La casa agganciata alla mongolfiera

Recensione a «I viaggi immaginari: esplorazioni stravaganti e impossibili a spasso per questo e altri mondi» di Edgar Allan Poe

di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia  

«Racconti attraverso i quali lo scrittore americano […] ci conduce in uno straordinario viaggio immaginario, nel tempo e nello spazio, alla scoperta o riscoperta di geografie improbabili, alla creazione di una prima e originale carthographie de l’imaginaire terrestre, alla rivisitazione del passato e all’anticipazione profetica di scoperte e imprese che la scienza, nel momento in cui vengono redatti, era ancora lungi dall’essere in grado di affrontare o soltanto ipotizzare» scrive Alessandro Gebbia nell’acuta, accuratissima e sintetica prefazione al volume, che raccoglie racconti del maestro dell’incubo quali – solo per citarne alcuni – «I colloqui di Monos e Una», «Una discesa nel Maelström», «Il manoscritto trovato in una bottiglia», che portò al suo autore una momentanea fama e molti elogi, «La rivelazione mesmerica», un capolavoro assoluto di precisione e di sospensione di qualsiasi giudizio paranormale, per passare al divertentissimo «Von Kempelen e la sua invenzione» e ritrovarsi in conclusione con il mirabile e agghiacciante «L’uomo della folla», che costituisce forse la vera pietra miliare del Poe indagatore dell’incubo.

Le antologie sono un grosso rischio di certezza calcolata e di fastidio malcelato: tendono alla parzialità.

Rinchiudere certi brani di un autore (di chiunque) significa inglobarlo in una gabbia predeterminata molto simile al mitico letto dell’oste Procuste. O viene adattato in malo modo oppure osannato in un miele che va stretto alla scrittura in genere. A peggiorare la situazione è la certezza che i testi, anche dopo la morte del loro autore, continuano a vivere di una vita propria, esattamente come i ritratti. Dunque il tentativo di comporre un’antologia che presenti un aspetto di Edgar Allan Poe inedito alla maggioranza delle persone assume le caratteristiche di un’opera titanica, perarltro… davvero ben riuscita.

Dai dialoghi post mortem, magari con tecniche quali l’arte del magnetismo di Franz Anton Mesmer, per arrivare a invenzioni di sana pianta come Von Kempelen, per arenarsi nell’incubo e nell’allucinazione pura di Monos e Una, il viaggio si dipana tra isole dialetticamente concatenate fra loro, un viaggio senza carta geografica, per tracciare i confini dell’inconscio. Non una mera rappresentazione del murmure interiore, ma un vero tentativo di dare forma a ciò che è informe, coscienza a ciò che è incosciente.

Un motivo conduttore che attraverso come una sottile linea rosso sangue tutta l’opera di Poe: ben rappresentata nell’oculata scelta di racconti che godono di una nuova e fresca traduzione, senza tradire però l’afflato arcaicizzante del Poe illuminista gotico.

Magari, invece di «Una celebrità» io avrei visto meglio «Un’avventura sulle Ragged Mountains”, vero e proprio capostipite dei racconti sui viaggi nel tempo di cui la fantascienza si sarebbe nutrita a piene mani grazie a Herbert George Wells. Ma la presenza di «L’uomo camelopardo» è più che meritata, con uno scorcio divertente in cui storia classica e mito convergono felici in una sola opera. «L’uomo della soglia», posto a conclusione, suggella gli incubi di uno scrittore che ancora oggi affascina e fa discutere, che affonda nell’inconscio per rimanere imprigionato nelle maglie dei custodi dell’abisso.

«Lui è l’uomo della folla. Seguirlo è inutile, perché non saprò mai niente di lui e delle sue azioni. Il peggior cuore del mondo è un libro grossolano dell’ Hortulus Animae e forse è una grande misericordia di Dio che er lässt sich nicht lessen».

Non permette di essere letto. Forse una grande misericordia che l’animo di un antico serial killer non possa essere letta, forse perché alla fine l’abisso, come afferma Friedrich W. Nietzsche in un aforisma dell’opera «Al di là del bene e del male», getterebbe uno sguardo sul malcapitato scienziato che si fosse gettato nell’impresa.

Il giardino del male è un hortus conclusus, le cui regole sono sconosciute; e i suoi rami attecchiscono in ogni luogo.

Un giardino vasto come l’oceano della «Discesa nel Maelström», un vortice tremendo che affonda le navi e trasporta direttamente all’inferno i malcapitati naviganti, come fu per Ulisse e i suoi compagni.

In sostanza, un’antologia di pregio, ben curata e ben tradotta: copertina nero ocra recante l’immagine di una casa galleggiante nell’aria, agganciata a una mongolfiera. Come la nostra ragione, una casa che vola in alto sospesa con fili sottilissimi. Anche troppo fragili.

Edgar Allan Poe

«I viaggi immaginari» («Esplorazioni stravaganti e impossibili a spasso per questo e altri mondi»)

Antologia di racconti a cura di Alessandro Gebbia, con una sua prefazione.

Gargoyle Books, 330 pagine per 17 euri

 

Redazione
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2 commenti

  • Condivido l’impianto della recensione di Fabrizio: bell’antologia, Edgar Allan Poe ha ancora molto da dirci. «Fin dal suo esordio l’intento di Poe è trascendere l’immantinente, escludere il concreto, travalicare confini e spazi temporali, insistere sull’iperbole, sul paradosso, sulla hoax, sulla mistificazione e la burla» annota Gebbia: «lucidità nevrotica», citando Edmund Wilson. «Sognare è stato il compito della mia vita» si legge in «L’appuntamento».
    Qualcosa è inevitabilmente invecchiato ma molti racconti – «Quattro chiacchiere con una mummia», «Una discesa nel Maelstrom», persino il burlesco «Il sistema del dottor Tarr e del professor Fether» o il citato «L’appuntamento» – reggono ancora benissimo, nonostante oggi abbiamo letto decine (o centinaia?) di imitazioni o variazioni, magari con l’aggiunta di effetti speciali.
    Colpisce negativamente in molti passaggi la paura di Eap per il progresso, la sua ignoranza della scienza anche quando la loda. C ‘è in lui un fastidioso, in certe pagine insopportabile, classismo inconscio: il meglio dell’umanità sono sempre i gentiluomini, facoltosi, di classi elevate, di buone famiglie, civilizzati, rispettabili e ovviamente…. uomini bianchi. L’unico nero descritto (e insultato) in questa antologia è uno schiavo mostruoso. Gli indiani sono feroci e traditori. Le donne più pazze della media umana… Del resto se si leggono i gialli di Agatha Christie c’è di peggio, da questo punto di vista: anche le penne più interessanti sono inevitabilmente schiave dell’ideologia dominante. Eppure qualcosa di sovversivo in Poe affiora di continuo, fors’anche suo malgrado: l’idea che è in corsa «una gara serrata» fra la ragione e la pazzia, che i sogni e gli incubi possono prendere – già hanno preso? – il posto della realtà. Molto ci dice Eap e altrettanto resta da decifrare. Infine ricordo che su di lui in blog c’è un bellissimo post – è la «scor-data» del 19 gennaio 1809 – di Fabio Troncarelli e che Gianfranco Manfredi lo ha resuscitato come comprimario “abusivo” (tutti lo chiamano Poe ma è solo un giornalista che gli somiglia) nella serie di «Magico vento», da poco tornata nelle edicole in edizione colorata; se non sapete di cosa sto parlando… qui in blog c’è quel che serve per soddisfare la curiosità. (db)

  • Bellissima recensione dell’Antologia dei viaggi immaginari di E.D.P. !
    Se fosse possibile procurarsi una lama sottile, come a Cittagazze, per praticare un semplice taglio nella membrana che separa le diverse realtà (citazione da Philip Pullman e dalla sua trilogia “Queste oscure materie”)… forse si potrebbe non solo superare i confini tra i vari universi coesistenti nel maelström del Tempo, ma anche vedere al di là di molti veli… Al di là delle maschere sociali di genere appioppate da una società maschilista e amante delle “belle immagini”, invalse tra i branchi di mannare pecore, dove tutto è concesso nella misura in cui non è manifesto… perché “ciò che è nascosto esiste davvero?”. Così scompaiono nomi di colpevoli e perfino definizioni di colpe… nel “giardino del male (che) è un hortus conclusus, le cui regole sono sconosciute; e i suoi rami attecchiscono in ogni luogo.”
    Bellissimo questo passo. Evoca l’oscuro giardino infernale dell’opera di Hieronymus Bosch e Les Enfers di Monsù Desiderio… Un luogo dell’anima, appunto: o dello spirito ( per chi non crede che vi sia un dopo morte) umano, dove tutto ha origine e prende “intenzione”… Il primo hortus conclusus, in principio non connotato da una scelta di parte… ma che poi può divenire recesso di ogni aberrazione, di ogni scelta che porta in sé il seme della tenebra primordiale… Senza che vi sia nessun trickster ad alleggerire il peso dell’orrore…

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