La bellezza è una canzone

di Maria G. Di Rienzo

“La bellezza di una donna non sta nei vestiti che indossa, nella figura che ha, o nel modo in cui si pettina i capelli. La bellezza di una donna si vede nei suoi occhi, perché i suoi occhi sono la soglia che porta al suo cuore. La bellezza di una donna è ciò che viene riflesso dalla sua anima. E’ la cura amorevole che ha delle cose, la passione che mostra: e la bellezza di una donna non fa che crescere con il passare degli anni.” (attribuita ad Audrey Hepburn)

In alcune tribù africane, quando una donna è certa di essere incinta raduna un po’ di amiche e va con loro all’interno della boscaglia. Qui le donne pregano e meditano insieme sino a che non odono la “canzone del bambino”, perché ogni essere vivente ha la sua propria vibrazione e la esprime in modo specifico per gusti e per scopi. Quando le donne sono in sintonia con la canzone, la cantano a voce alta. Poi tornano al villaggio e la insegnano a tutti gli altri.

Il giorno in cui la creatura viene alla luce, l’intera comunità si raduna attorno a lei per cantarle questa canzone. E lo stesso farà in occasione dei suoi riti di passaggio all’età adulta, del suo matrimonio e della sua dipartita da questo mondo.

C’è un’altra occasione in cui la canzone può essere cantata dall’intera tribù, ed è quando l’individuo di cui è significante commette un atto di violenza: gli abitanti del villaggio formano un cerchio attorno a lui o lei e tramite il canto ricordano a questa persona chi è, quali sono i suoi legami, di cos’è fatta la sua identità umana. Sembra che riconoscendo questo non si abbia più ne’ desiderio ne’ bisogno di ferire qualcun altro.

Sorella mia, ascolta. Un amico o un’amica, un compagno o una compagna, la persona di cui puoi fidarti, che ti aiuterà a trovare forza e speranza, è qualcuno che conosce la tua canzone e la canta a te quando la dimentichi. Chi ti ama davvero, chi si cura di te, chi ti riconosce come uguale essere umano, non sarà ingannato dai tuoi errori o dall’immagine oscura che a volte hai di te stessa. Ti ricorderà la tua bellezza quando ti sentirai orribile, ti ricorderà la tua interezza quando ti sentirai spezzata, ti ricorderà la tua innocenza quando ti sentirai colpevole ed il tuo scopo quando ti sentirai confusa. E se tu ami qualcuno e ti curi di qualcuno, farai la stessa cosa per lei o lui.

Riprenditi la tua bellezza. Condividila. Se così tante donne sono infelici del proprio corpo e sono insultate e ferite a causa di esso, è lo standard a loro proposto che deve cambiare, non le donne stesse. Se sei una madre, apprezza il tuo corpo davanti alle tue figlie e figli. Quel corpo vivente non è un fardello, è un dono fantastico, un’opportunità grandiosa, che si sia femmine o maschi.

Dietro i cartelloni pubblicitari, i “consigli per gli acquisti”, le riviste specializzate, gli show televisivi, che suggeriscono ad ogni donna di provare disgusto per se stessa e di correre a riparare i suoi “difetti”, c’è il flusso di miliardi che le industrie relative guadagnano: cosmetici, moda, prodotti dietetici, chirurgia plastica. Nessuna delle immagini proposte cambierà il suo scopo, che è quello di farti sentire inadeguata e insoddisfatta di te stessa, neppure se imponiamo codici di autoregolamentazione o veri e propri regolamenti ai pubblicitari. Potranno coprire una mutanda se protestiamo, o togliere quel cartello dalla strada davanti alla scuola elementare, ma non muteranno la loro attitudine a meno che noi non si rifiuti il modello proposto e si smetta di comprare: i prodotti e le bugie vendute assieme ad essi.

C’è anche, nascosto dalle immagini di divette e modelle, un preciso schema di dominio teso ad esautorarti da qualsiasi ingerenza sociale e politica. Se la tua apparenza diventa più importante della tua salute, più importante dei tuoi talenti, più importante delle tue relazioni, ed il solo focus della tua autostima, si può star certi che non disturberai nessuno preoccupandoti della centrale nucleare che ti costruiscono sotto casa o del fatto che la tua laurea non serve a niente, e meno che mai della gente che muore uccisa dalle bombe lanciate dal tuo Paese o annega in mare nel tentativo di raggiungerlo. Devi misurare il giro-coscia, non c’è tempo per sapere cosa stanno facendo a tutto il resto del villaggio, non c’è tempo per ascoltare la tua canzone, e meno che mai per cantarla. Percepisci di essa un disperato desiderio sospeso, e ciò ti fa sperimentare un malessere senza nome e senza volto.

Spesso vediamo più immagini di donne manipolate dai media di quanto incontriamo donne in carne ed ossa, e finiamo per dimenticare le nostre vere vite. E’ in esse che la nostra canzone risuona. Le nostre esistenze sono un sistema relazionale, non lo specchio di Biancaneve in una stanza dove stiamo da sole. Le nostre parenti, le nostre amiche, le nostre colleghe di lavoro o di studio, le nostre vicine di casa: di sicuro c’è qualcuna di loro che ci ha fatto dono della sua particolare bellezza (ispirandoci, ascoltandoci, preparando un pasto per noi, giocando con noi, ridendo o piangendo con noi) e di sicuro alcune delle loro canzoni si intonano alle nostre. L’attrazione che proviamo l’una verso l’altra in questo caso va molto al di là dell’apprezzamento superficiale e spesso proviamo il desiderio di cantare insieme le nostre canzoni, per vedere dove ci porteranno, se ci sarà qualcuno ad ascoltare e qualcuno che cercherà di armonizzare al nostro canto il proprio.

Certo, ci sarà sempre anche chi verrà a dirci che non possiamo cantare quella canzone a voce alta, che non dobbiamo farla conoscere a nessuno e che dobbiamo toglierci dalla testa l’idea di formare un coro, un coro di donne che cantano ognuna la propria specifica bellezza legandola a quella delle altre. Ma anche costoro possono essere d’aiuto. Ci stimolano a trovare coraggio, a superare la sfida. Sono come i fuochi da campo che bisogna saltare in momenti particolari (chi ha celebrato un solstizio o chi ha fatto la girl-scout mi capisce bene, vero?); spesso il salto si fa tenendo per mano una seconda persona, il che è ancora più esaltante perché ci dà immediatamente il senso di quanto altro potremo fare cooperando invece che confliggendo.

Anche se non siete nate in un villaggio che canta per voi, la vostra canzone vi ricorda sempre quando siete in sintonia con voi stesse e quando non lo siete. Potreste sentirvi a disagio se l’avete appena riconosciuta o se avete cominciato a cantarla da poco, ma perseverate: tutte le grandi soprano si sono sentite così almeno una volta. Continuate a cantare e troverete la via di casa.

Redazione
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Un commento

  • Marco Pacifici

    Cantando fai tre passi e l’Utopia fa tre passi. Canti ancora saltellando per dieci passi e l’Utopia fa dieci passi…allora a che serve? per imparare che camminare cantando forse ne varra’ la pena…

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