La barbarie del femminicidio

Poesie e fotografie riprese da «Lo spazio di Atena» (*)

Maria Consiglia Alvino

Finché morte non ci separi

Il velo nuziale è caduto
non conosco il mio volto
Amore ti chiamai
il mio bene profondo
scavato fin dentro le viscere
questa goccia di tempo
serrata nel pugno.
Erano minuti
il pane livido dei giorni
sottratti, parole scolpite
nella pietra degli occhi.
Non perdono non vendetta
non gioia non cielo.
Un niente da prendere
questo silenzio. Ramifica
dentro un ultimo raggio
la sua lama scarlatta.
Fuori è buio e cori di iene
cantano certezze, nessuno
Risponde. Porgo loro
il mio canto: per sempre
il mio fiore reciso
lo sgomento perduto
– bellezza e allegria, si sappia –
donata allo scempio
un granello di sabbia che se ne va.
Il punto strozzato
non è la fine del canto.
Finché vita non ci separi.

Taci! Ed iniziò tutto
Non era ancora il sangue
la lama infissa nel petto
erano parole coltelli
erano silenzi d’ombra
era il passo indietro
era la finestra chiusa di casa
era la storia, la mia storia negata.
Avrei potuto essere e non sono
Avrei potuto dire e non dico
Avrei potuto fare e non faccio
Questa vita ha profumato
squallidi marciumi inerme
Prima del sangue fu la parola
il silenzio connivente
a farmi morta di tra i vivi
chiostro invisibile senza luce.

Matilde Cesaro

Avevo un paio di scarpe rosse.
Erano di vernice, lucide, col tacco alto, ma nemmeno più di tanto…
Avevo un paio di scarpe rosse
Le avevo comprate per indossarle a Natale
le avrei messe nei giorni di festa
Anche se non c’era proprio nulla da festeggiare
Ma io volevo staccare – anche solo per un attimo – da quella solitudine oscura
Dalle urla
Dalle botte
“Denuncialo” mi dicevano
Certo, lo farò
Intanto incassavo come un buon pugile da condominio
Avevo imparato a non urlare
“Stringi i denti”, mi dicevo, “che poi gli passa”,
“poi si calma”.
Dopo Rimettevo a posto, quasi tutto
la mia anima no, restava sottosopra, incapace di resuscitare
Vivevo nascosta, l’ ombra era il mio rifugio per occultare i segni di tanta violenza
Certo ero io la vittima, e lui il mio bel carnefice
Era bello, ero bella, eravamo belli e innamorati
Di sera passeggiavamo mano nella mano e sognavamo il nostro futuro…
Cancelli alle porte, sbarre alle finestre, bavaglio alla bocca
Non me ne sono accorta subito
È stato una sera, ha cominciato così
Mi ha strattonata, sono finita in un angolo
Ma un secondo dopo mi baciava le mani e mi chiedeva scusa
Un gesto involontario, mi sono detta
un piccolo attimo di follia, subito rientrato
non accadrà più, gli ho creduto, mi sbagliavo
Dopo quella volta ce ne sono stati altri, tanti altri di momenti così
Non si giustificava più e io ho iniziato ad aver paura
Sempre più paura
Mi nascondevo da lui
Mi nascondevo da me
L’ultima volta, quella precedente alle scarpe rosse,
ho creduto proprio di non farcela
Mi teneva la gola e stringeva, stringeva
Dio quanto stringeva!
Mi sono lasciata andare, un naufrago che smette di nuotare, stremato, vinto
Volevo annegare, ero certa che sarebbe successo
Già l’aria non entrava più e io avevo smesso di difendermi
Ha lasciato, così, all’improvviso
Forse ha creduto che fossi morta davvero quella volta
Me lo diceva. “Prima o poi ti ammazzo”.
Ero stata avvertita.
Ho messo la sciarpa, quei segni violacei alla gola erano proprio brutti da vedere e da giustificare
Sono andata in caserma e ancora una volta mi sono sentita ripetere che dovevo stare attenta
Oh io ci stavo attenta
Nemmeno parlavo più, cos’altro avrei potuto fare?
Ho chiesto che lo fermassero, prima che…
mi hanno risposto di farmi refertare.
La mia vita per un referto
“Chieda aiuto, possibile che non ci sia nessuno disposto ad aiutarla?”
Già, possibile che non ci sia?
Tornavo verso la mia prigione
Ho visto quelle scarpe rosse, mi guardavano invitanti
Erano pronte per me
Le ho indossate, le ho portate via con me
Volevo che fosse Natale, volevo cancellare tutto quel terrore che mi mordeva la gola
Volevo essere bella, volevo che fosse bello, volevo che fossimo belli, ancora una volta,                            o solo per quella sera
Mi ha trovata con le scarpe ai piedi
Non ha avuto esitazioni questa volta, cercava un motivo, uno qualunque: e
questa volta ha stretto, ha stretto, ha stretto
Ho chiuso gli occhi, le scarpe scintillavano immobili
Quando sono venuti a prendermi nessuno ci ha fatto caso, mi hanno
portata via che ancora le indossavo
Nessuno ha osato togliermele

Qualche giorno dopo le mie scarpe rosse sono finite insieme ad altre
tante altre
Sneakers, decolté, stivaletti, ballerine
Qualcuna col tacco 10, sandali eleganti
Altre invece malconce, scolorite, suole del quotidiano
Le mie spiccavano tra tutte, erano le ultime arrivate, nuove, scintillanti
Raccontavano di un’altra storia interrotta, una vita spezzata a metà
Non tutte sono finite nell’allestimento, qualcuna ce l’ha fatta e adesso cammina più fiduciosa
(almeno fino a quando non  si ripresenterà alla sua  porta)
Portano addosso i segni dell’inferno appena passato:
Colpi alla testa, al volto, al fianco, sguardo viola, tumefatto,
pelle arsa, divorata dall’acido, cicatrici inguaribili
Lui? Lui è stato fermato, ma era ormai troppo tardi…troppo tardi
Ora deve vedersela con la disperazione di chi è rimasto, di chi gliela vuole far pagare
Non certo la legge che ha avuto una manica molto larga nel giudicarlo
(succede sempre così, non è vero?)
ma così è facile, troppo facile
Io? Io  sto con le altre, tante altre
guardiamo le scarpe, quelle che ci hanno tolto quando non c’era più niente da fare,
un esercito di cuoio rosso, un tappeto di storie, chilometri di storie
Oggi qualcuno le inscatola, sigilla volti e storie. Le mette via per la prossima stagione.
Già pronte per il prossimo 25 novembre e, forse, se ne aggiungeranno di nuove.
Staremo a vedere
Ma chi si occuperà di aggiornare il numero?
Di aggiungere volti e date? (le storie si perderanno come al solito)
La cronologia  è una cosa seria e non andrebbe trascurata!

Floriana Coppola

Dessert

Sei il mio dessert
senza ombra di dubbio
un sapore aspro sulla lingua
irrinunciabile affondo
ti voglio intera: inutile che finga
cosa vuoi per secondo?
non sono diverso da te
e tu non sei diversa, cosa credi?
sei il mio dessert
sulla punta della forchetta
le tue labbra, sul coltello una fetta
sembra sia un gioco diffuso:
stare agganciati come sanguisughe
un bacio vampiro, un morso
un ringhio, un sospetto
sei il mio cibo perfetto
ti porgo il biancore lucente del collo
bello questo abbraccio letale
senza sconti senza promesse
senza domani
non sono diverso da te
cannibale per caso
seduto alla tua tavola
la testa nel piatto
prima mangio il cuore
perché non si dica
che non sia amore

Non amo i prepotenti  e tu
sei il re  di questo tempio
vedo te,  il tiranno di queste stanze maledette
avrei dovuto capirlo,  non lasciarmi fregare
mi hai dato una morte lenta,  un tunnel sotterraneo
mi scava nelle ossa con i suoi denti aguzzi
sento la tua campana battere sulla  testa
continua   il  rosario di sempre
le  sentenze  lanciate  come massi
si abbattono sul  petto, ti prendi il mio sangue
bicchiere dopo bicchiere
sei  uno specchio rotto
in cui non mi voglio più guardare
la stanza  ha pezzi di vetro sul pavimento
ho eseguito come un soldato ogni  comando
ma non  hai  vinto,  la  doppia medaglia
impressa sul volto
mi azzanni ai fianchi e poi sorridi
ho seppellito il passato
il cielo per me è piombo liquido
senza più misura
peso la distanza

Silvana Pasanisi

Dietro la porta

________________________________________________________________Viola
Il mio nome è Viola,
bella,
bella come quando la paura passa.
Porto il nome di tutti gli avi
e il profilo del paese basso che mi vide nata.
Porto occhi scuri e capelli tanti di tutte le mie donne.
Andai via da lui,
sulla forza delle spalle  due figli , pochissime cose e una serie di nutrite infamie.
Ero lontana
ma dietro la porta del nuovo tempo
l’untore scrisse la lettera scarlatta
E mi trovò.
Mi trovò il suo coltello.
Su quell’altare mi sono offerta subito.
Per chiudere gli occhi,
stanchi come pietre,
per salvare i  corpi dei bambini
e ripetere loro
di amare
di amare
di amare.

Giulia

Mi chiamo Giulia
di me so che non ho mai avuto quattordici anni
e che ho un vestito bianco
da prima comunione.
Voi
ce l’avete un corpo,
ancora adesso,
voi che mi avete cosparso di morte,
respirate,
vi coprite d’aria
aria chiusa
alla luce compiacente di un cortile chiuso a sbarre orizzontali e verticali.
Io
ho sei piedi di terra che mi girano sopra
e la mano di un uomo sul cuore.
Ma’,
non è stata colpa mia,
mi hanno preso tutto all’improvviso,
io non volevo mà.
Avevi forza a dire tu “Stai attenta”.
Scusa mà.
non volevo
e non volevo morire
Il giorno dopo, poi,
avrei avuto
tutti pieni e in fila  i miei quattordici anni
e tutti,
tutti mi avrebbero abbracciato.

_______________________________________Alessandra

Alessandra,
il mio nome è Alessandra,
sono nata nel solstizio d’estate.
Morta
ventitré anni dopo
con sette mesi di alba in corpo.
L’avrei chiamata Alba, sì,
ora però io e lei abitiamo lontano,
nel tempo di mezzo di un dio che non governa le cose.
Alla quinta botta nel basso ventre
Ho visto le voci di tanti venirmi in contro,
separare da me quello che amavo.
Lui,
lui aveva le mani obbligate
obbligate dal ritmo convulso sul mio corpo,
fino a finirlo
in una calda forma di sangue.
I tanti,
quegli stessi,
prima non c’erano.
Nessuno credeva alle mie parole mai dette.

Lucia Triolo

Abito da sera

Il ponte sui frutti neri ora è in abito da sera
crespo
l’ignavia
sta a guardare:
donna violentata
tiene in pugno i suoi ragli
di asina scuoiata
la parola diventa macigno
urlante
dentro il suo occhio.
La città si accarezza
fornicando i nervi
stormi di Pilato
si lavano le mani

Almeno ora

Almeno ora
Chi si affaccia al balcone
della mia follia?
Ch’io lo veda!
Che la bestia si mostri!
stringe e butta giù
dove l’ombra s’intenebra
e l’ultimo colpo sfiora il primo
imbastiti in trama d’ore
da mani ch’io baciai
ma non ha occhi il nulla
e non ha voce
tu che passi distratto per strada
almeno ora
attraversa la salmodia
del segno
incrocia almeno ciò che fui
ora che non saprò mai chi
sarei stata

(*) https://versipelleblog.wordpress.com/2020/11/28/lo-spazio-di-atena-contro-il-femminicidio/

Le foto sono di Beatrice Orsini

In occasione della giornata internazionale contro il femminicidio dello scorso 25 novembre Lo spazio di Atena non poteva non far sentire la sua voce. L’assassinio morale, prima ancora che fisico, della donna e delle sue espressioni, è ancora una realtà atroce di fronte alla quale non si può tacere. Femminicidi celebri nella letteratura e nell’arte – si pensi a Pia de’ Tolomei del Purgatorio dantesco, alla Desdemona shakespeariana, alla Carmen dell’omonima opera di Bizet – ci hanno abituato a vedere interpretare l’omicidio della donna da parte dell’uomo che ama come frutto di culture violente, maschiliste e patriarcali, tese a deresponsabilizzare l’uomo dietro la maschera dell’eccesso di amore o di gelosia. E in effetti, come ha sottolineato anche recentemente la psicoanalisi, il femminicidio non può essere equiparato all’omicidio di un uomo da parte di una donna, perché ha questo di particolare: “una donna viene uccisa dal proprio uomo per il sol fatto di essere stata una donna, di essere stata una donna che non ha avuto altro torto se non quello di “aver fatto la donna”, e di aver  amato in quanto donna, e che dunque ha pagato con la vita il fatto di essersi comportata verso il proprio uomo, semplicemente, come donna che amava” (Egidio T. Errico).In Italia il numero elevato di omicidi intra-familiari è indice di una immaturità relazionale che enfatizza la simbiosi piuttosto che l’autonomia e la differenza. Inoltre, la contabilità annuale dei casi di femminicidio rischia di generare assuefazione e indifferenza. Il paradigma va spostato sull’ educazione alla condivisione e alla biodiversità come valore. C’è, insomma, un problema culturale di fondo: lo scarso valore attribuito all’educazione alla parità di genere. Noi de Lo spazio di Atena pensiamo che l’arte possa essere uno strumento per affrontare la barbarie, promuovendo l’empatia necessaria a mettersi nei panni dell’altro e a sentire il suo desiderio di libertà. È la parola poetica uno strumento per toccare e far vibrare il corpo femminile, tanto spesso martoriato e violato, restituendo ad esso forza e dignità. L’arte, in fondo, è uno strumento per sperimentarci ed educare alla reciprocità, immaginando un mondo al di fuori di noi stessi, il rispetto del quale non è scontato. Non si tratta di erudizione culturale, ma di evoluzione esistenziale.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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