La fine del 2018 vista dal Sahel
Due articoli del missionario Mauro Armanino (*) che dall’aprile del 2011 si trova a Niamey, capitale del Niger
Lottare contro la ricchezza
Anno nuovo vita nuova. Un detto del tutto inconsistente se messo in relazione alle contraddizioni del Sahel terreno di caccia per imprese umanitarie in cerca di bottino. Proprio come le Grandi Agenzie di Riproduzione del Sistema che hanno volgarizzato da anni il dogma samaritano della ‘lotta alla povertà’. Presentata come l’unica e definitiva battaglia che accomuna ricchi e poveri, è da vincere nei prossimi anni venturi. A questo titolo, le Nazioni Unite, che si presentano nel sito come ‘il vostro mondo’ hanno da tempo fissato l’obiettivo numero uno. Dimezzare, tra il 1990 e il 2015, la proporzione della popolazione il cui reddito pro capite è inferiore a 1, 25 dollari al giorno. A questo apparentemente lodevole principio è invece corrisposta una crescita della ricchezza e delle disuguaglianze. Lo scarto tra i più ricchi e i più poveri, tanto al Nord come al Sud del mondo, è ormai un abisso. La lotta alla povertà si è trasformata in fretta fin dall’inizio in lotta contro i poveri.
Per esempio contro le migrazioni, vera e propria strategia di ‘distrazione di massa’. Operazione che mira a dirottare lo sguardo su migranti ‘irregolari’ invece che sull’economia al servizio dei pochi ricchi. O allora contro i contadini a conduzione famigliare della terra. Oppure con la rapina delle risorse principali dell’arco saheliano, che vanno dalla pesca della costa atlantica ai minerali dell’interno. Nel nostro contesto neppure il sostegno a dittatori e profittatori del popolo è innocente. Si tratta, in tutta neocoloniale semplicità, di garantire la perennità dello spogliamento di quanto possa ostacolare la libera espropriazione delle forme di resistenza all’occupazione. La guerra più pericolosa è senz’altro quella culturale la cui vittima principale è l’immaginario simbolico dei popoli del Sahel. La riduzione e la conseguente ‘assunzione’ delle persone a vittime della povertà, in perenne bisogno di soccorso, è quanto di più nefasto possa accadere alla dignità umana.
Non bastasse le Nazioni Unite e la coorte umanitaria hanno riconfermato l’obiettivo citato, innalzando il minimo vitale a testa a 1, 90 dollari. Statisticamente i poveri sono determinati e contabilizzati a 783 milioni. Dinnanzi a tale operazione, che durerà a tempo indeterminato, non resta che l’altra opzione che il Sahel ha già iniziato a proporre. Invece della lotta alla povertà dichiariamo che l’obiettivo per il prossimo decennio sia la lotta alla ricchezza. Una lotta impari, conseguente e simultanea, al Sud come al Nord, che possa con determinazione ridurre della metà la ricchezza della popolazione del mondo. Il decennio in questione, che verrebbe lanciato con una semplice cerimonia sotto l’albero del millennio, un baobab, non avrebbe bisogno di molti mezzi per affermarsi. Le prime unità di sensibilizzazione hanno da tempo cominciato a realizzare progetti dove più forte è il tasso di ricchezza. Malgrado le difficoltà e gli ostacoli incontrati nel percorso e sul posto il progetto avanza.
Ridurre la ricchezza non solo è possibile ma anche urgente. Per salvare il pianeta dagli interminabili e inutili incontri sul clima, sugli aggiustamenti strutturali e sul commercio mondiale. Con altre parole e con lo stesso contenuto, ancora recentemente e tra gli altri, papa Francesco è tornato sull’idea. Ha prima denunciato il banchettare di pochi davanti alla mancanza di pane dei molti altri. Ha infine opposto ‘l’avidità e l’insaziabile voracità di coloro che ammassano cose per dare senso alla vita’ alla capacità di condividere il poco che si ha. Non casualmente è arrivato dalla ‘fine del mondo’. E’ lo stesso progetto che, con altre parole il Sahel ha fatto suo. Qui si vive di poco e il poco condiviso diventa ricchezza per tanti. La ricchezza per pochi è un furto mondiale da condannare. A questo titolo il decennio di riduzione della ricchezza si presenta come l’unica opzione umanitaria che valga la pena di perseguire con coerenza. Ovviamente le agenzie onusiane e umanitarie saranno chiamate ad operare con fermezza perché la ricchezza nel mondo finalmente diminuisca.
Niamey, fine del 2018
***
Natale di polvere nel Sahel
Puntuale come un orologio svizzero. L’harmattan arriva secondo la stagione prefissata dalle consuetudini. Si invita a dicembre proprio sotto Natale, più vicino qui che altrove. L’harmattan è un vento caldo e secco che soffia sul Sahara e l’Africa occidentale. Si raffredda la notte provocando l’abbassamento della temperatura. Il suo lavoro consiste nel trasporto gratuito di polvere per tutti. Una polvere democratica, che non risparmia o esclude nessuno. Facilita la trasmissione di epidemie di meningite e di malgoverni che, grazie alle polvere attecchiscono, prosperano e si mantengono. Anche il primo Natale è stato così. Pieno di polvere più che di stelle. Gli stessi imperi di sempre, i censimenti per tassare meglio i poveri e i re fantoccio che temono concorrenti e rivali. Nulla di nuovo sotto la polvere del Sahel che comincia a dicembre e si estende fino a febbraio, quando va bene. ‘Natale coi tuoi e Pasqua con chi vuoi’, sentenziavano gli antichi. Qui intanto ci prendiamo la polvere di Natale e per la Pasqua vedremo. Il nome Harmattan deriva, sembra, dalla lingua Fanti del Ghana.
L’harmattan è un vento aliseo regolare delle regioni intertropicali e soffia dall’est all’ovest, dalle alte pressioni subtropicali alle basse pressioni equatoriali. Aliseo è un nome forse derivato dal provenzale ‘liscio, dolce’ o dal latino ‘lisciare’. Scoperto e usato da navigatori e commercianti non è invece apprezzato dai migranti che solcano il Sahara. Diversamente utilizzato da contrabbandieri e trafficanti di droga e armi, l’aliseo era stato saggiamente definito dai navigatori inglesi ‘vento commerciale’. L’economia funziona ancora adesso con la polvere da sparo e col vento delle speculazioni finanziarie. Nulla di nuovo sotto la polvere dell’harmattan che ha assistito, non senza malcelato compiacimento, all’insabbiamento di imperi, imprese commerciali e fiorenti piste carovaniere. Tant’è vero che persino la Parigi Dakar, il noto rallye nato nel dicembre del 1978, a causa della polvere di attentati è stato delocalizzato in America Latina. Al momento in ‘rallye’ sono soprattutto le moto utilizzate dai ‘djhadisti’ che fanno degli alisei i loro migliori alleati commerciali.
Di polvere sono i rapitori di persone e di polvere, col tempo, diventano i numerosi ostaggi nel Sahel. Oltre cinquanta i nigerini scomparsi e vari gli stranieri che dalla e nella polvere vivono la prigionia. Di recente lo stesso Al Qaida si lamenta che, a causa della polvere, gli Stati interessati dai rapimenti non si fanno vivi. Per ritorsione promettono di smettere di pubblicare i video di propaganda che li rappresentano ancora in vita. Chi, invece, la vita l’ha persa nella polvere del mare adiacente al sud della Spagna sono 11 migranti, assieme ad altri 33 per sorte trovati vivi. L’imbarcazione era ricercata da due giorni con altre tre imbarcazioni. La polvere del mare, gli altri venti alisei hanno portato via almeno 744 persone dall’inizio dell’anno sulle rotte della Spagna. Come sarà, per queste creature di polvere, il detto ‘Natale coi tuoi e la Pasqua con chi vuoi’. O allora come prendere alla lettera il titolo del nuovo spettacolo del Suk di Genova che afferma senza battere ciglio che …’la mia casa è dove sono’. La polvere del mare o quella dell’harmattan, ad ognuno la sua casa.
Il nostro Natale è fatto di polvere raffinata. Portata dal vento che qui chiamano Harmattan, un vento aliseo che attraversa il deserto di giorno come di notte. Caldo per il giorno e fredda la notte non fosse per loro, le stelle. Le stelle sono in realtà di polvere, anzi, polvere di stelle che nel Sahel si regala a chi nasce per la prima volta.
(*) entrambi gli articoli sono stati pubblicati da Comune-Info