La Chiesa Cattolica non è (e non è mai stata) contro la pena di morte

di Claudio Giusti (*)

 

Anche se papa Woytila e papa Francesco hanno fatto esplicite dichiarazioni abolizioniste la sostanza non è ancora cambiata e la Chiesa cattolica non ha obbiezioni di principio all’utilizzo del patibolo (che ha largamente impiegato fino al 1870).

Nella speranza che le dichiarazioni si trasformino in cambiamenti di sostanza faccio notare che:
Negli ultimi quarant’anni la posizione cattolica ufficiale è sempre stata questa (come scrive Alessia Bruni): «Se la pena capitale non c’è è meglio, ma se c’è lo Stato ha il diritto, se non il dovere, di eliminare il reo».

La dottrina ufficiale si rifà a quella del “bene comune” di san Tommaso d’Aquino e alla tradizione, come se la sistematica violazione dei diritti umani fosse di per sé giustificazione e legalizzazione. (confronta Italo Mereu «La morte come pena», Donzelli, 2000).

L’affermazione ricorrente, inserita in ogni discorso, è che «i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono ormai molto rari, se non addirittura inesistenti».

Non vi è stata occasione ufficiale, come il saluto agli abolizionisti italiani (1) o a quelli di tutto il mondo (2) in cui questa posizione non sia stata ribadita.

Lo Stato ha quindi, secondo la Chiesa cattolica, il diritto di eliminare il reo, ma i rei da eliminare sono ormai inesistenti e quindi si può fare a meno del boia.

Posizione contraddittoria e al contempo fragile. Se vi erano casi di persone da eliminare quali erano? E perché oggi non ve ne sarebbero più? Nessuno si è mai preoccupato di dare risposta.

(1) L’APPELLO DEL PAPA CONTRO LA PENA DI MORTE

CITTÀ DEL VATICANO, 12 DICEMBRE 1999
http://www.santegidio.org/it/pdm/news/int_papa.htm

http://www.santegidio.org/it/pdm/colosseo.htm

– Il papa chiede con forza alla comunità internazionale di trovare un “consenso” per «l’abolizione della pena di morte» e intanto di dar vita a una “moratoria” delle esecuzioni capitali. Giovanni Paolo II, che a più riprese è intervenuto contro la pena capitale e che in moltissime occasioni ha chiesto ai governi interessati la grazia per i condannati a morte, ha rinnovato il suo appello in favore della vita dopo aver recitato l’Angelus, dalla finestra del suo studio. «Stasera al Colosseo – ha sottolineato papa Wojtyla – si terrà una manifestazione che si inserisce nella campagna mondiale in favore di una moratoria della pena di morte. Il grande giubileo è un’occasione privilegiata per promuovere nel mondo forme sempre più mature di rispetto della vita e della dignità di ogni persona». «Rinnovo, pertanto, il mio appello a tutti i responsabili, affinché si giunga ad un consenso internazionale per l’abolizione della pena di morte, dal momento che – ha detto citando il catechismo della Chiesa cattolica – i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono ormai molto rari, se non addirittura inesistenti». (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2267)

(2) Cardinale Tarcisio Bertone

Declaration at the 4th World Congress against the Death Penalty Geneva,24-26 February 2010

http://www.abolition.fr/test/upload/docs/Cardinal%20Tarcisio%20Bertone%20Declaration%20at%20the%204th%20World%20Congress%20against%20the%20Death%20Penalty%20Geneva.pdf

First of all, I would like to convey my sincere best wishes to all the participants at the Fourth World Congress Against the Death Penalty in Geneva.

Indeed, this event highlights once more the awakening of consciences to the need for greater recognition of the inalienable dignity of the human person and the universality and inseparability of human rights, beginning with the right to life. In continuity with its practice at the three previous Congresses, the Holy See reiterates its support for all initiatives aimed at defending the inherent value and inviolability of every human life from the moment of conception until natural death.

The growing public opposition to the death penalty is strictly connected to the fact that modem society has the means of effectively suppressing crime by rendering criminals harmless without definitively denying them the chance to reform. Presuming that the identity and responsibility of the guilty party has been fully established, the traditional teaching of the Church does not exclude the death penalty when this is the only practicable way to defend the lives of human beings effectively against the aggressor. However, non-lethal methods of deterrence and punishment are preferred as they better correspond to the concrete conditions of the common good and are more in conformity to the dignity of the human person.

The increasing number of countries adopting provisions to abolish the death penalty or suspend its application is also proof of the fact that cases in which it is absolutely necessary to execute the offender are very rare, if not practically non-existent.

The Geneva Congress takes place at a time when the campaign to abolish the death penalty has made considerable progress in the Western world, but is still facing the disturbing fact that executions are on the increase in other parts of the world. For this reason, I invite the participants to reflect on suitable guiding principles and effective measures for a criminal justice system which would better correspond to present day needs and concerns, while defending the common good and making possible the correction and rehabilitation of the guilty.

EVANGELIUM VITAE

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae_it.html#$1C

27. Tra i segni di speranza va pure annoverata la crescita, in molti strati dell’opinione pubblica, di una nuova sensibilità sempre più contraria alla guerra come strumento di soluzione dei conflitti tra i popoli e sempre più orientata alla ricerca di strumenti efficaci ma «non violenti» per bloccare l’aggressore armato. Nel medesimo orizzonte si pone altresì la sempre più diffusa avversione dell’opinione pubblica alla pena di morte anche solo come strumento di «legittima difesa» sociale, in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che l’ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi.

56. In questo orizzonte si colloca anche il problema della pena di morte, su cui si registra, nella Chiesa come nella società civile, una crescente tendenza che ne chiede un’applicazione assai limitata ed anzi una totale abolizione. Il problema va inquadrato nell’ottica di una giustizia penale che sia sempre più conforme alla dignità dell’uomo e pertanto, in ultima analisi, al disegno di Dio sull’uomo e sulla società. In effetti, la pena che la società infligge “ha come primo scopo di riparare al disordine introdotto dalla colpa” (46). La pubblica autorità deve farsi vindice della violazione dei diritti personali e sociali mediante l’imposizione al reo di una adeguata espiazione del crimine, quale condizione per essere riammesso all’esercizio della propria libertà. In tal modo l’autorità ottiene anche lo scopo di difendere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone, non senza offrire allo stesso reo uno stimolo e un aiuto a correggersi e redimersi (47).

È chiaro che, proprio per conseguire tutte queste finalità, la misura e la qualità della pena devono essere attentamente valutate e decise, e non devono giungere alla misura estrema della soppressione del reo se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della società non fosse possibile altrimenti. Oggi, però, a seguito dell’organizzazione sempre più adeguata dell’istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti.

In ogni caso resta valido il principio indicato dal nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, secondo cui «se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere le vite umane dall’aggressore e per proteggere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana» (48).

71. Urge dunque, per l’avvenire della società e lo sviluppo di una sana democrazia, riscoprire l’esistenza di valori umani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono dalla verità stessa dell’essere umano ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo riconoscere, rispettare e promuovere. Occorre riprendere, in tal senso, gli elementi fondamentali della visione dei rapporti tra legge civile e legge morale, quali sono proposti dalla Chiesa, ma che pure fanno parte del patrimonio delle grandi tradizioni giuridiche dell’umanità.

Certamente, il compito della legge civile è diverso e di ambito più limitato rispetto a quello della legge morale. Però “in nessun ambito di vita la legge civile può sostituirsi alla coscienza né può dettare norme su ciò che esula dalla sua competenza”90 che è quella di assicurare il bene comune delle persone, attraverso il riconoscimento e la difesa dei loro fondamentali diritti, la promozione della pace e della pubblica moralità91. Il compito della legge civile consiste, infatti, nel garantire un’ordinata convivenza sociale nella vera giustizia, perché tutti “possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità” (1 Tm 2, 2). Proprio per questo, la legge civile deve assicurare per tutti i membri della società il rispetto di alcuni diritti fondamentali, che appartengono nativamente alla persona e che qualsiasi legge positiva deve riconoscere e garantire. Primo e fondamentale tra tutti è l’inviolabile diritto alla vita di ogni essere umano innocente. Se la pubblica autorità può talvolta rinunciare a reprimere quanto provocherebbe, se proibito, un danno più grave,92 essa non può mai accettare però di legittimare, come diritto dei singoli — anche se questi fossero la maggioranza dei componenti la società — l’offesa inferta ad altre persone attraverso il misconoscimento di un loro diritto così fondamentale come quello alla vita. La tolleranza legale dell’aborto o dell’eutanasia non può in alcun modo richiamarsi al rispetto della coscienza degli altri, proprio perché la società ha il diritto e il dovere di tutelarsi contro gli abusi che si possono verificare in nome della coscienza e sotto il pretesto della libertà93.

Nella Enciclica Pacem in terris, Giovanni XXIII aveva ricordato in proposito: «Nell’epoca moderna l’attuazione del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei doveri della persona. Per cui i compiti precipui dei poteri pubblici consistono, soprattutto, nel riconoscere, rispettare, comporre, tutelare e promuovere quei diritti; e nel contribuire, di conseguenza, a rendere più facile l’adempimento dei rispettivi doveri. “Tutelare l’intangibile campo dei diritti della persona umana e renderle agevole il compimento dei suoi doveri vuol essere ufficio essenziale di ogni pubblico potere”. Per cui ogni atto dei poteri pubblici, che sia o implichi un misconoscimento o una violazione di quei diritti, è un atto contrastante con la loro stessa ragion d’essere e rimane per ciò stesso destituito d’ogni valore giuridico»94.

72. In continuità con tutta la tradizione della Chiesa è anche la dottrina sulla necessaria conformità della legge civile con la legge morale, come appare, ancora una volta, dall’enciclica citata di Giovanni XXIII: «L’autorità è postulata dall’ordine morale e deriva da Dio. Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell’ordine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare la coscienza…; in tal caso, anzi, chiaramente l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso»95. È questo il limpido insegnamento di san Tommaso d’Aquino, che tra l’altro scrive: «La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza»96. E ancora: «Ogni legge posta dagli uomini in tanto ha ragione di legge in quanto deriva dalla legge naturale. Se invece in qualche cosa è in contrasto con la legge naturale, allora non sarà legge bensì corruzione della legge»97.

Ora la prima e più immediata applicazione di questa dottrina riguarda la legge umana che misconosce il diritto fondamentale e fontale alla vita, diritto proprio di ogni uomo. Così le leggi che, con l’aborto e l’eutanasia, legittimano la soppressione diretta di esseri umani innocenti sono in totale e insanabile contraddizione con il diritto inviolabile alla vita proprio di tutti gli uomini e negano, pertanto, l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Si potrebbe obiettare che tale non è il caso dell’eutanasia, quando essa è richiesta in piena coscienza dal soggetto interessato. Ma uno Stato che legittimasse tale richiesta e ne autorizzasse la realizzazione, si troverebbe a legalizzare un caso di suicidio-omicidio, contro i princìpi fondamentali dell’indisponibilità della vita e della tutela di ogni vita innocente. In questo modo si favorisce una diminuzione del rispetto della vita e si apre la strada a comportamenti distruttivi della fiducia nei rapporti sociali.

Le leggi che autorizzano e favoriscono l’aborto e l’eutanasia si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di autentica validità giuridica. Il misconoscimento del diritto alla vita, infatti, proprio perché porta a sopprimere la persona per il cui servizio la società ha motivo di esistere, è ciò che si contrappone più frontalmente e irreparabilmente alla possibilità di realizzare il bene comune. Ne segue che, quando una legge civile legittima l’aborto o l’eutanasia cessa, per ciò stesso, di essere una vera legge civile, moralmente obbligante.

NOTE
46 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2266.

47 Cf Ibid.

48 N. 2267.

93 Cf Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 7.

94 Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), II: AAS 55 (1963), 273-274; la citazione interna è tratta dal Radiomessaggio della Pentecoste 1941 (1° giugno 1941) di Pio XII: AAS 33 (1941), 200. Su questo argomento l’Enciclica fa riferimento in nota a: Pio XI, Lett. enc. Mit brennender Sorge (14 marzo 1937): AAS 29 (1937), 159; Lett. enc. Divini Redemptoris (19 marzo 1937), III: AAS 29 (1937), 79; Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1942): AAS 35 (1943), 9-24.

95 Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), l.c., 271.

96 Summa Theologiae, I-II, q. 93, a. 3, ad 2um.

97 Ibid., I-II, q. 95, a. 2. L’Aquinate cita S. Agostino: “Non videtur esse lex, quae iusta non fuerit”, De libero arbitrio, I, 5, 11: PL 32, 1227.

CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

http://www.vatican.va/archive/ccc_it/ccc-it_index_it.htmln

Articolo 5: Il quinto comandamento

2263 La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un’eccezione alla proibizione di uccidere l’innocente, uccisione in cui consiste l’omicidio volontario. «Dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l’altro è l’uccisione dell’attentatore»174 . «Nulla impedisce che vi siano due effetti di uno stesso atto, dei quali uno sia intenzionale e l’altro preterintenzionale»175.

2264 L’amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale: «Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita […]. E non è necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui»176.

2265 La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità.

2266 Corrisponde ad un’esigenza di tutela del bene comune lo sforzo dello Stato inteso a contenere il diffondersi di comportamenti lesivi dei diritti dell’uomo e delle regole fondamentali della convivenza civile. La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto. La pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, essa assume valore di espiazione. La pena poi, oltre che a difendere l’ordine pubblico e a tutelare la sicurezza delle persone, mira ad uno scopo medicinale: nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole.

2267 L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani.

Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana.

Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo «sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti»177.

NOTE

174 San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 64, a. 7, c: Ed. Leon. 9, 74.

175 San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 64, a. 7, c: Ed. Leon. 9, 74.

176 San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 64, a. 7, c: Ed. Leon. 9, 74.

177 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 56: AAS 87 (1995) 464.
(*) Questo dossier fa riferimento al post «Francesco dice senza mezzi termini: “Abolite la pena di morte!”» che trovate qui:
<http://danielebarbieri.wordpress.com/2014/11/30/francesco-dice-senza-mezzi-termini-abolite-la-pena-di-morte/>

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