La crociata anticanapa di Salvini fra la vita e la morte

di Enrico Fletzer

Il mio amico della mitica Libreria Bastogi di Orbetello mi ha interrogato sulle ragioni delle sparate di Salvini contro la canapa. Facendone addirittura una questione di vita o di morte e nel contempo facendo crescere artificialmente le quotazioni dei suoi sfigatissimi alleati di governo. Recitando la parte altrettanto improbabile del poliziotto cattivo rispetto al poliziotto buono per mantenere in piedi la coalizione anche dopo le elezioni europee.

Stiamo parlando di un genere di canapa completamente legale e buono per fare delle tisane con effetti paragonabili alla camomilla ma con alcuni effetti terapeutici comprovati, dovuti al cannabidiolo-Cbd cioè un componente in parte mitigante gli effetti psicotropi del Thc tuttora sottoposto al controllo internazionale in molti ma non i tutti i Paesi (con l’esclusione di Canada, Uruguay e …Corea del Nord).

La risposta me l’ha data direttamente il libraio sostenendo come attaccare la canapa equivalga nei fatti ad attaccare la sinistra e come in fondo attaccare chi risponde come Zingaretti – che si dichiara contrario al progresso – equivalga a sfondare una porta aperta. Proprio e nonostante proprio tutto congiuri per la normalizzazione e regolamentazione più o meno liberista o socialista del fenomeno. Come testimonia il crescente interesse di importanti gruppi industriali nel nostro Paese, non da ultimo un possibile interessamento del gruppo Unipol. Per non parlare delle decine di migliaia di punti vendita e di posti di lavoro spesso gestiti dalla sinistra diffusa che costituiscono un pugno in faccia per Salvini che vorrebbe chiuderli uno a uno secondo il principio di “molti nemici tanto onore” e che potrebbero trasformarsi in inediti e provvidenziali seggi elettorali per una sinistra che su questi temi potesse finalmente dimostrare di avere le carte in regola.

Il fenomeno proibizionista – legato allo stigma di intere categorie sociali o etniche – non è un fenomeno nuovo. Basti pensare alla repressione dei Baccanali nell’antica Roma che influenzò in gran parte i primi cristiani uniti nella condivisione del pane e del vino, una sostanza allora vietata alle donne e il cui consumo era punito con la morte. La repressione di Spartaco e dei rave ante litteram della “città eterna” hanno costituito – secondo molti storici – uno dei fattori favorevoli alla diffusione del cristianesimo catacombale.

Nel frattempo la politica ma anche gran parte della sinistra ha tradito i consumatori di cannabis dopo il tracollo dell’iniziativa «canapa legale» sostenuta a parole da quasi 400 fra deputati e senatori.

Ma un punto di allarme è dovuto anche al fatto che le sparate di Salvini sono state precedute da squilli di tromba che puntano alla riapertura della “guerra alle droghe” dalle colonne di Repubblica e Corriere della sera, organi di stampa che pure “contrastando” Salvini forse pensano a un riposizionamento futuro sulla dimensione della «legge e ordine» proprio e nonostante il palese fallimento proibizionista.

Il ministro degli Interni avversa la normalizzazione dei fenomeni, a cominciare dall’immigrazione o dal diritto di asilo. Anche perché – analogamente alla questione della canapa – si tratta di fenomeni epocali, quasi irreversibili in condizioni di democrazia che pur tuttavia Salvini vuole osteggiare e “sconfiggere” a tutti i costi magari nel giro di una settimana e non nel giro di un decennio come voleva fare il “compagno” Pino Arlacchi all’Onu. Facendo del superamento della democrazia trasformata in optional uno dei punti dell’agenda, nonostante che nel caso della cannabis delle importanti imprese italiane di stampo post-socialdemocratico stiano già investendo nel settore .Anche qui si procede con piglio decisamente antidemocratico ed eversivo mentre perfino il Vaticano si butta nella mischia stravolgendo il concetto di legalità all’italiana.

Mentre negli Stati Uniti la cannabis è divenuta mainstream, Salvini e soci ci propongono un ritorno al Medioevo e alle piccole patrie patriarcali mentre per ora altrettanto forti prevalgono le concezioni delle élite dominanti conservatrici e bigotte di cui è espressione lo stesso Zingaretti con la complicità di Marco Furfaro (in rete è presentato nientemeno che come “astro nascente del PD”) che doveva marcare un segnale di discontinuità. Entrambi gli schieramenti vedono nella repressione uno strumento straordinario di controllo dell’ansia sociale di cui si nutrono per ora soprattutto i populisti di ogni colore. Tertium datur?

LE VIGNETTE – scelte dalla “bottega” – sono di Vincenzo Apicella: è il nostro modo per ricordare un compagno (e antiproibizionista) vero. Qui sotto in un autoritratto verace e schierato.

 

 

Redazione
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Un commento

  • sotto l’intervento, il volantino che distribuiremo come Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud alla STREET PARADE ANTIPROIBIZIONISTA CANAPISA 2019
    SABATO 18 MAGGIO ore 16 zona STAZIONE

    PSICOFARMACI e PSICHIATRIA: ATTENZIONE ALL’EPIDEMIA!!

    Anche quest’anno parteciperemo a Canapisa per sostenere la lotta antiprobizionista e ribadirne l’affinità con quella antipsichiatrica. Rivendichiamo la libertà di scegliere per noi stessi e rifiutiamo qualsiasi forma di patologizzazione dei comportamenti, tesa a creare categorie sociali discriminate e emarginate come quelle di “drogato” e “pazzo”.

    L’istituzione psichiatrica è uno dei principali strumenti che il sistema usa per ostacolare l’autodeterminazione degli individui, per arginare qualsiasi critica sociale e normalizzare quei comportamenti ritenuti “pericolosi” poiché non conformi al mantenimento dello status quo, intervenendo nel complesso ambito della sofferenza. Assistiamo oggi ad una sistematica diffusione della crisi, sia sociale, economica e personale; le cui cause vanno ricercate nella società in cui viviamo e nello stile di vita che ci viene imposto e non nei meccanismi biochimici della mente. La logica psichiatrica sminuisce le nostre sofferenze, riducendo le reazioni dell’individuo al carico di stress cui si trova sottoposto a sintomi di malattia e medicalizzando gli eventi naturali della vita.

    La psichiatria ha rimodellato, in profondità, la nostra società. Attraverso il suo Manuale Diagnostico e Statistico (DSM), la psichiatria traccia la linea di confine tra ciò che è normale e ciò che non lo è. La nostra comprensione sociale della mente umana, che in passato nasceva da fonti di vario genere, ora è filtrata attraverso il DSM. Quello che finora ci ha proposto la psichiatria è la centralità degli “squilibri chimici” nel funzionamento del cervello, ha cambiato il nostro schema di comprensione della mente e messo in discussione il concetto di libero arbitrio. Ma noi siamo davvero i nostri neurotrasmettitori?

    Gli psicofarmaci, oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi ed ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generano fenomeni di dipendenza ed assuefazione del tutto pari, se non superiori, a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti, dalle quali si distinguono non per le loro proprietà chimiche o effetti ma per il fatto di essere prescritti da un medico e commercializzate in farmacia. Siamo qui a chiedere dunque: qual’é la vera differenza fra le droghe illegali e gli psicofarmaci?

    Sappiamo bene che le persone trattate con psicofarmaci aumentano la probabilità di trasformare un episodio di sofferenza in una patologia cronica. Molti coloro che ricevano un trattamento farmacologico vanno incontro a nuovi, e più gravi, sintomi psichiatrici, a patologie somatiche e a una compromissione cognitiva.

    L’allargamento dei confini diagnostici favorisce il reclutamento, in psichiatria, di un numero sempre più alto di bambini e adulti. Oggi a scuola sono sempre di più i bambini che hanno una diagnosi psichiatrica e ci è stato detto che hanno qualcosa che non va nel loro cervello e che è probabile che debbano continuare a prendere psicofarmaci per il resto della loro vita, proprio come un “diabetico che prende l’insulina”.

    Poiché la risposta psichiatrica è sempre la stessa per tutte le situazioni – diagnosi – etichetta e cura farmacologica – crediamo che rivendicare il diritto all’autodeterminazione in ambito psichiatrico significhi “riappropriarsi” della follia e della molteplicità di maniere per affrontarla, elaborandola in maniera autonoma.

    Siamo contro l’obbligo di cura e contro il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), non condanniamo a priori l’utilizzo di psicofarmaci ma pensiamo che spetti all’individuo deciderne in libertà e consapevolezza l’assunzione.

    Il TSO, la cui applicazione avviene nei reparti ospedalieri preposti (i cosiddetti SPDC), ha effetti coercitivi che vanno ben oltre le mura della stanza d’ospedale: è usato, presso i CIM o i Centri Diurni, anche come strumento di ricatto quando la persona chiede di interrompere il trattamento o sospendere/scalare la terapia; infatti oggi l’ obbligo di cura non si limita più alla reclusione in una struttura, ma si trasforma nell’impossibilità effettiva di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico per la costante minaccia di ricorso al ricovero coatto cui ci si avvale alla stregua di strumento di oppressione e punizione. Per questo ancora una volta diciamo NO ai TSO, perché i trattamenti sanitari non possono e non devono essere coercitivi e affinché nessuno più debba morire di psichiatria.

    Sentiamo pertanto l’esigenza di contrastare ancora una volta il perpetuarsi di tutte le pratiche psichiatriche e di smascherare l’interesse economico che si cela dietro l’invenzione di nuove malattie per promuovere la vendita di nuovi farmaci. Il percorso di superamento di queste pratiche e di tutte le pratiche non terapeutiche deve essere portato avanti e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e formazione dove il soggetto principale è una persona, che insieme ai suoi cari, soffre una fragilità.

    È giusto lottare anche contro trattamenti considerati obsoleti ma che invece sono ancora usati e stanno tornando di moda, come l’Elettroshock. L’elettroshock oggi viene chiamato TEC (terapia elettroconvulsiva) ma rimane la stessa tecnica inventata nel 1938 da Cerletti e Bini. Si tratta sempre di far passare la corrente elettrica per la testa di una persona, che passando attraverso il cervello, produce una convulsione generalizzata. Migliorandone le garanzie burocratiche, così come introducendo alcune modifiche nel trattamento, vedi anestesia totale e farmaci miorilassanti , non si cambia la sostanza della TEC.

    A più di ottanta anni dalla sua invenzione, possiamo affermare che l’elettroshock è l’unico trattamento, che prevede come cura una grave crisi organica dei soggetti indotta a tale scopo, mai dichiarato obsoleto. Uno dei luoghi in cui l’elettroshock viene praticato è l’Ospedale Santa Chiara a Pisa. Per questo saremo lì davanti, in un presidio di contro-informazione e di denuncia di quella pratica come di altre, tutte orientate alla costruzione di un futuro che si vorrebbe fatto di persone annichilite e ammansite, non oppositive e quindi facili da gestire.

    Invitiamo tutti/e a partecipare ai seguenti appuntamenti:

    PRESIDIO INFORMATIVO CONTRO L’USO DELL’ELETTROSHOCK

    SABATO 1 GIUGNO alle ore 16 c/o Ingresso Ospedale S. Chiara in Via Paolo Savi angolo via Niccolò Pisano

    ASSEMBLEA NAZIONALE ANTIPSICHIATRICA DOMENICA 2 GIUGNO alle ore 10:30 c/o Spazio Antagonista Newroz in via garibaldi 72

    Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

    via San Lorenzo 38 56100 Pisa antipsichiatriapisa@inventati.org / http://www.artaudpisa.noblogs.org / 335 7002669

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