La donna della domenica – 16

IL LAVORO DEBILITA

di Alexik

Per un periodo della mia vita ho avuto il privilegio di entrare nelle fabbriche emiliane e analizzarne i rischi. Privilegio di entrarci, perché per tutti i non addetti ai lavori si tratta di un mondo a parte, una fitta galassia di mini-imprese impermeabile alle intrusioni aliene (tipo sindacalisti, ispettori dell’ASL, e simili). Privilegio doppio, visto che dopo esserci entrata potevo anche uscirne, magari incazzata, ma però viva, intera e in salute, sollevata dal pensiero di poter tornare indietro dalla terra di nessuno.

Perché è tale la nebulosa dei circa 5 milioni di aziende italiane sotto i 16 dipendenti (il 97 % del totale delle imprese), la cui espansione, negli ultimi 40 anni, ha rappresentato la modalità di scomposizione della grande fabbrica sul territorio. Qui lo Statuto dei Lavoratori non è  mai esistito, e non è mai entrato nessun sindacato (complice o conflittuale che sia).

Oh, certo … ci sono i Rappresentanti dei Lavoratori per la sicurezza (RLS). Peccato che alla prima docenza al corso per gli RLS nelle aziende artigiane ti accorgi che più di metà della classe è formata da figli dei proprietari, assunti in ditta come dipendenti.

Ne ricordo una di questi RLS, moglie di un socio di una metalmeccanica, che mi richiamò incazzatissima durante un corso ai suoi operai, perché non avrei mai dovuto permettermi di dire al saldatore che gli ossidi di manganese possono far venire il Parkinson, “ ‘ché il ragazzo è impressionabile perché sua madre è malata di quella malattia lì”.

Ricordo anche l’incredulità di un gruppo di operai africani quando gli spiegai che dalle carte aziendali risultava come loro rappresentante il capo reparto, socio e cognato del padrone, lo stesso che li comandava urlandogli “teste di cazzo” e “beduini di merda”.

E’ stato quantomeno singolare andare a spiegare la 626 e, in seguito, il decreto 81/08, in posti dove non vengono rispettate nemmeno le leggi sulla sicurezza degli anni ’50.

Se escludiamo le macchine a controllo numerico, che se apri il portellone ti fanno il bagno di lubrorefrigerante, trovare le protezioni su un tornio o su una fresa era una rara eccezione che generava stupore e piacevole sorpresa. E poi … organi di trasmissione scoperti e a portata di piede, parapetti rimossi, eternit che si sgretola sui tetti, sporcizia e rumore assordante.

L’’inverno è freddo e umido nei capannoni, mentre d’estate le zanzare ti massacrano e il caldo è soffocante. Anche solo il clima  rende gravoso vivere là dentro per 40 ore e più alla settimana.

In qualsiasi stagione, la fabbrica la senti dall’odore, a volte con una nausea leggera che sa di olio sintetico e metallo, a volte con un pugno di gomma bruciata che ti stringe lo stomaco.

Ho sentito raccontare gravidanze passate a saldare i cablaggi a piombo (prima che vietassero il Pb nei circuiti), o a spalmare tinture alla fenilendiammina   fino al settimo mese.

Ho visto ragazzi spaventati dal dover stare per ore al trapano sotto una pioggia di trucioli di acciaio, con un ritmo infernale, tenendo il pezzo con le mani. Ho visto gente lavorare con le cisti sinovialisui polsi, altri coperti dalla testa ai piedi di polvere di gomma, altri toccare sostanze R40a mani nude, altre condannate a mansioni ripetitive al limite dell’alienazione. Tanti a respirare merda senza aspiratori: solventi delle colle, fumi di saldatura, passivanti al cromo, nebbie oleose, prodotti di vulcanizzazione.

A questa gente, che vive gran parte della vita dentro aree artigianali progettate per escludere ogni possibilità di bellezza, dedico “Il lavoro debilita” .

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IL LAVORO DEBILITA  è un blog che raccoglie l’archivio di 15 anni di lavoro come tecnico della sicurezza. Non è il primo sito sulla sicurezza del lavoro e sulle nocività industriali, e non è neanche il migliore. Sicuramente è il più presuntuoso, perché ha la velleità di parlare di tutto: non solo della morte operaia, ma anche della vita in fabbrica e della lotta. Parlare della legge del padrone, della giustizia del padrone, della sua scienza e medicina, degli accordi sindacali in perdita, delle rappresaglie contro chi pretende sicurezza, delle valutazioni dei rischi fatte amminkia, dell’INAIL che rifiuta di risarcire le malattie professionali o assegna indennità ridicole.

Sto costruendo il LAVORO DEBILITA  come un punto di partenza per accedere facilmente alle tonnellate di materiali già disponibili in rete, presenti sui vari siti di comitati, associazioni, riviste, sindacati di base. Voglio che raccolga il meglio dell’epidemiologia e della ricerca sulle nocività, che indichi percorsi di valutazione dei rischi dal basso, che sia capace di fornire strumenti di difesa. Ancora tutto questo non c’è (il blog è in costruzione e assomiglia un po’ a una casa dove stai traslocando, senza i mobili e con tutti gli scatoloni appoggiati qua e là). Ma ci sarà, ‘che diffondere questo tipo di conoscenza è un lavoro che non debilita.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

5 commenti

  • E’ vero: il lavoro (quello vero) debilita, anzi uccide; se lo si fa diventare sicuro e salubre diventa anche economicamente insostenibile, infatti tra un po’ tutti questi tipi di lavoro pericoloso e malsano non ci saranno più, e per mangiare non si potrà nemmeno fingere un’invalidità, come spesso ancora succede. Che fare allora? Lasciare tutto il lavoro manifatturiero ai “beduini”, governati da filotalebani con frustino e Corano. In Occidente lavoreranno solo bocconiani e simili, con stipendi da 150.000 euro al mese: gli altri avranno un “salario di cittadinanza” da 150 euro. Anzi, perché non eliminiamo del tutto il lavoro o quanto meno lo sottraiamo ai vincoli dell’economia; però consentiamo anche la creazione di pollai e orti condominiali in città (come a Cuba), così almeno un uovo e un pollo ogni tanto, o magari una melanzana, li potremo mangiare? La vogliamo capire che siamo POVERI e che non potremo fare tutti gli impiegati della City, a meno che non si faccia davvero la rivoluzione e si cambi il mondo; ma quella chi la vuole fare più? Rischieremmo di perdere il lavoretto in nero che è rimasto o addirittura la pensione, non sia mai! E allora meglio fare le primarie per sostenere il sistema e sognare ancora di essere “amerikani” e forse futuri capitalisti, di lavorare per Goldman Sachs e di andare in Kenya con Briatore.

  • Alexik, io sono una frana con internet, ma se vuoi sarei felice che mi metti questi link sulla mia pagina di feis buk che è di CONTROINFORMAZIONE. DIBBI mi conosce bene dal vero. Intanto condivido. Marco Pacifici.

  • Grazie ci son riuscito!

  • MI SCRIVE Gianmarco Martignoni, POSTO E RISPONDO

    Poiché condivido il bel contenuto dell’intervento di Alexik65 , credo che se Il Manifesto sopravviverà sarà il caso – di concerto con Il circolo del Manifesto di Bologna – di avanzare delle proposte per un quotidiano che allarghi il bacino dei lettori, invece di restringerlo, sviluppando un dibattito a tal fine.
    Cosa ne pensa Daniele?

    RISPONDO SUBITO
    sì certo: se “il manifesto” sopravviverà bisognerà cercare di farne un quotidiano incisivo e non auto.ghettizzato
    (db)

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