La famiglia Cervi: nel nome della madre

Un ricordo in forma di racconto di Francesco Giordano

I sette fratelli Cervi – Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore – figli di Alcide Cervi e di Genoeffa Cocconi furono torturati e poi fucilati dai fascisti il 28 dicembre 1943 nel poligono di tiro di Reggio Emilia.

“Nel nome della madre. In ricordo di Genoeffa”

Sebben che siamo donne

paura non abbiamo

Mi chiamo Genoeffa Cocconi, moglie di Alcide Cervi e madre di Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore e voglio prendere la parola oggi, nel 2020.

E voglio innanzitutto ricordare anche le mie due figlie: Rina e Diomira

Dunque sono Cenoeffa Cocconi, donna, moglie e madre di nove figli.

Dopo la Liberazione si è molto parlato della famiglia Cervi.

Nel mio cuore, dentro di me, provavo orgoglio, misto a vergogna.

Orgoglio perché certo che era giusto partecipare alla Lotta di Liberazione contro chi occupava la nostra terra, contro nazismo e fascismo.

Vergogna perché pareva che io non esistessi, le mie figlie non esistessero, non avessimo avuto una vita e un ruolo, mentre la presenza e l’attività delle donne, anche la mia, nella Resistenza è stata senza dubbio determinante.

Ci tengo anche a far conoscere quanto poi ho saputo, ovvero che il mio cognome, Cocconi, ha origine dal greco “kokkos”, che sta a indicare il particolare chicco di melograno. Avete presente un melograno? Avete presente come i chicchi stanno abbracciati ed uniti?

A me pare che guardando all’origine del mio nome si capisca quanto poi è avvenuto, e che nessuno poteva immaginare anche se sapevamo di dover essere pronti a tutto.

Eravamo davvero uniti come i chicchi di un melograno, nella buona e cattiva sorte.

Mentre parlo non voglio accusare nessuno, ma così è stato, forse anche per mia responsabilità.

Voglio dire che non si doveva parlare dei Sette Fratelli Cervi, ma della famiglia Cervi. Eravamo una famiglia unita e antifascista.

Non c’era nulla di quello che si faceva che non era condiviso da ognuno di noi, e sapevamo bene quali erano i rischi cui andavamo incontro: tutti e tutte.

Avevamo concordato che nella nostra casa chiunque poteva trovare riparo: italiani, russi, alleati, renitenti, disertori, antifascisti e tutti loro ricordano che in quella nostra grande casa colonica, pure nel trambusto del momento trovarono sempre il senso della famiglia. Proprio perchè si era uniti e radicalmente antifascisti.

Soprattutto c’era in noi, ma non solo in noi, la diffusa consapevolezza che bisognava farla finita con il fascismo, che in quel “credo” non c’era pace e salvezza per nessuno.

Oltre venti anni di crimini, miseria, nefandezze indicibili.

La lotta partigiana grazie ai comunisti ha vinto: grazie al coraggio non solo di chi ha impugnato le armi ma grazie al popolo che ha reso possibile la lotta partigiana.

Mi riferisco a quel retroterra fatto di lavoratori, contadini, gente “comune” che ha rischiato morte o deportazione per dire NO al fascismo, NO al nazismo.

Immaginate povera gente che viveva sulle montagne, che spesso nemmeno sapeva leggere, le mani piene di calli: eppure ha rischiato la vita e molti sono morti per la loro determinazione. Sono stati fucilati senza dire una parola. Avevano fatto quello che sentivano fosse normale e giusto fare.

E le donne hanno fatto anche esse la loro parte. Anche per costruire una emancipazione culturale. Pur se autodidatte, o forse perché tali, provavamo amore per la lettura, apprensione culturale e desiderio di conoscenza. Avevamo capito che l’emancipazione sociale potesse passare nel lavoro, nell’innovazione, nella condivisione. Avevamo intuito e poi compreso che non ci si salva da soli e ignoranti.

Per questo nasce l’idea di una Biblioteca Popolare, appropriarsi della cultura per non cedere allo sfruttamento, per sentirsi libere dentro noi stesse.

Più conoscenza voleva significare far fruttare meglio la produzione di tutti i prodotti provenienti dalle mucche e dai campi.

Cominciavamo a sentirci e voler essere padroni del nostro lavoro, e del pensiero.

Fu nel ‘39 che decidemmo di comprare un trattore, dalle nostre parti nessuno lo aveva. Noi lo comprammo e lo prestavamo ai nostri vicini. In quella occasione acquistammo anche un mappamondo e lo mettemmo sopra il trattore. Qualcuno si stupì e dovemmo spiegare che volevamo far intendere che appartenevamo al mondo intero, quella era la nostra Patria.

Volevamo dimostrare che, anche se stavamo bene, sapevamo che non si sta mai davvero bene se non vale anche per gli altri.

E quella mattina? Quella mattina davvero nessuno s’è accorto di niente?

Quella mattina del 28 dicembre 1943 alle 6.30 ho sentito un tuono provenire dal Poligono di Tiro di Reggio Emilia, quando le vite di Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore si interruppero. Come quella dell’«italiano rinnegato» Quarto Camurri (disertore della Milizia Volontaria) come lo chiamarono i fascisti.

ma quando in un unico sparo

caddero in sette dinanzi a quel muro

la madre disse

non vi rimprovero o figli

d’avermi dato tanto dolore

Io ho dovuto resistere, far finta di nulla e ancora negare per Alcide, per le nuore, per i nipoti.

Dovevo mantenere il segreto perché Alcide era ammalato, ho cercato di illuderlo che i figli un giorno sarebbero tornati. Invece a tornare non furono loro, bensì i fascisti.

Anche la mattina del 10 ottobre 1944 alle 6.30 ho sentito un tuono che mi ha ricordato quello delle 6,30 del 28 dicembre 1943 proveniente dal Poligono di Tiro di Reggio Emilia. Per la seconda volta, incendiarono la nostra casa.

ma che ci faccio qui sulla soglia

se più’ la sera non tornerete

Fu dopo quell’ulteriore aggressione che capii fosse giunta l’ora di chiudere gli occhi. E dopo 26 giorni trovai la pace.  Era il 15 novembre del 1944.

o figli cari

vengo con voi.

La casa incendiata fu rimessa in piedi e da allora rimane come monumento storico a onorare la Resistenza partigiana.

Qui il video con la canzone Sebben che siamo donne:

https://www.youtube.com/watch?v=PXOpVWSZ7uA

Qui Albertina Soliani, presidente dell’Istituto Alcide Cervi, presenta un video dedicato alla figura di Genoeffa Coccone: https://youtu.be/E–89wayvwU

Tutti i versi sono tratti dalla poesia «La madre» di Piero Calamandrei

La “bottega” ricorda anche

«Sette fratelli» dei Mercanti di liquore e Marco Paolini

«La pianura dei sette fratelli» dei Gang (è stata incisa anche dai Modena City Ramblers)

 

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

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