Ius soli: giù la maschera e a ciascuno il suo.

di Domenico Stimolo

Dopo quasi venti mesi dall’approvazione alla Camera dei Deputati (ottobre 2015 ma il disegno di legge era stato presentato nel corso del 2013) finalmente la deliberazione sullo “Ius soli temperato” è approdata al Senato. Bontà del governo, ieri presieduto da Renzi , oggi da Gentiloni. Le novità altre prodotte lungo questo percorso temporale, considerate assolutamente prioritarie sono sonoramente fallite – riforma costituzionale (battuta con grande maggioranza al referendum), tentativo di intesa su una nuova legge elettorale di stampo “centralista” – e avevano determinato un potente rallentamento dell’iter legislativo della proposta di legge.

Da parte dei “manovratori” I diritti di cittadinanza erano stati messi abbandonatamente in coda. Ora, improvvisamente, la fase politica è cambiata. Sembra proprio che le elezioni non siano più alle porte, quindi lo “ius soli”, che correva il grandissimo rischio di essere definitivamente accantonato, è stato ripescato e messo in buona e giusta evidenza.

Ovviamente, bene così! Ci sono le potenziali condizioni, finalmente, riguardo fondamentali diritti di civiltà democratica, di fare uscire il nostro Paese dai vincoli di rilevante oscurantismo che lo caratterizzano nell’ambito del contesto europeo, specie per il riconoscimento della cittadinanza ai minorenni nati in Italia da genitori non italiani. Si tratta alfine di modificare in maniera strutturale una regola di stampo antico, plateale nel richiamo linguistico, rimasta in auge, pur nel procedere dei secoli. Tecnicamente identificata in maniera astrattamente naturalista “ ius sanguinis, letteralmente diritto di sangue. L’ultima legge in materia, la 92 del 5 febbraio 1992, sancisce che il riconoscimento della cittadinanza Italiana è dovuta solo se si fa parte dell’intreccio contenente il “prezioso” liquido comune. Una vera e propria discendenza di sangue, quasi un retaggio della famosa fascista stirpe italica, di non lontana memoria, procacciatrice di enormi devastazioni umane e materiali.

Stante i requisiti delle vigente normativa all’atto di nascita acquisiscono il diritto di cittadinanza i bambini i cui genitori sono italiani, con l’esclusiva eccezione di genitori apolidi (privi di qualunque cittadinanza) o ignoti.

La legge in oggetto prevede inoltre lo “ius domicilii”. La cittadinanza italiana viene concessa a coloro che raggiungono il 18° anno di età, sul presupposto che abbiano maturato 10 anni di residenza continuativa (persone non comunitarie); l’istanza deve essere effettuata entro 1 anno, pena la decadenza. La richiesta di cittadinanza per naturalizzazione (adulti e residenti) è vincolata dagli anni di residenza (almeno 10 per extra comunitari, 4 comunitari, 5 per apolidi e rifugiati; etc) con adeguato livello di integrazione e conoscenza della lingua italiana, reddito idoneo, senza carichi penali. In ogni caso, pur avendo i requisiti (eccetto per matrimonio) il riconoscimento può essere rifiutato.

Sul piano generale con lo “ius soli” (diritto del suolo) si intende l’acquisizione della cittadinanza vigente nel luogo della nascita, senza altre condizioni. Nei fatti, nel contesto territoriale a noi più vicino, cioè l’ambito degli Stati europei, si distingue il riconoscimento alla nascita o dopo la nascita. Nell’Unione Europea costituita dai 15 Stati di adesione storica – Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia – vengono applicate normative che complessivamente riconoscono la cittadinanza (adulti e minori) in un quadro articolato e differenziato di condizioni. Per approfondimenti http://www.actionaid.org/sites/files/actionaid/la_cittadinanza_in_europa.pdf.

Nell’area cosiddetta occidentale lo “ius soli” senza condizioni viene applicato negli Stati Uniti, Canada e nella quasi totalità degli Stati del Sud America.

Nel nostro Paese i progetti di merito di cambiamento della legge 92/1992, “riconoscimento della cittadinanza”, sono al confronto del Parlamento già dal lontano 2003. Il testo in discussione al Senato è derivante dalle ampie modifiche precedentemente apportate dalla Camera dei Deputati. Nella versione originaria si individuava la “residenza legale”. Quindi la proposta prevedeva il riconoscimento della cittadinanza italiana ai nati in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno fosse residente legalmente nel territorio italiano da almeno cinque anni, senza interruzioni, antecedenti alla nascita.

Il testo in discussione prevede lo “ius soli temperato” e lo “ius soli culturae”. Nella prima condizione il diritto di cittadinanza viene riconosciuto ai figli degli immigrati nati in Italia da genitori (almeno uno) con permesso di soggiorno permanente/tempo indeterminato (per extracomunitari) o se comunitari con permesso di lungo periodo, residente in maniera continuativa da almeno 5 anni . Nell’ipotesi “culturae” la cittadinanza viene concessa ai minori arrivati in Italia prima dei 12 anni di età e che abbiano frequentato un corso formativo scolastico per almeno 5 anni oppure a chi, venuto in Italia minorenne, residente da almeno sei anni, abbia acquisito titolo di studio/qualifica da ciclo scolastico/ istruzione professionale.

Uno studio della fondazione Leone Moresca prevede che i soggetti interessati siano circa ottocentomila, di cui oltre seicentomila nati in Italia.

Nel 2015 i cittadini extracomunitari che, stante i requisiti della legge 92/1992, hanno ottenuto la cittadinanza italiana sono 159.000 (dati Istat); i comunitari 19.000. Le cittadinanze italiane ottenute per matrimonio sono complessivamente marginali, poco meno del 10 per cento.

E’ questa, pur in una forma riduttiva, una primaria “battaglia” sui diritti civili. Una legge sulla cittadinanza, per riconoscere operativamente l’articolazione complessiva dei fondamentali diritti di libertà individuali e democratici espressi dai valori fondamentali costituenti il nucleo vitale della Costituzione. Vitali, così come avvenuto con l’approvazione del divorzio, dell’interruzione della gravidanza, delle Unioni civili. Quindi, come già verificatosi per quegli eventi, serve chiarezza e piena condivisione, senza distorsioni e mascheramenti. Le valutazioni dei soggetti politici e le motivazioni ideologiche sono bene chiare nelle dichiarazioni di voto contrarie o di astensione; questeultime per i meccanismi di voto al Senato sono chiara espressione di rifiuto per i diritti civili.

Come già avvenuto in passato serve una forte e decisa mobilitazione della società civile, a supporto di questa prioritaria evoluzione dei diritti civili. Le differenziazioni non si possono misurare solo nell’Aula parlamentare o lasciando le iniziative esterne solo ai razzisti o a chi ancora si richiama ai dettami della dittatura fascista.

Quindi, giù le maschere – che da lungo tempo ormai offuscano la chiarezza civile e politica in Italia – e a ciascuno il suo, per trasparenza e incisività, antirazzismo e pratiche di libertà e giustizia. I cittadini sono tutti eguali tra loro, senza discriminazioni.

LA VIGNETTA è di VAURO, ripresa da “Il fatto quotidiano”

 

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