La destra è morta, la sinistra…

… non si sente tanto bene, è il big bang della politica

di Lanfranco Caminiti  

Che il berlusconismo — come gnommero di sentimenti sanguigni e livorosi di anticomunismo e di ricerca del moderatismo innovatore [che in Italia è come quella del santo graal] — sia finito, lo andiamo ripetendo da un pezzo. È stata l’evidenza della crisi economica, e non certo la bavosità sporcacciona del Priapo di Arcore e del suo caravanserraglio di procacciatori di donnine a prezzario fisso, a spazzare via quella prestidigitazione che teneva insieme volgarità esibite e idee di liberalismo, imprenditori del nord e notabilato del sud, spesa pubblica e meno tasse per tutti, risentimenti contro il teatrino della politica e saccheggio a piene mani, servi in carriera e carriere al capolinea, eia eia alalà e convegni su Popper.

Rimane Berlusconi, circondato da amazzoni e fantini, ancora abili a contraffare qualsiasi corsa elettorale, ma ormai personaggi di un underground clandestino e colorato, fatto di allibratori, cavalli dopati, scommettitori creduloni, vecchi col riporto e il bocchino ingiallito, giovanotti di mano, ragazze del boss, intrallazzoni. Una carovana, un circo, con i domatori ciccioni, le tigri sdentate, e il giro della morte con la moto truccata di un pilota che fu campione in un’altra vita. Un mondo cioè che non scompare mai e sopravvive di se stesso, come una P5 – o una P6 chi tiene più il conto? – alla luce del sole.

La scomparsa della destra di tradizione missina, affondata nell’abbuffata del bengodi nello sdoganamento al potere dopo la lunga fame della marginalità e dell’acquolina da cameriere che serve le portate, abbandonata a se stessa dal suo generale a riposo anticipato, conscio della pochezza spirituale dei suoi colonnelli, vergognoso di busti del duce in gesso o bronzo e gite fuori porta a Predappio che pure erano il suo elettorato fedele, tradito e beffato però dentro le mura domestiche, è anch’essa una non–notizia. La “cosa nera” di cui si parla sarà una notizia? Lanceranno il portafoglio oltre l’ostacolo?

Semmai è lo sbriciolamento della Lega, pur partito da lontano, passata da un’aleatorietà nazionale tra il 5 e il 10 per cento, con estremi territoriali fra il trenta e il sessanta, che lascia basiti. Per la sua improvvisa vaporosità, dopo le innumerevoli analisi sulla consistenza dura del “sindacato di territorio”, del “partito vecchio stampo con le sezioni”, ma soprattutto per quella combinazione attorno il lavoro e la produzione che metteva assieme odiosi razzismi — l’immigrazione spacciata come causa dei lavori che si perdevano — con rivendicazioni padane e antiromane, progetto di una detassazione felice come rilancio di una produzione estenuata.

Non è che la sinistra sia messa meglio, dilaniata fra rancori di caudillos in esilio e frustate in faccia ai canapi a smentire gli accordi della sera prima, diciamo che Sparta gode dei dolori d’Atene: sul territorio funziona meglio perché il Pd, dopo Tangentopoli, ha costruito — e in alcuni casi, come nell’area toscoemiliana, potenziato — una rete di relazioni dalla valenza economica, ha “capitalizzato” la presenza nelle istituzioni, non credo dipenda solo dalle facce più credibili — questa è l’analisi di chi continua a dare dell’«impresentabile» ai candidati PdL.

Del “centro” — dopo la pessima gestione di sé di Monti, che funziona da “nominato”, è il suo mestiere d’altronde, ma non ha alcun talento da leader — che te lo dico a fare?

Il Movimento 5 Stelle ha tesaurizzato questa crisi, e non è detto che non continuerà a farlo, ma non è un movimento territoriale [come la Lega] e non è un movimento ideologico [come lo erano la destra missina e la sinistra comunista] quindi non ha radici. È un movimento “nazionale”, con le stesse battaglie dal Friuli alla Sicilia: contro la casta, trasparenza, un certo saint-justismo fra gli adepti. I suoi programmi “nazionali” sono cose orecchiate a destra e sinistra, sta a Messina ed è contro il Ponte sullo Stretto, sta in Piemonte e è contro la Tav, sta a Parma ed è [almeno era] contro l’inceneritore, sono tutte cose che già si trova confezionate e che avevano bisogno di un’onda d’urto. È ora difficile dire cosa accadrà del M5Stelle, per ora vive ancora di abbrivio e di un “ceto parlamentare” miracolato, intanto il suo “lavoro” l’ha fatto — che era inteso come mettere un po’ di paura a quegli orchi dei partiti — per cui molti se ne sono disaffezionati.

Insomma, siamo davvero al big bang. Ed è il big bang che rafforza il governo attuale, l’unica cosa che può dare una idea di solidità — un nucleo concreto da una massa gassosa — e necessità. Solo che nel frattempo uno su due ha deciso di non votare più.

Non mi strapperei i capelli, anzi.

   (Nicotera, 12 giugno 2013)

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