La brigata Giulio Regeni – Tersite Rossi

Una storia che sa di giustizia

 

Prima puntata di tre

Cairo, 29 gennaio 2016

– Lasciatemi andare, non ho fatto niente…

Il bastone del Maggiore si abbatté per l’ennesima volta, con violenza, sul corpo di Giulio. Incatenato, ammanettato e indebolito da ormai quattro giorni di sevizie, il ragazzo si limitò a rantolare. Non percepiva più il dolore in modo localizzato. Il taglio sul braccio sinistro, molto profondo. Le ustioni sulla schiena. Le bruciature di sigaretta sul torace. Le dita delle mani spezzate. Le costole rotte, due, tre, forse quattro. I denti saltati, cinque – di questi era sicuro, perché li aveva contati, sputandoli. No, non era nei singoli punti del corpo martoriati e violentati che Giulio sentiva dolore. Il dolore, ormai, era una sensazione assoluta, di provenienza indistinta, inseparabile da se stesso. Lui era dolore. Dolore e nient’altro.

– Basta bugie, stronzo! – ringhiò il Maggiore. – Sappiamo che sei una spia!

Gli altri due uomini nella stanza, i Colonnelli, osservavano con stizza l’agonia dell’italiano. Gli stava sul cazzo, quel coglione di ragazzino, venuto in Egitto a ficcare il naso nei fatti loro, come se gli egiziani fossero africani qualunque, da trattare ancora come colonizzati. Fu il primo Colonnello ad avvicinarsi.

– Facci i nomi dei tuoi informatori e ti lasciamo andare – mentì.

Giulio, riverso a terra bocconi, gli occhi chiusi e il respiro debole, non rispose.

Allora si fece nuovamente avanti il Maggiore, col punteruolo in mano. Sollevò il piede sinistro del ragazzo e glielo conficcò esattamente in mezzo alla pianta, già sanguinante per le precedenti ferite.

Giulio aprì gli occhi per un istante, urlando di dolore, poi perse nuovamente i sensi.

– Forse stiamo esagerando… – buttò lì il secondo Colonnello, accendendosi una sigaretta.

Il primo Colonnello lo fulminò con lo sguardo.

– Abbiamo il benestare del Generale. Andate avanti finché non parla, ci ha detto. Noi stiamo solo eseguendo gli ordini.

Il secondo Colonnello ci rifletté, continuando a fumare. Sì, in fondo era così: stavano solo eseguendo gli ordini. E poi l’italiano se l’era cercata, pensò. Tirò l’ultima, lunga boccata dalla sigaretta e poi passò il mozzicone al Maggiore. Questi si chinò sul ragazzo, lo guardò per un breve istante e poi, con disprezzo, glielo spense sulla guancia, rimanendo a fissare soddisfatto la bruciatura perfettamente circolare che gli aveva procurato. L’ennesima.

Giulio, per sua fortuna, era ancora privo di sensi. Il dolore, almeno per un poco, aveva smesso di esistere.

Roma, 14 ottobre 2021

“Tutto da rifare. Il primo processo per il rapimento e l’omicidio di Giulio Regeni, il dottorando italiano dell’università di Cambridge sparito al Cairo il 25 gennaio 2016 e ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani, neanche inizia che già deve ricominciare. Dopo sette ore di camera di consiglio, infatti, la terza sezione della corte d’Assise di Roma ha deciso che gli atti devono tornare al giudice per l’udienza preliminare. Il motivo? Non c’è la prova che i quattro imputati, i militari egiziani Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, Athar Kamel, Usham Helmi e Tariq Sabir, siano a conoscenza del processo aperto in Italia a loro carico, e in loro assenza. Eppure, il pubblico ministero aveva impiegato un’ora e mezza per mettere in fila davanti alla corte gli elementi raccolti durante l’indagine e ricostruire quella che ha definito un’azione sistematica, messa in atto dai quattro imputati e da altri soggetti della National Security Agency egiziana, per bloccare o rallentare le indagini e impedire il processo in Italia. «Prendiamo atto con amarezza della decisione della Corte, che premia la prepotenza del Cairo» ha dichiarato l’avvocato della famiglia Regeni, ricordando che «a Giulio furono fratturati denti e ossa. Incise lettere sul corpo. La madre lo ha riconosciuto solo dalla punta del naso. E tutto ciò è avvenuto in un luogo di tortura della National Security Agency egiziana. Giulio però non è morto per le torture, ma per torsione del collo: perché qualcuno ha deciso che doveva morire»”.

Marcello finì di leggere la notizia pubblicata online da quel quotidiano e gettò a terra lo smartphone, con la mano tremante di rabbia.

Seguendo le vie legali, per Giulio non ci sarebbe mai stata giustizia. Lo aveva sempre saputo, ma questa era la conferma definitiva. La goccia che faceva traboccare il vaso.

Il tempo dell’azione era arrivato, si disse. Se lo erano sempre detti, lui e Nabil. Se giustizia non arrivava, l’avrebbero fatta loro. Avevano atteso fin troppo. Tirarsi ancora indietro sarebbe stato da codardi.

Senza indugiare oltre, recuperò il telefono da terra e chiamò l’amico.

– Hai saputo? – gli chiese.

– Sì – rispose Nabil.

– Il momento è arrivato – disse Marcello.

– Sì – rispose Nabil.

In un punto del cielo sopra l’Egitto, 25 gennaio 2022, ore 10:03

– Hostess? – domandò Marcello.

La ragazza, una moretta slanciata che stava attraversando di fianco a lui il corridoio del Boeing 737-800 con cui EgyptAir, la compagnia di bandiera egiziana, copriva la tratta aerea fra il Cairo e Roma, si voltò sorridente.

– Può avvicinarsi un momento, per favore?

La ragazza obbedì e ancheggiando tornò sui suoi passi, senza smettere di sorridere.

– Mi dica – disse a Marcello quando gli fu accanto.

– Può annunciare al comandante – le disse lui, sorridendo anch’egli – che c’è una bomba a bordo?

Roma, 25 gennaio 2022, ore 10:46

“La notizia è di pochi istanti fa, appresa da fonti egiziane. Il volo EgyptAir MS791, partito dal Cairo questa mattina alle 9.40 e diretto a Roma, dove doveva atterrare alle 13, è stato dirottato da un gruppo terroristico. I dirottatori sarebbero due, un italiano e un egiziano, e avrebbero dichiarato di appartenere alla brigata Giulio Regeni. Pare che nella stiva dell’aereo sia stato posizionato, prima della partenza, probabilmente da complici, un ordigno programmato per esplodere a mezzogiorno. I terroristi avrebbero ordinato al comandante di dirigersi verso il dismesso aeroporto di Gaza, dove il velivolo dovrebbe atterrare in tempo perché l’ordigno venga disinnescato, salvando la vita agli otto membri dell’equipaggio e ai centoquarantaquattro passeggeri, fra cui settantadue italiani. Al momento non è affatto chiaro, tuttavia, cosa accadrà a quel punto, perché ancora non si conoscono le rivendicazioni né le richieste dei terroristi”.

In un punto del cielo sopra Gaza, 25 gennaio 2022, ore 11:02

– Signore e signori passeggeri, è il comandante che vi parla.

Il comandante Abdel Hussein, pallido e sudato, ebbe un attimo di esitazione.

– Vai avanti – gli disse brusco Nabil, in arabo.

Il comandante deglutì la tensione, si asciugò il sudore dalla fronte e proseguì.

– Stiamo per iniziare la manovra di atterraggio. Atterreremo all’aeroporto di Gaza. Si tratta di un aeroporto chiuso da tempo, per cui sarà un atterraggio di fortuna. Vi prego di allacciare le cinture e di attenervi scrupolosamente alle misure di sicurezza impartite dal personale di bordo.

Il comandante a quel punto allontanò da sé il microfono e posò lo sguardo preoccupato su Nabil, che annuì soddisfatto. Tutto procedeva secondo i piani…

da qui

 

seconda parte

 

terza e ultima parte

 

in bottega si è già parlato di Tersite Rossi qui

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