglio nel sobborgo di Sevres) una moschea per gay,”

    Non so se è molto intelligente come pensiero, ma la prima cosa che mi è venuta in mente, soprattutto sulla prima parte dell’articolo è che sarei rimasto molto più sorpreso se avessi letto una notizia tipo:

    “ha aperto i battenti a Bologna (o meglio nel sobborgo Casalecchio) una chiesa per gay”

    (scelgo un esempio di zona da me conosciuta e dove non c’è nemmeno troppo fondamentalismo cattolico, ma resta un esempio)

    Forse è un pensiero ovvio però credo che la distanza, cioè il fatto che la moschea non nasca nel “cuore” dell’Islam ma a Parigi, aiuta la sua esistenza. Come forse una Chiesa per gay potrebbe nascere solo a una distanza siderale dal Vaticano.

    Al di là di questo, la frase ‎”l’islam è una società in movimento, piuttosto è il nostro modo di guardarlo che non cambia”: mi sembra veramente azzeccata

    Fermo restando che le nostre società conosceranno una vera liberazione, secondo me, solo quando supereranno le religioni monoteiste, cioè i concetti di “regno”, di “padre”, di “dio” come simboli assoluti di spiritualità. Ma forse questo è un altro paio di maniche. O forse è un rialzo possibile anche nel dibattito interno del mondo “islamico”?

    Gianluca

  • grazie Gianluca
    sul primo punto ti risponderei sì e no: vero che l’Islam ha più sfaccettature del cattolicesimo e che è talmente chiuso sulle sue paure da dimenticare persino che c’è chi (Alfredo Ormando) si è immolato con la benzina in piazza San Pietro (l 13 gennaio 1998, non secoli fa) per l’impossibilità di sopportare il ricatto di chi voleva mettere contro la sua sessualità alla sua fede…ma è vero che il lungo elenco di gruppi cattolici omosessuali che chiude il mio dossier mostra che anche in Italia (anche a Roma) c’è chi non accetta più condanne e silenzi.
    Sull’ultimo punto – una “vera liberazione” o almeno un faticoso cammino in quella direzione – il discorso è ovviamente di grande complessità eppure non c’è dubbio che i vertici delle tre grandi religioni monoteiste (e anche di altre fra quelle più organizzate) sono divisi su quasi tutto ma sempre uniti nel contrastare la libertà di scelta delle persone oltrechè nel ritenere inviolabili i loro spazi pubblici ma violabilissime le libertà di chi è laico, ateo, agnostico, animista, zoroastriano o seguace della Grande Madre…
    La discussione resta, è ovvio, aperta (db)

  • UN VELOCE AGGIORNAMENTO E’ QUI:
    Islam e omosessualità
    «Sì, c’è un problema da risolvere»
    La “moschea inclusiva” è stata inaugurata il 30 novembre. Come è andata? Ne parliamo con il suo promotore, Ludovic Mohamed Zahed, francese di origini algerine
    Continua a leggere…

  • Un altro (triste) aggiornamento
    riprendo da “Il fatto quotidiano” (on line) di oggi: Ratzinger attacca le unioni tra omosessuali: “Una ferita alla persona umana e alla pace”. L’intervento il giorno dopo aver ricevuto Rebecca Kadaga, presidente del Parlamento dell’Uganda, che per i gay ha proposto la pena di morte.
    (db)

  • RICEVO QUESTO MESSSAGGIO – di Gianni Geraci (portavoce Gruppo del Guado) – E BEN VOLENTIERI LO POSTO QUI

    “Mi permetto di scriverLe, Santità, dopo aver letto il Suo messaggio per la Giornata Mondiale della pace 2013 che cade il prossimo primo Gennaio.
    Le dico innanzi tutto di essermi commosso davanti alle parole con cui ha ricordato l’enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII: io all’epoca ero ancora un bambino, ma quando, diversi anni dopo, ho avuto modo di leggerla, ho vissuto un’esperienza davvero profonda che ha segnato in maniera definitiva la mia Fede
    In particolare La ringrazio per aver citato il brano in cui papa Giovanni ricorda che «la realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana, in cui le relazioni interpersonali e le istituzioni sono sorrette ed animate da un “noi” comunitario implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli doveri».
    La ringrazio per aver ricordato che la pace c’è solo quando si sentono come propri i bisogni e le esigenze altrui e si rendono partecipi gli altri dei propri beni.
    Ed è partendo da queste osservazioni, che fanno senz’altro parte del Magistero che la chiesa esercita quando parla del rapporto tra l’uomo e Dio, che mi permetto di farLe notare quella che, a mio avviso, è una stridente contraddizione presente nel Suo messaggio.
    Lei infatti, continuando a sviluppare il discorso intorno alla pace, a un certo punto, afferma che: «La struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale».
    Mi permetto di farLe notare, in nome di quel realismo che san Tommaso d’Aquino raccomandava ai suoi allievi (quello stesso realismo che ci impone di riconoscere la realtà per quello che è, senza guardarla con gli occhiali del pregiudizio e senza strumentalizzarla con inutili sofismi) che i paesi che più si adoperano per costruire la pace a livello internazionale sono quelli che, per primi, hanno adottato delle leggi che rendono il matrimonio «giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione».
    E in nome dello stesso realismo mi permetto di farLe notare che sono gli stati in cui i diritti delle persone omosessuali sono calpestati quelli che, più di frequente, intraprendono azioni violente nei confronti dei paesi confinanti o nei confronti delle popolazioni su cui hanno giurisdizione.
    Come la mettiamo con questo dato di fatto che contraddice in maniera palese quello che Lei afferma?
    La risposta, saggiamente, la suggerisce Lei stesso, quando scrive che «questi principi non sono verità di Fede» e ci fa quindi capire che, anche se pensa di fare riferimento a una specifica visione della natura umana «riconoscibile con la ragione», quando critica le leggi che riconoscono le unioni omosessuali non fa riferimento al Vangelo, ma fa riferimento a quella che Lei considera una retta ragione che, però, più per ignoranza che per malanimo, in questo caso tanto retta magari non è.
    Ho l’impressione che Lei parta da una visione parziale e distorta dell’omosessualità, che la porta a valutare in maniera sbagliata il reale rapporto che c’è tra pace e diritti delle persone omosessuali. Una visione distorta che Le impedisce di vedere quanto il mancato riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali sia in palese contraddizione con l’atteggiamento di chi, come Lei scrive nel brano che ho ricordato all’inizio di questa lettera, riconosce «come propri i bisogni e le esigenze altrui» e rende gli altri partecipi del propri beni».
    Perché non riconoscere come proprio il bisogno che le persone omosessuali hanno di costruire delle relazioni di coppia fedeli e responsabili?
    Perché non renderle partecipi di quei diritti e di quei doveri che, regolando la vita famigliare, aiutano la società nel suo complesso a strutturarsi meglio?
    E come la mettiamo con i tanti fanatici che nel Suo articolato messaggio leggono solo una dura condanna delle leggi che riconoscono le unioni omosessuali e che, spinti dal loro fanatismo fanno poi di tutto per perseguitare le persone omosessuali?
    Certe affermazioni, già gravi quando vengono pronunciate dal primo parroco che parte per la tangente durante un’omelia, diventano gravissime quando compaiono all’interno di un messaggio firmato dal Papa.
    Ed è per questo che La invito a domandarsi in cosa sta sbagliando se è arrivato addirittura a stabilire tra pace e rispetto dei diritti delle persone omosessuali una relazione che è l’esatto contrario di quella che tutti possono osservare e se è arrivato a contraddire una raccomandazione morale importante come quella, da Lei ricordata, che ci invita a fare nostri i bisogni degli altri.
    Si tratta di un invito che Le viene da un cattolico che Le vuole bene e che non vuole che, tra qualche anno, quando Lei si troverà di fronte a nostro Signore, venga interpellato per le conseguenze gravissime (in termini di discriminazioni, di sopraffazioni e di violenze) che possono avere le parole che ha scritto nel suo messaggio di quest’anno.
    Inizi finalmente ad incontrare delle coppie di persone omosessuali, a parlare con loro, ad ascoltarle, a guardarle negli occhi e vedrà che il Suo atteggiamento nei confronti della loro situazione cambierà radicalmente. Glielo dice uno che ha fatto questa esperienza e che, forte di questa esperienza osa dirle con chiarezza che, quando parla di diritti delle coppie omosessuali non solo non segue una retta ragione, ma rischia di non seguire nemmeno il Vangelo”.
    Gianni Geraci (portavoce Gruppo del Guado)
    Per commentare e per discutere questa lettera andare sul blog del Guado: http://gruppodelguado.blogspot.it/2012/12/perche-sbaglia-santita.html
    MA NATURALMENTE SAREI FELICE SE I VOSTRI COMMENTI FOSSERO POSTATI ANCHE SU QUESTO BLOG

  • mi fanno sapere che, anche in Italia, inizia a circolare il documentario “I am gay and muslim” ambientato in Marocco. Se riuscirò a vederlo ve lo racconterò in blog, intanto su “Corriere dell’immigrazione” è possibile leggere una intervista al regista, Chris Belloni. (db)

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