Jane K. Dick, l’imprevista

Probabilmente conoscete Philip K. Dick (qui se ne parla spesso). E’ il momento di fare conoscenza con una altrettanto straordinaria Jane K. Dick. Mi sono commosso nel leggere (e vedere, trattandosi di un fumetto, poi vi dirò quale) a esempio come Jane scompare – tre quadratini neri – per riapparire solo con le nuvolette. Segue un dialogo, in tre tappe, che vale riportare per intero.

PRIMA STRISCIA

«Perché siamo venuti al cimitero, papà?».

«Per fargli visita… ti manca?».

«Io… non lo so… Non l’ho mai conosciuto davvero».

SECONDA STRISCIA (sempre con le nuvolette su fondo nero)

«No, hai ragione».

«Sta dormendo?».

«Quasi… è come se lo facesse sì».

«E quando si sveglierà? Dai, svegliati… Philip».

TERZA STRISCIA

«Lui… lui dormirà per sempre piccola mia».

 

Nel passaggio successivo il fantasma di Philip (forse lui stesso, dopo un incubo o tentato suicidio) scopre che tutti i suoi libri sono stati scritti dalla sorella Jane. Che è poi la penultima (o quartultima?) verità.

Chiedo scusa agli autori (Francesco Matteuzzi e Pierluigi Ongarato) se ho svelato una delle (molte) sorprese del libro. Però: dovevo far capire a chi sta leggendo che quelle 128 pagine sono davvero dickiane… e poi restano altri colpi 73 di scena (sui quali tacerò) da godere.

Geniale questo «Philip K. Dick» (Becco Giallo, appena uscito all’onesto prezzo di 15 euri): «biografia» (e non-biografia) «a fumetti di uno dei più grandi scrittori di fantascienza». Per me una sorpresa piacevolissima; temevo un riepilogo (sia pure appassionato e non pedestre) della vita di Pk e mi ritrovo colpi di follia a cascata con due racconti sulle molte vite di Pk e Jk gemelli separati – dalla morte – quasi alla nascita.

Ho sempre creduto che Kindred fosse per Philip il secondo cognome (o quello della madre) e non mi sembrava particolarmente importante. Scopro ora – a volte non sapere l’inglese è uno svantaggio – che questa parola ha un significato importante e potenzialmente ossessivo vista la prematura morte della gemella Jane.

Grande idea (dickiana) ritrovare la sorella perduta di Philip e farla diventare quanto meno co-protagonista. Su questa genialata di base Matteuzzi e Ongarato hanno poi infilato nel loro libro – in realtà una «mutevole informazione che noi percepiamo come mondo» cioè «una narrazione in via di svolgimento» – fuochi artificiali in quantità, un cane, un gatto e una scacchiera. E mi tappo la bocca anzi frantumo il mouse per non svelare altro, magari di fare attenzione al poster sul muro nel disegno che apre pagina 19. Posso solo dirvi che Ubik – pizza, disco, biscotti, cestino, felpa, vetri rotti, quartiere – è quasi ovunque; e che se non capite cosa ci fa Ursula a pagina 36 siete nelle mie stesse condizioni (ma io, furbo come una faina, ho trovato la spiegazione a pagina 105 nella utile e ben fatta cronistoria).

Dovrei finire qui perchè, a pag 39, del volume-ubik in questione, mi è stato dato un suggerimento dickiano: «Ogni scena deve chiudere nel momento esatto in cui non ha più nulla da dire». (Ora qualcuno, magari Severo De Pignolis, vorrà sapere la fonte; che palle – come ho scritto stamattina, citando Riccardo Mancini – e comunque non lo so, chiedete a loro).

Però…

ho avuto la fortunaccia, sabato, di presentare (nell’ubikiano kaos del Tpo-Ubik di, mi pare, Boh-logna) il libro con gli autori. Mentre io cazzeggiavo, al solito, il pubblico – che per definizione è gentile – rivolgeva agli autori domande intelligenti. A esempio. «Avete lavorato nel classico modo, tu-Tarzan crei la storia e lui-Cita la illustra?» oppure «Il vostro è un libro che possono capire quelle/i che mai hanno letto Dick?». Sulla prima Francesco ha spiegato, grosso modo: «Pierluigi aveva già disegni dickiani e io sono partito da lì a scrivere la sceneggiatura, così di fretta che l’ho finita prima di capirla». Si tratta, gli ho poi spiegato io a 4 occhi, di una creatura aliena intelligente che lo ha invaso. Sul secondo quesito abbiamo concordato ambedue (io e il duo insomma ambe-tre) che sì questa biografia/non-biografia può essere tanto una chicca per dickiane/i che una cilegia-esca per digiune/i. Il casino è arrivato sulla domanda “finale” (mi è parso di vedere Asimov e Brown aleggiare in sala, invidiosi) di un coraggioso spett-attore: «io che nulla ho letto di Dick» – scena: applausi contro boati, lanci di oggetti fra le opposte fazioni del pubblico, il servizio d’ordine costretto a intervenire con gli idranti al Merlot – «… vorrei sapere da voi con quale dei 30 romanzi di fantascienza dikhiana potrei cominciare». Cala d’improvviso cala sul Tpo – ma probabilmente sull’intero universo – un silenzio insopportabile. In disordine alfabetico Matteuzzi, Ongarato e Barbieri rispondono. Dickianamente divergono. Se pensate di essere in grado di capire, sopportare e orgasmare le loro tre (?) risposte… versate gli z/euri-ubik previsti dove ubik sapete.


Redazione
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4 commenti

  • ti ho ispirato in modo pre telepatico inconscio, confessalo!!!

  • sì, confesso: avendomi Fiorella parlato (il 24 novembre) di questo libro, fra un corteo e l’altro son tornato indietro – grazie alla macchina del tempo – per paradossare la situazione. Cosucce che capitano a noi dickiani, Come vedere la testa di Philip su un autobus… Non ci credete? beh, ora verifico che la foto non abbia un copyright e la posto. (db)

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