«La chiave di Sara», ieri e oggi…

un film da recuperare e forse da rileggere dopo l’ultima uscita “revisionista” di Benjamin Netanyahu

di Domenico Stimolo

LachiavediSARA

Sabato sera la rete televisiva La7d ha trasmesso «La chiave di Sara». Io l’ho rivisto ancora. Film eccelso, sul piano storico e umano. L’immane tragedia dello sterminio degli ebrei, vissuta da una bambina francese. Sono moltissimi i film che hanno rievocato l’Olocausto che si consumò in tutti i Paesi europei. Però questo – prodotto nel 2010 e proiettato Italia nel 2012 – che è tratto dal libro di Tatiana de Rosnay e diretto dal giovane regista francese Gilles Paquet-Brenner, mi è parso memorabile nella ricostruzione storiografia di un evento nefasto consumatosi in Francia e nella potenza narrativa che raccorda la memoria con la “ereditata” odierna quotidianità, racchiudendo un pathos “unico” in sentimenti, universalità e insegnamenti civili e democratici.

Sara, dieci anni, è (assieme alla sua famiglia) una delle 13.152 persone di religione ebraica – 5802 donne, 4115 bambini – rastrellate a Parigi il 12 luglio 1942 su ordine dell’esercito nazista che occupa la capitale e tutta la Francia del Nord, mentre al sud c’è il governo collaborazionista di Vichy. La polizia francese svolse un ruolo primario nelle azioni di rastrellamento e nel fornire gli indirizzi degli ebrei parigini. Oltre settemila di loro per molti giorni furono rinchiusi nel Velodromo d’inverno, gli altri imprigionati nel campo di transito di Dransy. Poi tutti furono avviati nel lager di sterminio.

Sara riesce a fuggire in territorio francese. Con dilaniante angoscia porta con sé la chiave dell’armadio dove è rimasto rinchiuso, per ingenuo nascondimento, il fratellino, ritrovato poi morto, per inedia e asfissia, dai nuovi inquilini francesi.

Riflettevo – per “contiguità” tematica – sulle incredibili esternazioni del primo ministro dello Stato d’Israele Netanyahu sulle “vere” origini dello sterminio, rapidamente scomparse sugli organi di informazione nel corso di pochi giorni. Tanto, nelle perenne società dello spettacolo, “tutto fa brodo”.

Due popoli oppressi, dalle farneticazioni che portano anche a falsificare le “motivazioni” che hanno determinato lo sterminio nazifascista di milioni di persone di religione ebraica, nel contesto degli oltre cinquanta milioni di vittime nell’ambito europeo, attribuendo quei massacri al suggerimento del Gran Muftì palestinese Al Husseini, raccolto da Hitler e dalla Germania nazista che invece volevano inviare gli ebrei in “amene località vacanziere”.

Un popolo (israeliano) che nella perversa drammatica gestione della moderna, scientifica e gigantesca “chiave di Sara” imprigiona (all’aperto e al chiuso) nel suo territorio il popolo palestinese, con morti e feriti, sottomesso psicologicamente alle trame di una sostanziale imperialista dittatura militare che, richiamando sempre e strumentalmente l’Olocausto, rifiuta la soluzione di due popoli civilmente e pacificamente conviventi; l’altro popolo, duramente represso e quotidianamente vessato, distrutto, ucciso e disperso, da quasi un settantennio.

Dopo le “innovative” e tremende esternazioni di Netanyahu sull’origine dell’assassinio di milioni di ebrei, in Israele politicamente c’è “calma piatta”. Come se nulla fosse accaduto. Anche in Italia e in Europa, sulla questione, c’è il solito e mellifluo tran-tran. In un scritto ripreso da un quotidiano italiano, leggo che lo scrittore israeliano David Grossman definisce la dichiarazione di Netanyahu «un fallimento quasi mostruoso”. Tanto si sa… domani è sempre un altro giorno, tranne per gli oppressi, palestinesi. 

Nel film, la chiave dell’armadio custodita da Sara viene ritrovata molti anni dopo da una donna tenace che si assume l’ “eredità”. In Palestina la “chiave” dell’enorme prigione è stata definitivamente buttata a mare.

 

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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