Jorge Luis Borges: «La sentinella»
41esimo appuntamento con “la cicala del sabato” (*)
La sentinella
Entra la luce mi sveglio; è lì.
Incomincia a dirmi il suo nome, che è (già si capisce) il mio.
Torno alla mia schiavitù che è durata più di sette volte dieci anni.
Mi impone il suo ricordo.
Mi impone le miserie di ogni giorno, la condizione umana.
Sono il suo vecchio infermiere; mi costringe a lavargli i piedi.
Mi aspetta negli specchi, nel mogano, nei vetri dei negozi.
Questa o quella donna lo hanno respinto e devo condividere la sua pena.
Mi detta adesso questa poesia, che non mi piace.
Mi ordina il nebuloso studio del caparbio anglosassone.
Mi ha convertito al culto idolatrico di militari morti,
con i quali forse non potrei scambiare una sola
parola.
Nell’ultimo tratto della scala lo sento accanto a me.
Sta nei miei passi nella mia voce.
Minuziosamente lo odio.
Noto deliziato che quasi non vede.
Sono nella cella circolare e l’infinito muro si restringe.
Nessuno dei due inganna l’altro, ma tutti e due mentiamo.
Ci conosciamo troppo inseparabile fratello.
Bevi l’acqua dal mio bicchiere e divori il mio pane.
La porta del suicida è aperta, ma i teologi affermano
che nell’ombra dell’altro regno ci sarò
io ad aspettarmi.
[da «L’oro delle tigri», traduzione di Tommaso Scarano]
(*) Ricordo che qui, il sabato, regna “cicala”: libraia militante e molto altro, codesta cicala da tempo – per essere precisi: 14 anni – invia ad amiche/amici per 3 o 4 giorni alla settimana i versi che le piacciono; immaginate che gioia far tardi la sera oppure risvegliarsi al mattino trovando una poesia. Abbiamo raggiunto uno storico accordo: lei sceglie ogni settimana fra le ultime poesie che ha inviato quella da regalare alla “bottega” e io posto. Perciò ci rivediamo qui fra 7 giorni. (db)