Italia, una repubblica fondata sull’insicurezza

Nella lista «R-esistenza» (*) Gian Monaca ha scritto: «non ho sentito neppure nei due discorsi dei neo presidenti Grasso e Boldrini un accenno, per quanto fuggevole, alla legislazione colabrodo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Non fa notizia, non porta voti: quattromila morti all’anno sono troppo pochi (o sono troppi)? Siamo un Paese che merita ancora pietà?».

Così ha risposto, nella stessa lista, Vito De Russis.

1.200 circa sono, annualmente, le persone morte sul lavoro; sono circa 4.000 all’anno le persone morte sulle strade; altre circa 4.000 muoiono ogni anno per l’inquinamento dell’aria. Un elevato numero di persone ferite ogni anno (sono oltre 300.000 solo quelle sulle strade, di cui oltre il 20% con invalidità permanente).
Stiamo parlando di persone, di dolore, di tragedie, e, naturalmente, di dignità da rispettare. Il costo sociale? Per la incidentalità stradale nel 2010 nella sola Roma (182 morti, 24.500 feriti, 18.550 incidenti) è stato stimato un costo sociale di oltre2 miliardi di euro.
E’ una strage consolidata che cercano di conservare perché rientra nel PIL.
E’ una guerra molto più cruenta delle guerre militari.
Infatti, 6 anni di guerra in Iraq (marzo 2003 – 09) i soldati Usa morti sono stati 4.324; in quei 6 anni, sulle strade italiane, oltre 30.000 persone sono morte(come l’intera popolazione di città come Oristano, Vibo Valentia, Enna, Isernia, Sondrio, Gorizia, ecc.).
Nel 2006, la “Federazione italiana per i diritti dei pedoni e la salvaguardia dell’ambiente – CamminaCittà” interessò, appena eletti, il nuovo presidente della Repubblica ed i nuovi presidenti di Senato e Camera (Napolitano, Marini e Bertinotti); nel 2008 inviò quella stessa lettera ai nuovi presidenti di Senato e Camera (Schifani e Fini). Risultato ZERO. Nelle prossime ore, quella stessa lettera starà sulla scrivania dei nuovi Presidenti di Senato e Camera (Grasso e Boldrini).
Attenzione. Quando ascoltate qualcuno che sta per magnificare la riduzione dei morti sulle strade italiane stoppatelo chiedendogli:
«Con quali strumenti? Noi sappiamo che dal 2007 c’è la crisi (ufficializzata nel 2008, un anno dopo) che riduce annualmente il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni mentre aumenta il prezzo
dei carburanti. Pertanto, si registra un annuale calo della vendita dei carburanti e, quindi, meno veicoli in circolazione, meno incidenti, meno persone morte e meno persone ferite. Questa è la verità
».
Si deve stroncare questa immorale e incivile strage sulle strade e nei posti di lavoro rompendo il ferreo silenzio (pubblicazione sulla prima pagina dei quotidiani del “bollettino delle incidentalità”, quella stradale e quella sul lavoro); effettuando i funerali di Stato (esequie solenni con la partecipazione delle massime autorità civili,
militari e religiose); dichiarando il lutto cittadino durante il loro funerale (sospensione di ogni attività); e, non ultimo, parlandone in tutte le scuole di quella località.
L’unica cosa che serve è la volontà politica di recuperare il valore della vita insieme al rispetto del diritto alla dignità di ogni persona (articolo 3 della Costituzione italiana e articoli 1, 2 e 3 della Dichiarazione universale dei diritti della persona).

(*) La lista «R-esistiamo» – con circa mille iscritti – da maggio 2006 è «luogo di dibattiti, diffusione o ricerca di notizie di associazioni che tutelano la memoria, centri culturali o istituzionali, persone interessate a argomenti storici o battaglie civili». Il sito del gruppo è http://groups.google.com/group/deportatimaipiu?hl=it?hl=it: «chiunque può inviare idee, notizie, iscriversi, segnalare interessati all’iscrizione. Moderatrice unica a titolo personale e gratuito: Primarosa Pia».

Alle giuste considerazioni di De Russis aggiungo una precisazione: è sbagliato considerare il costo della guerra in Iraq calcolando solamente i caduti dello (strapotente) esercito Usa i quali comunque nei primi 6 anni di guerra sono – se si considerano anche gli alleati e i mercenari (o «contractors» come è di moda dire) – ben oltre i 5500. E’ sbagliato perché i morti di quella quella guerra sono soprattutto iracheni. Che siano vittime «senza valore» è dimostrato dal fatto che gli Usa non li citano quasi mai e non sembrano neppure interessati a “contarli”: di certo, nei primi 6 anni di guerra gli iracheni uccisi – fra militari, civili e guerriglieri (veri o presunti) – sono almeno 30 mila, secondo i calcoli più prudenti. (db)

 

 

 

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