La cultura non viene (mai) dopo…
… con una poesia di Borges
UN APPELLO: Le emergenze non sono uguali per tutti
I provvedimenti del governo contro la diffusione del corona virus stanno mettendo seriamente in difficoltà il mondo della cultura. Un appello per rivendicare garanzie di reddito per le moltissime esperienze indipendenti e gli operatori del settore che stanno pagando drammaticamente le politiche di restrizione
Le disposizioni governative per contrastare il coronavirus stanno calando in maniera pesante su molti settori. Ma ce ne sono alcuni che ne soffrono in maniera particolare perché privi di ogni forma di tutela e sostegno. I cinema e i teatri chiusi fanno tristezza ma a quanto pare ora è inevitabile. Tutti gli eventi, grandi e piccoli, annullati sono una catastrofe economica, culturale e simbolica, ma pare che per bloccare il virus è il momento di fermarsi. Bisogna diminuire gli spostamenti e le relazioni sociali, i contatti ed i momenti di aggregazione.
Il punto è che per molti questo significa il disastro. In particolare per la piccola editoria, per i settori indipendenti della cultura, per le tante maestranze che vivono di eventi culturali, per i musicisti e chi vive di musica etc. Non vi è alcuna forma di sostegno, ne cassa integrazione ne uno straccio di ammortizzatori sociale.
Non vi sono leggi destinate alla cultura in generale che tengano conto delle migliaia di precari che vi lavorano e senza i quali i grandi o piccoli eventi non avrebbero modo di esistere. Le due parole sono quasi gemelle nel nostro paese, cultura e precarietà. Certo, esistono milioni di precari che non lavorano nella cultura e che soffrono la stessa nostra condizione.
L’emergenza e la crisi legate all’insorgere del Coronavirus sta mettendo in grave difficoltà molte esperienze indipendenti e moltissimi lavoratori e operatori del settore. Eventi cancellati, vendite in costante calo, futuro incerto e presente nerissimo. Il nostro pane quotidiano scarseggia, in ogni senso, non solo allegorico. Sappiamo che non siamo soli. Sappiamo che questa difficoltà sta coinvolgendo molti altri settori.
Ma qui portiamo ora la nostra voce, sperando che possa essere ben presto un coro a più voci di tutti quelli che non sono mai «garantiti», quelli che cercano costantemente il modo di sopravvivere, tanto nel mondo della cultura che altrove.
Mentre si affronta la questione, giustissima, di come agire sui lavoratori che hanno diritto alla cassa integrazione o altre forme di sostegno, rimane ancora una volta fuori quel variegato mondo fatto di milioni di persone precarie, cioè di chi non ha alcun tipo di accesso al welfare, e per i quali non è prevista nessuna tutela.
Ed ancora di più, dal nostro punto di vista, di coloro che tentano di portare il proprio contributo, per una società migliore, attraverso la cultura. Manca il punto di vista delle piccole realtà culturali, le piccole imprese – le case editrici indipendenti, per esempio, che sono un pezzo reale del tessuto della cultura del paese – mantenute vive e fertili dal lavoro di precari e precarie, giovani e non.
La situazione è già aggravata ed ora rischia di diventare catastrofica. Pensiamo che sia arrivata l’ora di parlare di una «garanzia di reddito», una misura indispensabile: una forma di sostegno economico immediata per tutti i lavoratori e le lavoratrici precari della cultura, e per tutte le piccole imprese culturali del paese. E se possibile allargando la stessa misura a tutti i precari, della cultura e non.
Vogliamo non solo dimostrare la nostra esistenza (fatta di libri, eventi, progetti culturali quotidiani la cui assenza sarebbe una catastrofe non solo per noi ma per il paese tutto) ma soprattutto rivendicare il nostro ruolo nel mondo della cultura che non è fatta solo di noti professionisti e di eventi megagalattici sostenuti da sponsor milionari.
Oggi siamo convinti che siano necessario rivendicare – insieme a tutti i precari, gli irregolari, gli intermittenti, i lavoratori e le lavoratrici al nero: i nostri lettori e le nostre lettrici – un diritto sacrosanto sulla base di un principio preciso: non si può continuare a parlare di “sicurezza” da un punto di vista sanitario senza estendere il ragionamento alla sicurezza sociale. Perché non esiste “salute” senza la garanzia di un reddito. Non possiamo rimanere, come si chiede, dentro casa e aiutare il rallentamento del contagio se siamo costretti ad uscire per cercare modi di sopravvivere. Per questo sosteniamo l’urgenza dell’istituzione di un reddito garantito, “di quarantena” anche attraverso ad esempio l’ampliamento dell’attuale reddito di cittadinanza che continua a escludere troppe figure, rendendo più ampio l’accesso alla domanda e dunque aumentando i beneficiari. Misure di sostegno di questo tipo sono il minimo che può pensare uno stato di diritto, per contrastare tanto il virus che le difficoltà economiche e sociali che milioni di persone si trovano a subire.
La cultura non viene (mai) dopo.
I giusti – Jorge Luis Borges
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere un’etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sur giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che premedita un colore ed una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
Trovata in giro…
Era l’11 marzo del 2020, le strade erano vuote, i negozi chiusi, la gente non usciva più.
Ma la primavera non sapeva nulla.
Ed i fiori continuavano a sbocciare
Ed il sole a splendere
E tornavano le rondini
E il cielo si colorava di rosa e di blu
La mattina si impastava il pane e si infornavano i ciambelloni
Diventava buio sempre più tardi e la mattina le luci entravano presto dalle finestre socchiuse
Era l’11 marzo 2020 i ragazzi studiavano connessi a Gsuite
E nel pomeriggio immancabile l’appuntamento a tressette
Fu l’anno in cui si poteva uscire solo per fare la spesa
Dopo poco chiusero tutto
Anche gli uffici
L’esercito iniziava a presidiare le uscite e i confini
Perché non c’era più spazio per tutti negli ospedali
E la gente si ammalava
Ma la primavera non lo sapeva e le gemme continuavano ad uscire
Era l’11 marzo del 2020 tutti furono messi in quarantena obbligatoria
I nonni le famiglie e anche i giovani
Allora la paura diventò reale
E le giornate sembravano tutte uguali
Ma la primavera non lo sapeva e le rose tornarono a fiorire
Si riscoprì il piacere di mangiare tutti insieme
Di scrivere lasciando libera l’immaginazione
Di leggere volando con la fantasia
Ci fu chi imparò una nuova lingua
Chi si mise a studiare e chi riprese l’ultimo esame che mancava alla tesi
Chi capì di amare davvero separato dalla vita
Chi smise di scendere a patti con l’ignoranza
Chi chiuse l’ufficio e aprì un’osteria con solo otto coperti
Chi lasciò la fidanzata per urlare al mondo l’amore per il suo migliore amico
Ci fu chi diventò dottore per aiutare chiunque un domani ne avesse avuto bisogno
Fu l’anno in cui si capì l’importanza della salute e degli affetti veri
L’anno in cui il mondo sembrò fermarsi
E l’economia andare a picco
Ma la primavera non lo sapeva e i fiori lasciarono il posto ai frutti
E poi arrivò il giorno della liberazione
Eravamo alla tv e il primo ministro disse a reti unificate che l’emergenza era finita
E che il virus aveva perso
Che gli italiani tutti insieme avevano vinto
E allora uscimmo per strada
Con le lacrime agli occhi
Senza mascherine e guanti
Abbracciando il nostro vicino
Come fosse nostro fratello
E fu allora che arrivò l’estate
Perché la primavera non lo sapeva
Ed aveva continuato ad esserci
Nonostante tutto
Nonostante il virus
Nonostante la paura
Nonostante la morte
Perché la primavera non lo sapeva
Ed insegnò a tutti
La forza della vita.
#undicimarzoduemilaventi #iorestoacasa #lastorianarrerà
Daniela Viola
grazie
Una poesia che ha la forza, la profondità e il sapere di un’enciclopedia. E, in più, ha la speranza…