La battaglia dei neofascisti nei cimiteri milanesi…

per un “25 aprile nero”. A contrastarli l’iniziativa «Porta un fiore al partigiano»

di Saverio Ferrari e Marinella Mandelli (*)

Questura e prefettura hanno deciso di vietare a Milano la parata nazifascista prevista per la mattina del 25 aprile al Campo 10 del Cimitero Maggiore. Dopo le forti pressioni esercitate da un ampio fronte antifascista, nei confronti anche del sindaco e dell’amministrazione comunale, composto da Anpi, Aned (l’associazione dei deportati), Arci, Camera del lavoro, oltre che da alcuni centri sociali (Lambretta, Zam e Cantiere) si è arrivati a una vittoria. I gruppi neofascisti, stando alle loro esternazioni, pur costretti a entrare alla spicciolata, non intenderebbero comunque rinunciare a forme di presenza organizzata. Da qui la decisione di mantenere l’iniziativa Porta un fiore al partigiano, già unitariamente prevista al Campo della Gloria, dove sono iscritti i nomi e riposano i resti di 1913 partigiani, di 604 perseguitati per motivi razziali e di 459 deportati e bruciati nei campi di sterminio, accanto a molti altri caduti militari nei lager tedeschi.

TRA LE TOMBE DELLE SS

Il Cimitero Maggiore di Milano è divenuto negli ultimi anni teatro di manifestazioni, proprio in occasione della giornata del 25 aprile, che raggiungono il Campo 10, dove, a partire dalla metà degli anni Sessanta, sono stati riuniti i resti di alcune centinaia di caduti della Repubblica sociale. L’Osservatorio democratico sulle nuove destre, a scopo informativo, ha quest’anno approntato un dossier non solo sulle manifestazioni neofasciste nei cimiteri milanesi ma anche su chi in questo campo è stato sepolto. Tra coloro che qui giacciono spiccano i nomi di nove volontari italiani nelle 24a e 29a Divisione Granadier delle SS, di centocinquanta delle Brigate nere, di più di cento della Legione Ettore Muti e di oltre quaranta della Decima Mas. Qui sono state tumulate alcune delle figure che hanno fatto la storia del ventennio fascista e della Rsi: Alessandro Pavolini, l’ultimo segretario nazionale del Partito fascista repubblicano, oltre che comandante generale delle Brigate Nere, i gerarchi Francesco Maria Barracu e Carlo Borsani, e Francesco Colombo, il capo della Ettore Muti. Oltre a costoro, Armando Tela uno dei luogotenenti della “banda Koch”, partecipe diretto di torture e sevizie nella famigerata Villa Triste di via Paolo Uccello (Villa Fossati) dove si fece uso di corde per appendere i prigionieri, di tenaglie per strappare unghie, daghe di ferro da arroventare e mettere sotto i piedi dei partigiani. In questo campo sono anche stati sotterrati tre (sempre della Legione Muti) facenti parte del plotone di esecuzione che fucilò all’alba del 10 agosto 1944 i quindici Martiri di piazzale Loreto.

La forma delle manifestazioni neofasciste per omaggiarli, che si svolte negli scorsi anni, è stata quella di veri e propri cortei per i vialetti del camposanto, animati da alcune centinaia di militanti, principalmente di Lealtà azione e Casa Pound, rigidamente strutturati, quasi in divisa con giubbotti neri con impressi teschi o lo stemma della propria organizzazione. Non di rado sono anche comparse tra chi sfilava parti di tute mimetiche. Giunti al Campo 10, i partecipanti a queste parate, rimanendo in formazione, in una sorta di rito collettivo, salutano romanamente, tra bandiere della Repubblica sociale italiana.

Particolarmente grave, lo scorso anno, è stata la manifestazione organizzata il giorno precedente da alcune associazioni di reduci della Rsi e della Decima Mas (qualche decina i partecipanti); oltre ad esibire il labaro della 29a Divisione delle Waffen SS, in cui militarono volontari italiani, alcuni dei partecipanti ostentatamente indossavano berretti con il simbolo delle SS, scattando a un dato momento in un saluto romano al grido del motto nazista Sieg Heil!

IL MONUMENTO AGLI SQUADRISTI

Manifestazioni apologetiche del fascismo si sono in questi anni tenute non solo al Cimitero Maggiore, ma anche al cimitero Monumentale, presso un sacrario fatto erigere nel 1925 da Benito Mussolini, dove in una cripta sottostante furono progressivamente raccolte le salme di tredici squadristi caduti negli anni Venti. L’opera, tra il liberty e l’art déco, di qualche metro di altezza, era originariamente composta dalle statue di tre giovinetti in posa eroica, uno dei quali con in braccio un fascio littorio sormontato da un’aquila con le ali aperte. Finita la guerra il fascio e l’aquila furono asportati, così la targa commemorativa.

Esaltare le gesta di chi assaltava da squadrista sedi e giornali di sinistra, manganellava e assassinava o aveva militato nei reparti militari e di polizia della Rsi, non è solo un’iniziativa per suscitare clamore, bensì operare per l’affermazione da parte del neofascismo milanese di una un’altra “memoria”, quella dei “vinti”. Un fatto di identità.

Milano, 21 aprile 2017

(*) questo articolo è uscito, in un’altra versione, sul quotidiano «il manifesto» del 22 aprile; le vignette – scelte in redazione – sono di Mauro Biani. Sul neofascismo e il culto politico della morte qui in “bottega” cfr Milano: fra tombe, monumenti e cimiteri. Ospitiamo spesso Saverio Ferrari perché è una delle poche persone che in Italia si occupa da anni, in modo documentato, dei neofascisti e delle molte complicità di cui godono. Qui trovate anche le recensioni dei suoi libri che raccomandiamo a chi vuole davvero sapere cosa sta accadendo e che i media supposti grandi si guardano dal raccontare per ignoranza, se non per complicità. [db]

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