Jobs non era mio amico

 di Gino Di Costanzo

Girovagando nella rete dopo la morte prematura di Steve Jobs, ho rilevato con un po’ di sorpresa quanto rapidamente e a macchia d’olio si sia diffuso il sentimento di cordoglio per questo tragico evento. Molti hanno espresso profondo rincrescimento quasi nei termini in cui ci si duole per la scomparsa di un vecchio amico che non si vedeva da tempo. Sulle prime ho ipotizzato si trattasse di sublimazione della gratitudine – che molti sembrano nutrire – per l’inventore di strumenti che hanno modificato radicalmente i nostri comportamenti. Si tratta non solo di sofisticati utensili per il lavoro, ma di vere e proprie protesi aggiuntive per comunicare, nuovi acceleratori e moltiplicatori delle relazioni umane. In questo preciso istante probabilmente devo qualcosa a colui – o a coloro – che mi consente di avere dei lettori fisicamente molto lontani da me.

Personalmente non provo un particolare dispiacere per questa dipartita, sono altri i lutti che mi colpiscono. Eppure mentirei se mi proclamassi indifferente a questa notizia. Inutile girarci intorno: Jobs è un mito moderno ed è questo che ha amplificato l’intensità dell’onda emotiva provocata dalla sua scomparsa. Un mito nato dal suo precocissimo talento, dalle sue idee talmente innovative da apparire geniali, dal suo ostentato anticonformismo, dal suo spirito di ribellione, genuino o costruito che fosse. Le parole di un suo toccante discorso agli studenti di Stanford rimarranno incise a lungo nella memoria di molti giovani (e meno giovani) che ancora sognano di farcela. Era certamente un uomo di grande fantasia, perché le cose bisogna prima immaginarle. A quest’uomo non mancava nulla per essere, come era, innegabilmente affascinante. Il genio della porta accanto, potremmo dire.

Ma io non sono persuaso che la sua aura di “folle razionale” e il suo acume ribelle fossero la spia di un reale anticonformismo o insofferenza verso l’ambito sociale e lavorativo che si era scelto per emergere. Non reputo il vero anticonformismo indirizzato verso la creazione di un colossale impero economico, anche se questo impero è il frutto di una straordinaria scintilla iniziale. Riflettendoci su cosa distingue il ribelle, l’anticonformista, il “folle”, dalla piatta normalità di tutti gli altri? L’anticonformismo è essenzialmente rifiuto; ma se questo rifiuto è confinato nel mero rigetto dei rituali standardizzati dell’apparire, nell’esibizione del sembrare ordinari in consessi non ordinari, democratici pur appartenendo a una elite, accessibili eppure intoccabili come ogni tycoon che si rispetti, allora probabilmente parliamo di superficie, di pura immagine. Il genio “folle”, se rifiuta la sostanza e non solo l’apparenza delle cose, pur avendo strumenti intellettuali superiori alla media, si ribella proprio a un sistema che gli consente di arricchirsi smodatamente in una società caratterizzata da enormi disuguaglianze. Un anticonformista non persegue l’accumulazione di capitali, altrimenti a cosa non è “conforme”? All’indossare giacca e cravatta durante i consigli di amministrazione? Ribellione è vestirsi – da ricco – come uno studente diciottenne e povero? A cosa si ribella uno che è diventato miliardario? Possono esistere enormi ricchezze ottenute senza la povertà di qualcun altro? Proprio in questo sistema economico con tutte le sue atroci sperequazioni? Ciò che intendo è che il mito Jobs è un mito della società capitalista, ancora più subdolo perché il personaggio in questione si presentava come una persona normale, l’incarnazione del sogno americano a cui chiunque può accedere (a patto di avere capacità e volontà) perché la società capitalista una opportunità la offre a tutti, non è vero? E se non ce la fai, vuol dire che non sei stato abbastanza intelligente o lungimirante, che non eri dotato di ferrea volontà, che non hai colto al volo l’occasione. Da ciò non discende direttamente che il vero ribelle è sempre uno sfigato malmesso. Ma, di certo, se non è un emarginato almeno è un “non allineato” e certamente – consentitemelo – non è nemmeno quotato in Borsa. Tutti noi, volenti o nolenti, viviamo in questo tipo di contesto socioeconomico, sforzandoci di guadagnare abbastanza per vivere senza affanni, magari usufruendo di beni o servizi non indispensabili, diciamo pure di piccoli lussi superflui, a volte. Anche lo scrivente, per esser chiari. Ma entrare nel circuito economico e finanziario mondiale è altra storia: bisogna volerlo. Bisogna volerne accettare tutte le regole codificate così come quell’unica che si deve tacere: l’assoluta, criminale, effettiva mancanza di regole e di controllo, quella perversa libertà che costituisce l’unico modo per tenersi a galla nel feroce e lontano mondo dell’alta finanza, quel mondo in cui bisogna “conformarsi” sul serio.

Credo che Jobs fosse una persona dal carattere solido e concreto (uno che ci ha indotto a “desiderare” cose che nemmeno sapevamo di volere), così come credo che il suo mito sia frutto di un’abile costruzione mediatica: un utilissimo apporto all’immagine della sua azienda e un potente contributo al potere di persuasione dell’ideologia capitalista che – in mancanza di robusti anticorpi politici – attecchisce ovunque. Basta osservare uno dei suoi ultimi apprezzatissimi filmati pubblicitari che attualmente impazza nel web, quello con frammenti di Ghandi, Luther King, ecc. Quel filmato solletica mellifluo le aspirazioni e i miti proprio “del popolo della sinistra”, perché per vincere bisogna invadere il territorio del nemico. Ancora una volta “Lo strumento più potente nelle mani dell’oppressore è la mente dell’oppresso” (Steve Biko, martire sudafricano).

Come “lucida follia ribelle”, preferisco la dolorosa parabola di Artaud. “E cosa c’entra Artaud con Jobs?” si potrebbe obiettare. Il nodo è proprio questo: nulla.

Due interventi dalla rete:

Grazie a Jobs ma anche agli operai cinesi che producono, in condizioni “manchesteriane” (cioè da Inghilterra del primo Ottocento) per quanto riguarda salari, condizioni di lavoro, contesti abitativi e di vita, IPhone, IPad, MacAir progettati dal “grande” Steve. Speriamo che il nuovo CEO di Apple si ponga il problema di migliorare un po’ la loro situazione, perché risulta che Jobs non se ne desse pensiero.

Una famosa poesia di Brecht chiedeva chi costruì le piramidi. Bellissime le musiche di Verdi ma quanto erano sfruttati i suoi contadini? (…) Molti anni fa ho avuto la fortuna di ascoltare quel grande attore e provocatore di Carmelo Bene: nelle biografie non bisogna far cenno che a suon di sevizie mandava la sua donna in ospedale? Che storia è quella che parla solo dei grandi personaggi e cancella tutti gli altri e tutte le altre?

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

  • ha ragione Gino
    che io sappia, almeno nei tempi moderni, nessuna ricchezza è innocente
    (db)

  • (ricevo da Sarina)
    Perché aderire alla marina se si puo’ essere un pirata? Varie sciocchezze ha detto Steve Jobs… e quante ne sono state dette a proposito del povero farneticante miliardario scomparso. Sarina
    «Non sono contento che sia morto, ma sono felice che sia andato via» -un-bene-per-la-libertà – (Richard Stallman)

    Stallman ha dedicato la maggior parte delle energie della sua vita all’attivismo politico e nel campo del software. Manifestando di curarsi poco dei beni materiali, spiega che ha sempre vissuto grossolanamente…come uno studente, sostanzialmente. E mi piace questo, perché significa che il denaro non mi dice cosa fare.
    Per molti anni, Stallman non tenne una residenza permanente al di fuori del suo ufficio al laboratorio Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory (CSAIL) del Massachusetts Institute of Technology (MIT), definendosi uno squatter (occupante abusivo) nel campus. La sua posizione di research affiliate al MIT non è pagata. In una nota a piè di pagina di un articolo che scrisse nel 1999, dice Come ateo, io non seguo nessuna religione guida, ma qualche volta mi trovo ad ammirare qualcosa di quello che dicono. Stallman ha scelto di non festeggiare il Natale, celebra invece il 25 dicembre una festa di sua invenzione, Grav-mass (un gioco di parole riferito a Christ-mas, Natale in lingua inglese). Il nome e la data sono riferiti a Isaac Newton, che nacque in quel giorno.

    Quando gli vengono fatte domande sulle sue influenze, risponde che ammira Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Jr., Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi, Ralph Nader, e Dennis Kucinich, e commenta anche: Io ammiro Franklin D. Roosevelt e Winston Churchill, anche se critico alcune delle cose che hanno fatto. Stallman è un sostenitore del Green Party [8]. Stallman suggerisce di non possedere un telefono cellulare, poiché crede che le tracce dei telefoni cellulari creino situazioni dannose per la riservatezza dei dati personali (privacy issues).

    Stallman adora una grande varietà di stili musicali da Conlon Nancarrow al folk; la “Canzone del Software Libero” prende la forma di parole alternative per la danza folk bulgara Sadi Moma. Più recentemente scrisse un’imitazione della canzone folk cubana Guantanamera, riguardante un prigioniero alla base navale di Guantanamo Bay, e la registrò a Cuba con musicisti cubani.

    Stallman è un appassionato di fantascienza, inclusi i lavori dell’autore Greg Egan. Occasionalmente si reca a convegni sulla fantascienza (science fiction conventions) (ha scritto la Canzone del Software Libero mentre aspettava il suo turno per cantare ad un convegno). Ha scritto due storie di fantascienza, Il diritto di leggere (The Right to Read) e Ingegneria Genetica (Jinnetic Engineering). Madrelingua Inglese, Stallman è anche sufficientemente fluente in francese e spagnolo per tenere i sui discorsi di due ore in queste lingue, e rivendica una padronanza frammentaria di indonesiano.

    I suoi hobby includono lo studio delle danze popolari internazionali, volare, cucinare, suonare il flauto dolce, la fisica, la fantascienza fandom e, naturalmente, la programmazione informatica.

  • ginodicostanzo

    ANCORA DALLA RETE:
    (…) un un paladino della globalizzazione e del costante e sistematico furto dell’immaginario, un miliardario ultracapitalista, uno sfruttatore di centinaia di migliaia di nuovi schiavi in tutto il mondo, bambini compresi, cosa che ha sempre rivendicato (ricordate la sua frase? “L’I-Phone costa così poco perchè lo produciamo in Sud-Est asiatico, e non in America”) Ecco cosa significava per lui quel “stay hungry, stay fool”. Questo era il “genio” (…)

  • ciao, mi è stato linkato il tuo blog
    critiche costruttive:
    questo post è poco denso: ripeti poche cose molte volte, noi utenti drogati di internet vogliamo il succo in meno caratteri possibili
    l’ho trovata una critica poco incisiva che fa molto “haters gonna hate”, ed è un peccato perchè in realtà ci sarebbero un sacco di cose da dire
    a partire dall’analisi della genialità di Jobs: siamo proprio sicuri che ha rivoluzionato così tanto?
    imho il merito di Jobs è stato far diventare cool (per la massa) un sacco di cose tecnologiche (già esistenti) che altrimenti la gente comune non avrebbe mai scoperto, creando così tendenze nell’intero mercato e spostandolo di conseguenza (detto in breve e ultra-riassunto)
    poi gli standard chiusi, la censura dei contenuti, c’è veramente un mare di cose da dire!

  • ginodicostanzo

    Prima di tutto ti ringrazio. Poi: non ho mai voluto essere esaustivo su Jobs, non mi interessava nemmeno, per la verità, in questo articolo. Ciò che mi premeva sottolineare era la presa che il suo mito ha esercitato su coloro che per idee, credo politico o propensioni etiche avrebbero dovuto essere più attenti e meno affascinati dalla costruzione mediatica dell’immagine di un “padrone” (si può dire padrone? oggi, chissà…).
    Credo tu dica cose giustissime, e sulla sua rivoluzionarietà… no, non sono sicuro che abbia rivoluzionato così tanto,ma ne sembrano sicuri tutti quelli dal cui cordoglio sono partito per scrivere l’articolo. Personalmente, più che analizzare la parabola tecnologica e la strategia lavorativa di Jobs, ho voluto dire due o tre cosette semplici semplici sul potere di persuasione del capitale, in realtà. MI dispiace se mi sono dilungato troppo, magari è pure vero, non dico di no, ma nello stesso tempo mi dici che l’articolo è mancante di moltissime cose, di un certo tipo di analisi che ti sarebbe piaciuto leggere. Se l’avessi fatto (ammesso e non concesso di averne le capacità) forse sarebbe venuto lunghetto ugualmente, boh? Non sempre chi scrive può assumersi la responsabilità della scarsa abitudine degli internauti a leggere post lunghetti. Comunque ti vedo attento ed ho l’impressione che tu sia pure bene informato sull’argomento, magari un tuo contributo…
    Hai anche ragione su una cosa: le tue sono critiche realmente costruttive, grazie ancora.

  • Non credo si tratti di vero, profondo cordoglio. C’è anche quello, ma il motore di tutto questo interesse intorno al personaggio è dato dalla possibilità di rafforzare i miti sul capitalismpo innovatore, sul merito, sulle infinite possibilità che sarebbero offerte a chiunque ecc. Jobs in questo modo può continuare a servire anche dopo morto. dando la possibilità di stornare l’attenzione da ciò che il capitalismo sta facendo al mondo; nonché quel che c’è dietro i successi con i quali si fa grande il sistema. Sfruttamento, miseria, rapina e guerre ininterrotte.

  • ginodicostanzo

    Esatto, è proprio questo, credo..

  • dalla bacheca facebook di Stella dell’AMP:

    “Ho comprato un iPhone ed è morto Steve Jobs. Quasi quasi faccio l’abbonamento a Mediaset Premium…” (cit.)

  • AHAHAHAH!

  • Bello leggerti, Gino. (concordo)
    c.

  • Grazie, socia…

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