La «Decima» di Mahler: ultimo movimento

di Mauro Antonio Miglieruolo

Incipit del Quinto Movimento (apocrifo) della Decima Sinfonia di Gustav Mahler

Cooke: https://www.youtube.com/watch?v=4fu3dqBKDxU

Barshai: https://www.youtube.com/watch?v=8qYqW-otXxI

Decima, solo il finale, nella versione e direzione Barshai: https://www.youtube.com/watch?v=uRr4LqR5qBc

Nello scritto che segue più che sulle problematiche complessiva che pure l’ascolto della Decima pone, parleremo del solo ultimo movimento e specificamente delle poche misure che lo introducono. Il senso ultimo dell’opera di Mahler o quello del singolo brano sono solo tangenzialmente in questione: lo sono invece gli interrogativi evocati da quelle poche misure, delle quali per altro non sappiamo quanta parte sia da attribuire a Mahler e quanta a coloro che ne hanno curato la stesura definitiva (qui il riferimento è a quella di Deryck Cooke; Clinton Carpenter, Joseph Wheeler, Rudolf Barshai e Remo Mazzetti Jr sono responsabili delle altre). A questo proposito si rende necessario precisare l’irrilevanza del carattere apocrifo del brano che si è scelto di commentare. A essere sotto esame non è l’esegesi di un autore, la sua ideologia, la sua poetica o le specifiche modalità del suo essere medium delle correnti sotterranee del secolo, quanto il valore e il senso che il brano può avere per noi oggi, sia pure attraverso il filtro della congiuntura poetico-musicale del momento in cui è stata composta (nonché alle motivazioni occulte che l’hanno promossa).

Specifichiamo inoltre che le riflessioni qui di seguito trascritte sono state operate sulla base dell’ascolto della prima delle tre ricostruzioni operate da Deryck Cooke, l’audace che ha osato, anche lui credo per primo, mettere le mani sugli appunti e le poche parti orchestrate lasciateci da Mahler. Nonostante l’inevitabile differenza che divide il genio di Mahler da quello del suo pur bravo allievo, chi scrive ammette di preferire l’ascolto della Sinfonia nella sua interezza, a differenza della preferenza accordata da alcuni grandi direttori d’orchestra, che eseguono solo il primo movimento (Adagio), l’unico completato da Mahler.

Un’ultima osservazione relativa alla eventuale consapevolezza di Mahler (tramite Deryck Cooke) intorno ai significati che l’incipit nasconde e che cercheremo comunque di individuare. La presenza di tale consapevolezza è ininfluente rispetto al discorso che imbastiremo; in quanto ciò a cui si tende, come accennato, è individuare le pulsioni generali di un’epoca, le sue spinte segrete, le correnti sotterranee capaci di influenzare o quantomeno di emergere nell’artista, oltre a quelle specifiche all’artista medesimo; il quale spesso porta alla ribalta l’inaudito e l’insospettabile, a volte con un anticipo di decenni. Non diversamente da quanto è stato (esempio più clamoroso) per Wagner e la sua Tetralogia nella quale, senza che l’autore ne abbia avuto chiara consapevolezza (men che meno i suoi contemporanei e – inaudito – anche alcuni nostri contemporanei), emergono con inaspettata chiarezza le forze sociali in opera già ai suoi tempi, ancora lontane però da promettere di diventare dominanti, concreta prassi sociale (lo sarebbero stati da lì a qualche decennio con i grandi eventi dell’inizio del nuovo secolo, nel quale si invera il Crepuscolo degli Dei che avrebbe sconvolto il mondo: l’incendio che consuma al tempo stesso le povere spoglie di Sigfrido e il Walhalla, sede della nuova luminosa aristocrazia del denaro.)

Differenti e più sottili significati, ma non meno significativi, ritengo possano essere tratti dall’esame dell’opera della coppia fatale Mahler-Cooke.

Iniziamo necessariamente dalla descrizione del brano soggetto all’esame, le prime note del Quinto Movimento della Decima Sinfonia… più specificamente dal momento in cui, spentasi le ultime del Quarto Movimento, si entra nella necessaria pausa di riflessione e raccoglimento propria a ogni intervallo sinfonico; pausa che, nel caso in esame, acquista un valore specifico e particolare.

È in questo vuoto di avvenimenti che irrompe un insolito accordo di percussioni, un accordo sordo, cupo, forte, che in alcune esecuzioni somiglia al lontano sbattere di una porta; e che impone l’interruzione secca dell’avvio della musica. Segue una pausa in cui gli ottoni approfittano per tentare di aprirsi la strada con un discorso proprio. Il tempo appena di accennare le proprie ragioni e un nuovo accordo sopravviene, un accordo perentorio, ineludibile, che azzittisce. Silenzio (sembra quasi che pur essendo all’inizio se ne stia preparando in realtà la conclusione). Nuovamente il sordo sbattere della stessa porta, un chiudersi in faccia alla musica, e nello stesso tempo quasi un invito, una sfida, la sollecitazione a esprimersi. Ma non appena la sollecitazione viene accettata ecco un nuovo sordo secco battere di percussioni, di nuovo il perentorio zittire. Per cinque volte l’episodio si ripete, e per cinque volte l’orchestra tenta, paziente ostinata, di farsi ascoltare, prolungando sempre più la durata del suo ingresso. Alla sesta volta ha acquisito sufficiente slancio e adeguato vigore per resistere a ogni intimidazione; e può dare finalmente corpo e spazio alla musica, al suo potere dolce e sordo: alla vibrazione sovrana dei mondi.

Da quel momento le percussioni non possono più nulla contro, possono solo accompagnare. Gli accordi ostili dell’inizio appaiono ora amici, guidano piuttosto che impedire: arricchiscono la musica, non più la spengono. Ormai non servono a altro che a punteggiare l’espressione degli stati d’animo, fungere da raccordo e rievocare, in chiave di solennità, quel che è avvenuto all’inizio. E gli stessi pensieri di sconforto che i suoni possono aver potuto evocare, si disperdono lentamente nelle sonorità sempre più astratte invitanti dell’impasto orchestrale (e ancestrale). Nella descrizione delle eteree atmosfere che immaginiamo, che Mahler immagina, siano caratteristiche del Purgatorio (a me sembrano pertinenti al Paradiso).

Chi scrive si è chiesto più volte il senso di tale inusitato modo di introdurre la musica. Le domande in merito rivolte anche a specialisti gli hanno guadagnato sguardi perplessi, spesso stralunati e, a volte, velate o esplicite accuse di follia. Quegli sguardi non sono bastati a spegnere la curiosità in proposito e arrivano oggi (un oggi risalente forse a quindici/venti anni or sono) a prendere corpo in queste brevi note che non senza qualche patema d’animo, dopo essere state elaborate e rielaborate, vengono sottoposte alla valutazione dell’eventuale lettore. Sempre che Daniele Barbieri riterrà opportuno pubblicarle per offrirmi la possibilità di reperirne qualcuno di questi agognati lettori.

Nessun altro, sembra, ha notato questa maniera singolare di dare il là all’orchestra. Né, ch’io sappia, vi è sinfonia in cui sia dato reperirne l’eguale. Non in quelle “calde” del Sette-Ottocento, né in quella “fredde”, cerebrali del Novecento. Chiunque abbia avuto occasione d’ascoltare una qualche composizione sinfonica, ad esempio una di quelle conosciutissime di Beethoven, in particolare la Terza e la Quinta, avrà al contrario ammirato l’unità sostanziale, anzi la consustanzialità, tra accordo introduttivo e esposizione successiva. Per non parlare del sussurro orchestrale della Nona il cui suono si dice abbia voluto rappresentare l’inizio della Creazione, il sussurro discreto di Dio che avrebbe autorizzato il Big Bang, clamorosa origine di tutte le cose.

D’obbligo allora la domanda: avrà, la presenza di tale contrasto, qualcosa a che fare con il disfacimento della forma sonata che si sviluppa e trova compimento nelle feconde mani di Mahler? Ne sarebbe causa e corollario? Affronteremo il tema, immediatamente, forse riuscendo persino a delinearne le possibili spiegazioni (l’audacia, la presunzione non mi mancano).

Espongo le uniche riflessioni (le uniche dicibili) che, sul merito, possono risultare utili per aprire alla comprensione il mistero della speciale introduzione.

La prima e più semplice da immaginare.

Mahler intuisce il prossimo destino della musica, l’impervio cammino sul quale si è già instradata, destino già compiuto nell’ultimo Wagner (Tristano e Isotta) e persino nell’ultimo Verdi (Falstaff), le due personalità musicali antagoniste dell’Ottocento: divise su tutto, unite in questo finale convergere verso un unico generale approdo: il cerebralismo del Novecento, l’emozione intellettuale che prende posto di quella sentimentale. Ma ciò che li unisce va ben oltre l’ambito musicale. È il mondo medesimo del quale anche Mahler fa parte che è in procinto di finire. Il sistema complessivo scricchiola, mentre nuove sensibilità si fanno strada. Il dilatarsi immane della sinfonia classica, lo stravolgimento della forma sonata, il graduale declino della modalità tonale sono gli strumenti imposti dalle circostanze per esprimere i tempi nuovi che si approssimano. Un secolo di nefandezze e di meraviglie bussa alle porte, un secolo la cui caratteristica principale è la negazione (nei fatti) di ogni forma tradizionale di convivenza civile, un secolo enfatico, di dilatazione abnorme delle ideologie, perennemente lacerato da una sorta di permanente guerra civile (tra premesse e conseguenze, guerre mondiali dichiarate e non, fredde e calde). Pietà l’è morta, si dirà nel cuore di questa eterna lotta ideologica per il predominio che è stato l’intero XX secolo. Morte per la stessa musica, per la mia stessa musica, alla quale sbarrerò il passo, sembra dirci e dirsi Mahler; che le imporrà di aprirsi la strada come in un combattimento, in mezzo alle più fosche intimazioni e perentori divieti.

C’è chi questo disfarsi del tessuto connettivo sociale rifiuta di vederlo, chi non è in grado di vederlo. L’artista lo presente e, spesso nonostante sé stesso, lo rappresenta. In qualche modo anticipa gli eventi che sconvolgendo il mondo sconvolgeranno anche la musica. Che – anzi – hanno già sconvolto la musica.

Collocando quanto ascoltato in questa ottica verrebbe da affermare che quel “basta” detto alla musica, il vano tentativo di arrestarne lo sviluppo, sia un inconscio “NO” detto all’evoluzione della realtà. Uguale al Faust di Goethe Mahler ambirebbe eternizzare il momento creativo che lo spinge a entrare sempre più in profondità nella realtà dei suoi tempi, tentando di arrestarne il precipitare verso un catastrofico epilogo. La musica però, uguale al mondo, rifiuta di lasciarsi imbrigliare, impone la sua logica e impone a noi di riflettere sulle correnti sotterranee che lo attraversano.

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Seconda semplice da immaginare.

Mahler pre-sente la propria morte. Uguale a ogni altro uomo sa di essere un fuggitivo, con la Dea sempre alle calcagna. Dea che può colpire quando vuole, come vuole. In quanto artista lo sa meglio degli altri. Il giorno in cui sarà raggiunto si approssima. La stessa scelta di ritornare per l’ennesima volta ad affrontare temi mistico trascendentali, richiama nembi di nuvole nere nel cielo della sua fantasia. Rinviando l’inizio dell’ultimo movimento della Decima, Mahler rinvierebbe allora simbolicamente la propria fine. Chiedendo quantomeno una tregua, se non un armistizio. Né però la tregua può chiedere apertamente, né sperare gli venga concessa. L’ordine delle cose impone che la musica si affermi (e si afferma); e che la morte abbia campo libero di condurlo nell’aldilà.

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Terza spiegazione, suggerita dal compositore medesimo.

Mahler opera contro la musica un oltraggio (segreto) che però si traduce (Mahler è vero artista) in favore della musica. La Decima, quinto movimento incluso, è una delle sue più affascinanti, direi quasi enigmatiche, forse l’unica nel quale i suoi affannosi tentativi di inseguire Dante approdino a veri risultati. Lo stato d’animo guida comunque, anche se da lontano, il rapporto che intrattiene con la sua petite musique (l’espressione è di Louis Ferdinande Céline). Il sentimento che può spiegarlo è il dolore sordo ch’egli dichiara sull’ultima pagina del manoscritto della sinfonia, dove annoterà “Du allein weibt was es bedeutet” (tu sola sai cosa significa). Tu sola, Alma (Mahler ha appena scoperto che la moglie ha una relazione con l’architetto Walter Gropius). Sbagliando perché la moglie (Alma), protetta dalla sua probabile felicità, nonostante ogni possibile rimorso, è colei che meno di tutti può saperlo.

Può, Mahler medesimo. Può ogni persona che abbia attraversato l’immane devastazione che consegue alla scoperta di un amore tradito.

Nota: Mahler effettivamente scrive: “Du allein weisst was es bedeutet, Ach! Ach! Ach! Leb wol metti Saitenspiel! Leb wol, Leb wol, Ach wol! Ach! Ach!» (tu sola sai che cosa significa! Ah! Ah! Ah! Addio mie corde! Addio! Addio! Ah, Addio Ah! Ah!»); più avanti, nel Finale, per due volte, «Für dich leben, für dich sterben! Almschi!» («Vivere per te, morire per te! Almschi!»). Parole ultime che, volendo bene a Mahler, è augurabile siano state vere. Unica verità necessaria all’uomo (e alla donna). Essere disposto a morire per l’amore.

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Quarta spiegazione.

Siamo intorno al 1910 e il mondo già si prepara a gettarsi nello stesso precipizio di tradimenti, abusi e disinganni che ha appena inghiottito la serenità di Mahler e si prepara a breve a inghiottire la vita di milioni di esseri umani. Serajevo, la guerra patriottica, la caduta delle illusioni…

Potrebbero dunque essere i cinque accordi appena descritti altrettanti “basta!” pronunciati contro l’insostenibile? Contro e a pro di una Alma che continua a servirlo e lui continua a amare? Contro la morte traditrice che lo allontanerà dal suo amore e dalla sua arte?

Questo Finale (V Movimento) dovrebbe essere, si dice, quello della Redenzione. Forse. È possibile ammettere lo sia. Quel che narra negli oltre 25 minuti che dura, può bene essere interpretato come un paradisiaco procedere verso la salvezza, nonostante il sottile perenne senso di tragico che aleggia sopra quasi tutte le misure. Come per altro non restare perplessi leggendo l’annotazione accanto al titolo del penultimo brano (IV Scherzo): “Der Teufel tanzt es mit mir” (Il Diavolo danza con me). Una intitolazione/commento del tutto fuori luogo rispetto al programma dichiarato. Perché il diavolo dovrebbe danzare con uno che sta tentando di rappresentare il Purgatorio con note che sono quelle etere del Paradiso? E perché Mahler dovrebbe accettare di ballare con lui?

Nota: Quirino Principe, nella sua monografia su Mahler, avanza ipotesi molto suggestive a questo proposito, utili anche per entrare nel clima dell’ultima Sinfonia, l’incompiuta: «La Nona cerca il significato della musica e dell’essere che essa sottintende, mentre la Decima ne cerca il destino, tentando di vederlo. Da questa sinfonia sembra derivare un sillogismo: nulla persiste, in nulla ci si può identificare, la musica non ha un destino lieto così come per l’esistente non c’è salvezza; tuttavia, è assolutamente necessario che la musica non si fermi, e che l’esistente continui ad affermarsi come se l’affermazione fosse possibile e fondata; ciò va incontro inevitabilmente alla derisione e all’umiliazione. Lo schermo gigante delle ultime grandi sinfonie non riflette più gli oggetti del mondo terrestre, ma la stessa psiche: diviene uno specchio».

Sono sicuro esistano molte brillanti spiegazioni, qualcuna della quale, fortuna mia, potrebbe essermi opposta. Quel che penso è che il sotterraneo sentire nel declinare dell’Ottocento, presentimento di quello che sarà il Novecento, sia ancora dentro di noi, che viviamo non solo nel sospetto, ma nella constatazione della possibile irruzione, in qualsiasi momento, del medesimo terrore. Anche chi continua a vedere nell’Ottobre l’assalto al cielo, l’Alba dell’Umanità eccetera non può evitare di avvertire un brivido lungo la schiena, non solo a causa dell’esito infausto di quella Rivoluzione, ma anche per le sciagure che si sono abbattute sull’umanità al termine ultimo di quell’esperienza, dopo l’Ottantanove. Una vera e propria catena di sciagure, lontane dal doversi considerare terminate. Le circostanze che hanno portato alla nomina prima di Monti e poi di Draghi, uomini degni, competenti, e nemici del lavoro, manifestano una tendenza al declino della democrazia sempre più forte.

È probabile che l’Ottocento essendo arrivato alla nausea di sé stesso, attraverso quella “coincidenza armonica”, espressa felicemente dalla sapienza di Mahler, voglia dire a tutti: che vale continuare? Troppo stucchevole, falso, ridondante, decadente e artificioso sei diventato (sono diventato). Troppo mediocre, dopo un inizio brillante fatto di Beethoven, Mendelssohn, Schumann, Schubert, è il materiale che stai lasciando in eredità (e noi? Noi non avevamo dato inizio a una nuova storia con “destri” del calibro di Cavour?). Non bastano grandi nomi e grande musica a riscattarti. Quello che nell’insieme stai architettando, a parte la sconfinata superbia, è una sconfinata volontà di potenza. Basta, ti impedisco di penetrare nell’empireo con il carico di questi suoni striduli, che dovrebbero essere eterei e sono invece stanchi, disperati…

Abbiamo visto il dolore, potremmo ora vedere l’artista che presente il secolo prossimo futuro per quello che sarebbe diventato: un immenso cimitero di speranze.

 

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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