La cacciata dal Nicaragua-Paradiso terrestre

La cacciata dal Nicaragua-Paradiso terrestre

di Bái Qiú’ēn

Better to reign in Hell, than serve in Heaven.* (John Milton, Paradise Lost, 1667)

El hombre esbozó una sonrisa irónica y melancólica. ¿Qué podía esperar de ella sino curiosidad? Dichosa era que así respondía a la incertitumbre. Él, en cambio, se sentía paralizado, lleno de temor y de arrepentimiento. No quería moverse de allí. Se aferraba a la posibilidad de que Elokim recapacitara y les permitiera regresar.

– Yo creo que debemos pedirle a Elokim que nos perdone, postrarnos hasta que nos deje volver.

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Tra tutte le opere letterarie di Gioconda Belli (che non ha bisogno di presentazioni), una è, a nostro avviso, profetica. El infinito en la palma de la mano è un racconto lungo scritto nel 2007, pubblicato l’anno seguente in vari Paesi e in italiano nel 2009 da Feltrinelli.

Per il titolo, Gioconda si rifà ai versi iniziali di Auguries of Innocence (1803) dell’inglese William Blake: «To see a World in a Grain of Sand / And a Heaven in a Wild Flower / Hold Infinity in the palm of your hand / And Eternity in an hour» (Vedere un mondo in un granello di sabbia e un paradiso in un fiore selvatico, tenere l’infinito nel palmo della mano e l’eternità in un’ora).

Con un misto di poesia e di mistero, Gioconda immagina letterariamente la vita dei progenitori del genere umano dopo la cacciata dal Paradiso terrestre per aver violato il divieto divino. È una storia che tutti conosciamo, credenti e non: «Scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita» (Genesi 3:24).

Il Serpente tentatore, che l’Antico testamento descrive come «il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto», nella versione di Gioconda dice alla donna: «Ma tu e Adamo, a differenza di tutte le altre creature dell’Universo, avete la libertà di decidere ciò che volete. Siete liberi di mangiare o non mangiare i frutti di quest’albero. Elohim sa che la Storia comincerà solo quando avrete fatto uso di questa libertà, ma come vedi ha paura che lo facciate, perché teme che la sua creazione finirà per assomigliargli troppo. Preferirebbe contemplare per sempre il riflesso della sua innocenza. Per questo vi proibisce di mangiare questi frutti e di essere liberi. Ma forse la libertà non è per voi».

La divinità suprema, che a volte è semplicemente denominata El Otro, sa perfettamente che l’uomo e la donna disobbediranno al suo ordine tassativo, nonostante il pericolo di “morte” al quale vanno incontro. Non a caso, Gioconda ipotizza letterariamente che il Serpente sia lo stesso Elohim che li mette alla prova, dicendo loro che sono solo giocattoli nelle mani del Creatore: «Lui preferisce che siate tranquilli e sottomessi, come il cane e il gatto. La conoscenza causa inquietudine, disagio. Non si accettano più le cose come sono e si cerca di cambiarle. […] Ora riposa, ma poi tornerà ad annoiarsi, non saprà cosa fare […]. È così dall’Eternità. Costellazione dopo costellazione».

Eva, personaggio principale, sente sempre più forte la voglia di assaggiare il frutto proibito e così facendo, secondo il Serpente, non commetterà un atto di disobbedienza ma si avvarrà della sua libertà (libero arbitrio). Eva passa molto tempo a riflettere su questo desiderio, fino a convincersi che la volontà del Creatore è che lei assaggi il frutto, altrimenti non l’avrebbe ispirata a farlo e non avrebbe guidato i suoi passi verso l’Albero del Bene e del Male. Intuisce che il Creatore non vuole essere responsabile dell’inizio della Storia, per questo ha dato loro la libertà di scegliere e, con quella libertà, la responsabilità della loro decisione. Eva (archetipo di ogni donna, di ciò che è femminile) fa la propria scelta: piuttosto che una disobbedienza, sceglie di essere libera e assume tutta la propria responsabilità di fronte alla Storia.

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Eva si affrettò. Le sue mani sudavano. Aveva l’impressione che l’aria riuscisse a malapena a riempirle il petto. Allungò la destra e col palmo toccò la ruvida pelle vegetale dell’albero. Aprì le dita. Sentì il corpo intero in tumulto, sembrava non star più nella pelle. Serrò gli occhi. Socchiuse le palpebre. Stava ancora in piedi nello stesso punto. Era ancora viva. Nulla era cambiato. Non sarebbe morta, pensò. Avebbe mangiato il frutto e non sarebbe morta.

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A tutti gli effetti, la causa della cacciata dal Paradiso terrestre non è la violazione del divieto. Il vero timore della divinità è che l’essere umano da lui stesso creato non si accontenti di assomigliargli, ma che possa diventare in tutto e per tutto uguale al Creatore: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre!». In fondo, leggendo con attenzione l’Antico testamento, si tratta di una pura e semplice questione di potere. Di potere eterno, per giunta. Se l’essere umano diventasse uguale a Dio sia per la conoscenza sia per la vita eterna, quale differenza esisterebbe tra il Creatore e il Creato?

È una storia non è sostanzialmente diversa da quella che nel VII sec. a.C. Esiodo narrò nel suo poema mitologico Teogonia: dopo il Caos originario, il titano Urano, dittatoriale e patologico progenitore degli dei greci, appena nati divorava i propri figli affinché nessuno di loro potesse spodestarlo e nello stesso modo si comportò il figlio Kronos, finché Zeus ruppe questa consuetudine.

Attraverso un punto di vista opposto alla leggenda narrata nel Genesi, Gioconda rivisita e “stravolge” la figura di Eva: dalla peccatrice disobbediente secondo la misogina tradizione cristiana (che per secoli ha divulgato l’immagine negativa della donna), la eleva a “madre” della specie umana, grazie alla sua libera scelta e all’assunzione di responsabilità delle proprie azioni.

Nella nota introduttiva, Gioconda afferma di non essere religiosa (ossia credente), ma di essere affascinata “da sempre” da questa vicenda biblica, narrata in pochissime righe nel testo sacro ebraico-cristiano (colmo di contraddizioni e inverosimiglianze logicamente inspiegabili se non con il dogma). Nella prima parte del racconto («Hombre y mujer los creó»), dopo la creazione, la disobbedienza e l’esilio dal Paradiso terrestre, descrive la lotta dei primi due esseri umani per sopravvivere da esuli in un mondo ostile e sconosciuto. Ciò che colpisce maggiormente sono i temi che si intrecciano in modo inestricabile: l’ingiustizia di Elokim (nella traduzione italiana: Elohim) che infligge la sua punizione eterna agli esseri umani, l’impossibilità del suo perdono, l’esilio dal luogo in cui nacquero e la lotta per la loro stessa sopravvivenza.

Forse non è casuale la scelta del nome attribuito alla divinità: nella lingua ebraica Ĕlōhīm è un termine grammaticalmente plurale (quando parla, nel Genesi, usa sempre il plurale «Noi»). Che sia singolo o doppio (androgino) poco importa, in ogni caso nel racconto è un Creatore indifferente, egoista e talvolta assai crudele, come lo descrive il Serpente: «Ovviamente il fatto che voi abbiate osato sfidarlo ferisce il suo orgoglio, ma gli passerà. Ora vi allontana dal Giardino perché teme che mangiate i frutti dell’Albero della Vita e diventerete immortali. Vuole dominarvi col potere della sua eternità».

Il 15 febbraio 2023 Gioconda, come altre decine di nicaraguensi è stata esiliata dal supposto Paradiso terrestre nel quale era nata e cresciuta, privata della nazionalità e persino cancellata dai registri anagrafici: non solo non esiste oggi, ma non è mai esistita.

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Questo romanzo è nato dallo stupore di scoprire risvolti ignoti in una storia antica che credevo di conoscere da sempre.

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Viene da chiedersi se, quando scrisse queste pagine, nello stesso anno in cui Daniel è tornato a occupare la carica di presidente della Repubblica, Gioconda avesse la percezione di ciò che sarebbe accaduto in seguito? Non lo sappiamo, ma spesso la fantasia precorre i crudi fatti della realtà, la quale a sua volta e altrettanto spesso supera anche la più fervida fantasia. Cinque anni fa, comunque, aveva affermato che «Nel 2007, quando Daniel Ortega vinse le elezioni, molti dei suoi ex compañeros, che conoscevamo in prima persona la sua capacità di intrigo e la sua filosofia secondo cui il fine giustifica i mezzi, temevamo la sua ascesa al potere» («Funesta celebración», El País, 24 luglio 2018).

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Eva riepilogò senza falsità né inganni la sua insolita esistenza. Dovette riconoscere che, malgrado la rottura, lei e Adamo conservavano molto più di un semplice ricordo del Paradiso, perché questo era sempre presente e aleggiava sulla loro vita. Non lo avevano perduto. Non lo avrebbero perso fino a quando il suo tratto indelebile avesse continuato a disegnare dentro di loro.

El infinito en la palma de la mano, Seix Barral S.A. 2008

L’infinito nel palmo della mano, Feltrinelli 2009 (trad. Tiziana Gibilisco)

* Meglio regnare all’Inferno, che servire in Paradiso.

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