La fine del capitalismo
di Gian Marco Martignoni
La perdurante crisi economica, semmai ve ne fosse stato bisogno, ha evidenziato le contraddizioni insite a un sistema capitalistico fondato sull’accumulazione privata della ricchezza e la conseguente insensata logica della produzione per la produzione.
In questi giorni, smentendo la propaganda dell’ideologia neoliberale, relativamente al mercato che si auto-regola e le litanie a proposito del rilancio della crescita, il numero 929 in edicola (sino a pochi giorni fa) del settimanale Internazionale ha per tema “La fine del Capitalismo”, con tre contributi incentrati sul fatto che “…la crisi dimostra che il sistema non funziona, ed è arrivato il momento di cercare un’alternativa”.
Wolfgang Uchatius di Die Zeit fotografa l’inceppamento della macchina capitalistica, mentre John Lanchester della London Review of Books affronta il tema scottante delle perverse astrusità finanziarie.
Ma la vera chicca è il discorso che la scrittrice indiana Arundhati Roy ha svolto a Zuccotti Park il 16 novembre 2011 “nel cuore dell’impero” e ripreso da The Guardian: un testo da fotocopiare e da diffondere per la lucidità intellettuale che lo contraddistingue sia nella parte analitica che in quella propositiva.
Purtroppo, i media “eurocentrici” non puntano i riflettori “sui duecentocinquanta mila agricoltori – 250.000! – che trascinati in una spirale di morte, hanno finito per suicidarsi”, causa l’adozione da parte dell’India delle ricette del libero mercato.
Scrive l’autrice de Il dio delle piccole cose: “… noi vogliamo mettere un limite alla smisurata accumulazione di ricchezza da parte di alcuni individui e alcune società. Noi non stiamo combattendo per giocherellare con la riforma del sistema. Questo sistema deve essere sostituito”.
Ovviamente, quando parliamo di crisi del capitalismo, bisogna considerare il mutamento degli equilibri tra le potenze economiche del globo, se è vero, si veda il manifesto del 27 dicembre, che il Brasile nel 2011 conquisterà il sesto posto della classifica mondiale, superando la Gran Bretagna, mentre a fronte della continua ascesa di India e Russia il nostro paese tende progressivamente a declinare.
Pertanto, ritengo importante socializzare la lettura di questo numero dell’Internazionale con quanti intendono misurarsi con le problematiche determinate dalla “Grande Crisi”, proprio perché nessuno è in grado di sapere quando terminerà e se terminerà la depressione economica che attanaglia la totalità capitalistica, come d’altronde l’economista indiano Prem Shankar Jha ha ben messo a fuoco nel fondamentale testo “Il caos prossimo venturo. Il capitalismo contemporaneo e la crisi delle nazioni”, tradotto nel 2007 da Neri Pozza.
Augurando un buon 2012, un fraterno saluto.
(Varese, 30 dicembre 2011)
Condivido le tue valutazioni e i tuoi commenti sul numero di internazionale del 23 dicembre, ma rimango sempre insoddisfatto sul lato delle proposte e delle prospettive reali, cioè politiche.
Rimango deluso per le conclusioni di Wolfgang Echatius che con pessimismo sistemico non vede alternative al deprecato capitalismo; come pure per quelle di Arundhati Roy che propone 4 richieste in settori disparati, condivisibili, ma senza alcuna base sociale.
Se siamo veramente convinti che il capitalismo consumista ci sta portando alla rovina in tmepi sempre più rapidi dobbiamo agire rapidamente pensando a proposte che possano mobilitare le maggioranze, non soddisfare il bisogno intellettuale di minoranze solidali e generose.
Vorrei trovare qualcuno che si cimenta in questa costruzione di proposte, per l’oggi, non per il dopodomani.
Giancarlo Malavolti