Kathy Boudin, una storia degli Usa

di Gianluca Cicinelli (*)

Nella letteratura statunitense Kathy Boudin ha ispirato il personaggio di Merry in “Pastorale americana”, di Philip Roth, dove la vita spensierata e conformista dell’alta borghesia a stelle e strisce viene infranta dai disordini sociali e politici degli anni ’60 contro il Vietnam e l’imperialismo Usa. La vera Kathy Boudin è morta ieri a New York per il cancro, aveva 78 anni, venti dei quali passati in prigione per una rapina con esito mortale per due agenti di polizia e ferite gravi per altri due, compiuta quando faceva parte dell’organizzazione militante di sinistra radicale Weather Underground. Dopo la scarcerazione aveva dedicato la sua vita ad aiutare i detenuti.

E’ una parte della storia degli Stati Uniti poco o per niente conosciuta, soprattutto in Italia, quella relativa ai Weather Underground e ai gruppi militanti che scelsero illegalità e clandestinità durante gli anni delle rivolte studentesche e popolari oltre oceano. Se sappiamo molto sulle Black Panters, l’organizzazione rivoluzionaria dei neri statunitensi, non sono al contrario molto conosciute le istanze dei Weather Underground, considerati dall’Fbi un gruppo terroristico interno. Oltre alle iniziative contro la guerra in Vietnam, i Weather Underground parteciparono all’organizzazione e realizzazione dell’evasione di Timothy Leary, il guro dell’Lsd power e della cultura psichedelica, oltre a dichiarare ufficialmente guerra con un documento articolato al governo degli Stati Uniti nel 1970.

Inizialmente le azioni dei Weather Underground, tramite ordigni collocati in punti chiave che venivano fatti sgombrare con telefonate che avvisavano dell’imminente esplosione, furono incruente, finchè tre militanti stessi dell’organizzazione non rimasero dilaniati dalla bomba che stavano costruendo in una casa del Greenwich Village a New York nel 1971. L’organizzazione compì attentati con esplosivi al Campidoglio degli Stati Uniti, al quartier generale della polizia di New York e in altri edifici simbolici. Sul posto lasciavano volantini di rivendicazione contro “l’imperialismo statunitense” che si rifacevano alle lotte di Che Guevara e Ho Chi Minh, denunciavano i privilegi dei bianchi nella società e il razzismo istituzionale. La loro propaganda armata si proponeva di non attaccare le persone, ma le cose alla fine andarono diversamente.

A metà degli anni 70, con la fine della guerra in Vietnam, il gruppo lentamente si sciolse e alcuni di loro scelsero di consegnarsi spontaneamente alle autorità per scontare le pene carcerarie che nel frattempo si erano accumulate. Altri, tra cui Kathy Boudin, continuarono la vita in clandestinità e gli attacchi a obiettivi politici. Durante una rapina compiuta insieme al Black Liberation Army ai danni di un camion blindato della Brink che trasportava valori, vennero uccisi due agenti di polizia, per un bottino di un milione e seicentomila dollari. Kathy Boudin guidava il camion usato per la fuga. Il camion fu fermato per un controllo e Boudin si arrese alzando le mani, ma quando gli agenti aprirono il retro del veicolo gli altri rapinatori aprirono nuovamente il fuoco e un terzo agente rimase ucciso. Nel 1984 si dichiarò colpevole di rapina di prima grado e omicidio di secondo grado, sebbene non presente durante la rapina e disarmata in occasione del secondo conflitto armato con gli agenti.

Durante il processo si rivolse ai familiari delle vittime spiegando che anche se nulla avrebbe potuto ripagare il loro dolore, il suo intento e quello degli altri militanti era di impedire che i crimini del governo contro le persone nere venissero commessi in loro nome. Nonostante questo, esattamente come è avvenuto da noi per molti protagonisti degli anni di piombo, quando fu scarcerata sulla parola nel 2003, dopo 22 anni di carcere, alcuni parenti delle vittime manifestarono pubblicamente il loro dissenso contestando la sua liberazione. Da allora Kathy Boudin si era dedicata prima all’assistenza dei malati di Aids e poi ad aiutare i detenuti, soprattutto nel percorso della giustizia riparativa, fino a ottenere un ruolo di professore a contratto presso la Columbia University.

“Il rimorso mi guiderà per sempre”, aveva dichiarato dopo la scarcerazione, parlandone come di un viaggio molto personale con soste lungo il percorso ma comunque senza fine.
La storia di Kathy Boudin è una storia nascosta di un pezzo di Stati Uniti che non viene quasi mai raccontato nella cultura ufficiale. Una contrapposizione frontale tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 fino allo scontro armato da parte di numerosi gruppi dichiaratamente o comunque al confine con il terrorismo contro il governo di Washington, che viene ignorato anche nei libri di storia, nonostante abbia avuto un peso enorme nella storia e cultura statunitense. Quando leggiamo che artisti come John Lennon erano spiati costantemente dall’Fbi per la loro attività in favore del pacifismo, stiamo in realtà soltanto alzando il coperchio di una pentola i cui ingredienti sono oggi confinati nell’oblio, dai “giorni della rabbia” al ritiro delle truppe Usa dal Vietnam.

La morte avvenuta ieri di Kathy Boudin può riaccendere l’attenzione su un fenomeno complesso e poco studiato fin qua dagli storici, che ha più affinità di quanto non si pensi con le rivolte anti imperialiste, da cui presero il via molte esperienze di lotta armata anche in Europa, seppur in condizioni politiche e sociali diverse dagli Stati Uniti. Ma la storia di quel movimento di cui Kathy Boudin fu militante può aiutare ancora oggi a comprendere la partecipazione di una parte non indifferente di cittadini statunitensi a organizzazioni che si proponevano la distruzione dell’Imperialismo e la costruzione di un mondo senza classi nel cuore del Paese imperialista e classista per eccellenza. Un pezzo di storia abbandonato a una bibliografia basata oggi quasi esclusivamente su documenti dell’Fbi e dichiarazioni dei militanti. Ed è quando gli Stati non vogliono fare i conti con il loro passato che si verificano danni culturali devastanti.

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

Un commento

  • Sulle vicende degli ex appartenenti all’organizzazione Weather Underground, nel 2002 uscì un film documentario di Sam Green e Bill Siegel, titolato proprio Weather Underground, che fu pure fra i candidati all’Oscar come miglior documentario.
    Mentre nel 2012 fu Robert Redford a realizzare un film sull’argomento, “The Company You Kee”, in italiano “La regola del silenzio”, interpretato fra gli altri, oltre allo stesso Redford, da Susan Sarandon, Julie Christie, Nick Nolte. Il film, tratto da un romanzo di Neil Gordon, racconta delle riflessioni di alcuni protagonisti di quelle vicende a trent’anni di distanza dai fatti.
    https://it.wikipedia.org/wiki/The_Weather_Underground
    https://it.wikipedia.org/wiki/La_regola_del_silenzio_-_The_Company_You_Keep

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