La democrazia del razzo
Alabarde spaziali e altre storie su Elon Musk.
di Gianluca Cicinelli (*)
Elon Musk sogna un “futuro per l’umanità” (che se uno ci pensa “futura umanità” è anche l’ultimo verso dell’Internazionale), che, intendiamoci, non è l’umanità intera. È un club privato, riservato a chi può permettersi l’abbonamento premium. Musk, con Trump al suo fianco e il plauso dei nuovi aspiranti “conducator”, appena scongelati dal frigorifero della storia del ventesimo secolo.
Gli Orban, le Meloni e le Le Pen all’arrabbiata, si preparano a scrivere un nuovo capitolo della storia. Il nuovo sogno americano si divide in due, ma non più come avveniva prima, chi dalla villa con piscina e chi dalle discariche della terra: adesso chi può sognare vede dall’alto di Marte e dell’eternità, che con ketamina e e marijuana sembrano molto più vicini, mentre chi guarda dal basso vede soltanto il deserto, anche usando le stesse sostanze che usano Musk e i suoi accoliti della Silicon Valley.
Per Musk, il pianeta Terra è solo una stazione di passaggio, un posto buono giusto per installare fabbriche e miniere che finanzino il vero obiettivo: una colonia su Marte. Perché nel suo futuro l’umanità non è una comunità; è un investimento.
E i profeti del potere forte non possono che applaudire: eccola qui, la nuova visione in cui contano solo il profitto e il dominio, in cui il grande pubblico è buono giusto per applaudire mentre i veri giocatori – lui e pochi altri – si spartiscono l’universo come se fosse un grosso fondo azionario.
Non che Trump sia un fan della scienza, ma riconosce un potente alleato quando lo vede: chiunque possa controllare la tecnologia per andare nello spazio, dominare l’intelligenza artificiale e, soprattutto manipolare i mercati, ha il potere di decidere su chi avrà futuro e chi rimarrà nel passato.
L’ossessione di Musk per Marte non è solo un sogno di colonizzazione spaziale; è una metafora brutale. Per lui e per il suo mondo, il pianeta Terra è già in via di abbandono, ridotto a riserva di risorse per finanziare l’avventura marziana. Noi, che rimaniamo a terra, siamo il pubblico a cui vendere sogni digitali. Tra gli applausi adoranti dei contadini del Wisconsin, dell’elettore medio occidentale che “Trump dice le cose come stanno”, di alcolizzati in privato e moralisti in pubblico, di analfabeti creazionisti in delirio mistico.
I super super super super ricchissimi come Musk riescono a vendersi come salvatori, “visionari” che promettono un futuro migliore. Ma la realtà è più cinica di qualunque dichiarazione. Il loro non è un progetto per l’umanità; è un progetto per i pochi che possono permetterselo.
Quelli che controllano l’informazione, l’economia, e, ora, anche i sogni e la possibilità di andarsene dallo stesso pianeta che ci lasceranno sistemare. Con Trump al comando e Musk a portata di comando, ma in realtà è vero il contrario, è Trump che è l’interfaccia di Musk, questo è il vero nuovo ordine mondiale: un’oligarchia vestita di innovazione, ma in realtà costruita sull’antico principio di pochi che hanno tutto e altri che amano guardare e applaudire chi li comanda.
Non ci sono Repubbliche galattiche nelle loro visioni rubate a Star Wars e a Blade Runner. Sotto la patina delle ambizioni galattiche si nasconde una visione autoritaria, mega-imperi privati che dettano le regole e selezionano chi può salire a bordo.
In questo nuovo fascismo high-tech, confezionato come progresso, il controllo globale non si esercita più con le armi ma con i dati, con le infrastrutture spaziali, con satelliti che spiano, controllano e filtrano la nostra realtà.
Non stupisce che la “visione” di Musk trovi accoglienza tra i leader dell’estrema destra, che vedono in lui l’alleato perfetto per costruire un mondo in cui il dissenso può essere silenziato con un tweet e il futuro venduto a chi può permetterselo.
Nell’universo che Musk e soci stanno costruendo, non c’è spazio per la democrazia, ma solo per l’élite tecnologica che possiede la chiave del futuro. Non sorprende quindi che Musk sia allineato con Trump e l’estrema destra globale.
Loro sono la versione contemporanea del potere forte, anche più vigliacchi degli originali di inizio 900, perchè non hanno più bisogno di camicie nere o marce su Roma, ma di razzi, algoritmi e colonie spaziali per tenere al guinzaglio le masse.
La sua promessa di un mondo nuovo su Marte, un futuro “migliore” in cui la sua élite governa indisturbata, è un miraggio perfetto per chi crede ancora nel mito del “grande uomo” che salva il mondo, anche se con una mano sola alzata. Non servono più manganelli. Ma sempre quella roba lì è.
Che fare quindi? Arrendersi? O spostare la battaglia nello spazio? “Shiro lanciami i componenti. Alabarda spaziale!” (cit). Ma, davvero, ci accontenteremo di fare “ciao ciao” con la manina mentre loro spariscono nel cielo? Forse sì, o forse no. Ma c’è una certezza: senza i loro satelliti e algoritmi non saprebbero nemmeno come impostare una bussola.
E senza di noi, con i piedi ben piantati su questa Terra, non sarebbero nulla. Let them go – lasciamoli andare a fondare la loro dittatura su Marte, a giocare al piccolo impero, più lontani da noi stanno e meno contaminano la terra con il loro neo-analfabetismo umanistico. Qui restano le persone reali, quelle che sanno cosa vuol dire vivere davvero, amare, godere, gioire, sognare, senza tweet o algoritmi che dettano le regole, perseguire la ricerca di tempo libero dal lavoro, liberi da competizioni e prestazioni, liberi di autodeterminarci. Questa oggi è l’unica resistenza possibile, questo è lo sforzo che dobbiamo a chi verrà dopo di noi.