La foto sovresposta di Biden sul Nicaragua

Da Reagan a Biden un paese di circa sei milioni di abitanti, il secondo più povero del continente dopo Haití, continua a far paura al potente gendarme internazionale.

di Bái Qiú’ēn

Nosotros, los de entonces, ya no somos los mismos. (Pablo Neruda, Poema XX)

colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare. (Niccolò Machiavelli, Il Principe)

Secondo recenti dichiarazioni di Joe Biden (16 novembre), il Nicaragua dei regnanti Daniel Ortega e Rosario Murillo «continua a rappresentare una minaccia insolita e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti». Per cui ha chiesto ai deputati e ai senatori di prorogare per un altro anno la dichiarazione di emergenza nazionale stabilita il 27 novembre 2018 da Donald Trump, dopo le proteste popolari spontanee represse con durezza e ferocia, che scadeva il 27 novembre 2023. Non c’è fine al ridicolo: un Paese di circa sei milioni di abitanti, che è il secondo più povero del continente dopo Haití, fa paura all’acciaccato ma ancora potente gendarme internazionale.

Negli anni Ottanta, quelli di Ronald Reagan, l’esempio di un sistema politico e socio-economico diverso rispetto sia dal capitalismo sia dal socialismo reale poteva “contagiare” il subcontinente. Oggi, però la foto scattata dal presidente statunitense è quanto meno sovresposta e pure assai “mossa”.

Gli argomenti usati da Biden sono del tutto ridicoli, tragicamente ridicoli rispetto alla «minaccia insolita e straordinaria» nei confronti degli Stati Uniti: «il continuo e sistematico smantellamento e indebolimento delle istituzioni democratiche e dello stato di diritto», «l’uso della violenza indiscriminata e le tattiche repressive contro i civili», «la corruzione che porta alla destabilizzazione dell’economia».

Rileviamo che questi aspetti si riferiscono alla situazione socio-politica interna, non alle scelte di politica estera del Nicaragua ortego-chayista. Come questa innegabile realtà interna possa essere una minaccia per gli Stati Uniti non riusciamo proprio a comprenderlo.

Più evidente sarebbe stato se Biden avesse fatto riferimento agli stretti rapporti politici ed economico-commerciali del Governo del Nicaragua con la Russia di Putin e con la Cina di Xi. Non poteva farlo, poiché proprio nelle stesse ore si incontrava con il leader cinese e non era il caso di esasperare ulteriormente le relazioni politiche e soprattutto economiche tra i due Paesi (e in subordine con lo zar Vladimir Vladimirovič).

Altro argomento, probabilmente l’unico, che avrebbe potuto sollevare per prorogare l’emergenza nazionale è che da un po’ di tempo, sborsando tra i 150 e i 200 dollari a testa, il Nicaragua ha smesso di timbrare i passaporti ai numerosi passeggeri che transitano per l’aeroporto A.C. Sandino provenienti dall’Africa, dall’America latina e dai Paesi dell’ex blocco sovietico, quando la normativa vigente stabilisce «un arancel turístico de 10 dólares americanos». La destinazione finale di questa massa di disperati sono gli Stati Uniti d’America e, si pensi ciò che si vuole, questa irregolarità non solo serve per rimpinguare le casse dello Stato o i portafogli dei corrotti doganieri o entrambe le cose, ma è pure utile per occultare il passaggio attraverso il Nicaragua e le conseguenti sanzioni alle compagnie aeree stabilite da Washington alla fine del novembre 2023 proprio per evitare un aumento della migrazione illegale (tasto dolente per Biden nei confronti di Trump). Nel primo semestre del 2023, secondo i dati ufficiali del Banco Nacional, oltre 50mila persone erano giunte a Managua in aereo ma sono uscite dal Paese con altri mezzi di trasporto, in buona parte tentando di entrare clandestinamente negli USA (nel 2022 erano atterrati 634.800 passeggeri, ma soltanto 312.400 erano ripartiti con un volo). Chissà quanti di loro erano nella carovana dei diecimila migranti (di una ventina di nazionalità diverse) che dalla messicana Tapachula aveva tentato di entrare negli Stati Uniti nella settimana di Natale? È evidente che l’orteguismo, esattamente come gli scafisti nel Mediterraneo, ha deciso di sfruttare la disperazione delle persone per il proprio tornaconto sia economico sia politico (è questa una delle facce più appariscenti della solidarietà praticata dall’orteguismo nei confronti di chi ha venduto tutto ciò che aveva per tentare di raggiungere il sogno dell’American Way of Life). Qualcuno ha definito questo meccanismo come “guerra ibrida” contro Washington, che però fa il gioco di Trump nella campagna elettorale per le presidenziali del prossimo 5 novembre 2024. Se l’ex presidente persiste nell’affermare che le persone che assaltarono il palazzo del Congresso il ​​6 gennaio 2021 erano patrioti amanti della pace, in svariate occasioni Daniel ha sostenuto che gli arrestati per quell’azione golpista erano stati ingiustamente incarcerati e processati. Strano connubio tra Daniel e The Donald, ma così pare. È probabile che Daniel interpreti l’America First come un annuncio indiretto dell’abbandono definitivo da parte di Trump del ruolo di gendarme internazionale. Peccato che, in fatto di politica estera, repubblicani e democratici hanno sempre fatto a gara per ampliare e rafforzare questo ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Non a caso le prime sanzioni ad personam contro esponenti governativi furono varate proprio da Trump. La memoria, però, è spesso assai corta.

A nostro avviso, così com’è formulata, la fotografia scattata da Biden indica a tutti gli effetti una minaccia per il sandinismo, sempre più sepolto sotto una realtà che non è quella sognata da tutti coloro che combatterono contro la dittatura somozista fino alla fuga del sanguinario Tachito Somoza e al trionfo dell’eroica Rivoluzione Popolare nell’ormai lontano 19 luglio 1979.

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Il governo rivoluzionario detterà le seguenti misure di natura politica:

– Darà al potere rivoluzionario una struttura che consenta la piena partecipazione di tutta la popolazione, sia a livello nazionale che a livello locale (regionale, comunale, locale).

– Garantirà a tutti i cittadini il pieno esercizio di tutte le libertà individuali e il rispetto dei diritti umani.

– Garantirà la libertà di espressione del pensiero, che porti principalmente alla vigorosa diffusione dei diritti popolari e dei diritti nazionali.

– Garantirà la libertà di organizzare il movimento sindacale nella città e nelle campagne, libertà di organizzazione di gruppi contadini, giovanili, studenteschi, femminili, culturali, sportivi, ecc.

– Garantirà il diritto degli emigranti e degli esuli nicaraguensi al ritorno in patria.

– ecc.

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Senza dubbio la realtà attuale è assai lontana da questi punti del Programa histórico del FSLN redatto da Carlos Fonseca nel lontano 1969, che abbiamo parzialmente riportato qui sopra. Dieci anni dopo trionfò la lotta popolare contro la dittatura e iniziò la costruzione di una società nuova, che aveva come capisaldi il non allineamento, l’economia mista e il pluralismo: non era la cosa più semplice del mondo, tra mille problemi e un’aggressione economico-militare (la cosiddetta guerra di bassa intensità). La Rivoluzione Popolare Sandinista significò la realizzazione e il rafforzamento di un sistema politico democratico e pluralista, fino all’eccettazione della sconfitta elettorale del 25 febbraio 1990.

Se confrontiamo ciascuno dei suddetti punti programmatici con l’attualità, non fatichiamo a vedere una notevole discrepanza che, con un termine abbastanza forte, potremmo definire un imperdonabile «tradimento politico» che rinnega la “sacralità” del «noi» per intronizzare l’«io» di chi comanda e nasconde il proprio vero volto dietro la storia e i simboli rivoluzionari con l’unico obiettivo di mantenersi al potere a tempo indefinito. Il sistema politico-economico ortego-chayista non rappresenta più i valori di un progetto politico di sinistra, com’era quello propugnato dal FSLN delle origini: è esattamente l’opposto dei princìpi rivoluzionari iniziali. Oltretutto, le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione non sono affatto migliorate rispetto agli anni Ottanta si continua a vivere alla giornata, sperando nella benevolenza divina. Non a caso, da alcuni anni è comune sentire come frase in risposta a «ci vediamo»: «Si Dios quiere».

Tempo fa abbiamo affrontato sia la questione delle Zone Franche sia altre scelte di politica economica implementate a partire dal 2007, ossia dal ritorno di Daniel alla presidenza della Repubblica. Cosa abbiano a che fare queste scelte chiaramente neoliberiste con il progetto del «controllo operaio nella gestione amministrativa delle aziende e altri beni espropriati e nazionalizzati» previsto dallo stesso Programa histórico del FSLN non riusciamo a comprenderlo. Ma tant’è.

«Penso che in America Latina ci sia un innamoramento da parte di alcuni gruppi della sinistra radicale nei confronti del Fronte Sandinista. L’eroico Fronte Sandinista rovesciò la dittatura di Somoza e per dieci anni cercò di apportare grandi cambiamenti in Nicaragua. Il Fronte Sandinista che governa in questo momento non ha nulla a che fare con quel Fronte Sandinista. Ha solo i colori, ha i segni, ha la verbosità e l’artificio, ma è un sandinismo bugiardo», ha affermato recentemente Gioconda Belli. Concordiamo con questa analisi ma riteniamo che la definizione di «sinistra radicale» sia erronea, poiché dovrebbe indicare quelle forze che si oppongono alle politiche neoliberiste, comprese quelle attuate dal governo ortego-chayista: più correttamente la si dovrebbe definire «sinistra post-stalinista», purtroppo presente e operante non soltanto in America latina…

La fine dell’utopia degli anni Ottanta del secolo scorso ha prodotto in questo terzo millennio da poco iniziato una concreta anti-utopia (o distopia), con un potere assoluto e piramidale che ha occupato tutte le istituzioni e impiega tutti gli strumenti a propria disposizione. Una versione tropicale del sistema descritto dal libertario George Orwell nel suo sempre attuale 1984.

Una delle “armi” utilizzate per mantenere saldamente questo potere è senza dubbio il senso d’insicurezza dell’incarico che tutti i politici e i funzionari vivono quotidianamente, ora dopo ora, soprattutto dopo le proteste del 2018: sistema ormai sperimentato per garantirsi la loro fedeltà incondizionata. Servirebbe un intero volume solo per elencare le destituzioni, le nomine e gli spostamenti di vari ambasciatori, ministri, ecc. nel corso di questi ultimi cinque anni. Per fare un solo esempio, nel giro di un paio d’anni l’ortegismo ha cambiato ben cinque suoi ambasciatori a La Habana: Luis Cabrera González (in carica dal 2007) fu destituito il 26 novembre 2021 e sostituito da Sidhartha Francisco Marín Aráuz (che restò in carica appena 11 giorni), rimpiazzato da Reynaldo del Carmen Lacayo Centeno (per meno di un mese), seguito da Wilfredo Jerónimo Jarquín Lang (per meno di quattro mesi). Alejandro José Solís Martínez riuscì a restare in carica un anno ma nel settembre 2023 gli subentrò Orlando José Gómez Zamora.

L’ultima “purga” in ordine di tempo, nei giorni tra la fine di ottobre e la metà di novembre, è stata nei confronti della magistratura e del personale giudiziario, con la cacciata collettiva di un migliaio di funzionari di vario ordine e grado, oltre ad alcuni magistrati (quattro della Corte Suprema e vari altri dei tribunali d’appello). Questa cifra corrisponde a circa un decimo del totale, ufficialmente tutti e tutte ciecamente fedeli all’orteguismo, a partire dalla presidente della Corte Suprema Alba Luz Ramos Vanegas “sfrattata” dal suo ufficio con l’intervento della polizia il 24 ottobre. Dopo tredici anni nell’incarico e perciò considerata come “intoccabile”, senza neppure consentirle di portare con sé gli oggetti personali, sotto scorta è stata “accompagnata” alla propria abitazione, dove è praticamente reclusa. A quanto pare l’ordine era arrivato da Rosario, con l’obiettivo di eliminare dal sistema giudiziario tutti i fedeli e le fedeli di Daniel, mettendo sempre più in evidenzia la “scalata” di Rosario al controllo totale delle istituzioni, in attesa della dipartita del consorte-Presidente (senza dubbio la peggiore rappresentazione di quello che fu il sogno sandinista).

Oltre a questa smania di potere assoluto basato su un governo familiare bicefalo che ricorda più le monarchie ereditarie assolute che le istituzioni repubblicane (pur con tutti i loro limiti e difetti), è altrettanto indubbio che la Vicepresidenta soffra di una sorta di complesso d’inferiorità nei confronti di quelle ragazze che all’epoca combatterono contro il somozismo e furono nominate “comandanti”: Dora María Tellez e Mónica Baltodano oggi sono all’estero, private della loro nazionalità e impedite a rientrare nel loro Paese. Rosario, invece, è solo «la moglie del comandante», ma da tempo sta preparando la successione al trono, sostituendo i fedeli a Daniel con i suoi. Essendo riuscita ad attrarre nella sua orbita parecchi giovani (tra i 16 e i 34 anni d’età) ha senza dubbio un importante seguito all’interno del FSLN, ma al contempo ha innescato un forte scontro generazionale che non promette nulla di buono per l’avvenire.

«Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna», pare abbia detto a suo tempo Virginia Wolf. In Nicaragua, però, pare che l’equazione sia rovesciata e che Rosario incarni dopo alcuni secoli la shakespeariana lady Macbeth.

Ufficialmente non traspare granché delle diatribe “familiari” tra Daniel e Rosario, la cui relazione è da tempo basata sull’ossessione per il potere, ma alcuni “segnali” sono particolarmente evidenti, come la recente “purga” nel sistema giudiziario. Rosario sa benissimo di non essere gradita né tanto meno amata dalla base sandinista storica (la “vecchia guardia”), per cui il rafforzamento della propria influenza sulle istituzioni è indispensabile per l’inevitabile giorno in cui Daniel passerà «a otro plano de vida».

Prima di questa purga eclatante, sul personale giudiziario era comune e generalizzato il controllo costante sull’uso dei cellulari e sulla partecipazione alle attività del partito di governo, fino al divieto di viaggiare all’estero senza il consenso della presidenza della Repubblica, fino al divieto di partecipare ad eventi religiosi. Il clero di vario ordine e grado è infatti considerato a capo dell’opposizione politica: «Questi non sono Capi Religiosi, questi non sono Rappresentanti, né di Dio, né dei Nostri Santi, né di Nostra Madre Maria […]. Come possiamo credere ciò che proviene dai rappresentanti del demonio!», ha predicato Rosario il 12 dicembre 2023, proseguendo in uno scontro che risale al 2018 e assomiglia parecchio alla propaganda dei cristiani conservatori e tradizionalisti (con Steve Bannon in testa) contro Francesco, descritto come emissario del Demonio.

Persino il figlio primogenito di Daniel e della comandante Leticia Herrera Sánchez, l’ingegnere informatico Camilo Daniel Ortega Herrera (al quale avevamo accennato in precedenza), è stato cacciato dal suo più che decennale impiego di direttore della División de Informática Registral del Poder Judicial, con uno stipendio mensile non proprio lauto di circa 10mila córdobas (meno di US$ 300).

Camilo Daniel, nato il 15 giugno 1978 quando il padre si era già accompagnato con Rosario, è quasi uno sconosciuto persino in Nicaragua: non compare nei mezzi di comunicazione, non rilascia interviste e non svolge alcuna attività pubblica. Con gravi problemi di vista fin dalla nascita (toxoplasmosi), a tutti gli effetti, per quanto mantenga rapporti con il padre, si mantiene ben lontano dalle stanze del potere. Rosario, dal canto suo, non gradisce granché la sua stessa esistenza.

Se per altri “purgati” una motivazione più o meno credibile è stata escogitata (la fantasia non manca agli inquilini di El Carmen), per lui non è dato sapere la ragione della destituzione. Ciò nonostante, si può avanzare un’ipotesi: da tempo sua madre, la comandante Leticia Herrera Sánchez, non è più in sintonia con il potere sempre più assoluto dei due monarchi. Da giovane organizzò la guerriglia urbana a Managua e partecipò all’operazione Diciembre victorioso con l’assalto all’abitazione del ministro José María “Chema” Castillo Quant, nel Natale del 1974 (assieme ad altre due ragazze, Olga Avilés ed Eleonora Rocha, e dieci ragazzi), con la quale il FSLN ottenne la liberazione di vari prigionieri tra i quali lo stesso Daniel.

Se a questo aggiungiamo la descrizione che in quattro semplici parole Violeta Murillo ha dato nel 2018 di sua sorella Rosario, il quadro si fa decisamente più chiaro: fin da piccola era «malcriada, soberbia, envidiosa y abusiva» (viziata, arrogante, invidiosa e offensiva). Tre ragazze comandanti Mónica, Dora María e Leticia, potrebbero fare ombra a Rosario, che ha interiorizzato il machismo diffuso nel Paese e agisce come un vero e proprio patriarca.

Ci torna in mente una lunga chiacchierata con la comandante Miriam (Leticia Herrera, all’anagrafe), nei primi anni Novanta del secolo scorso, quando era ancora deputata per il Frente (dal 1985 al 1996), nel suo ufficio al quinto piano del grattacielo dell’ex Banco de América (da raggiungere tramite le scale, poiché l’ascensore era fuori uso dopo il terremoto del dicembre 1972). Ci regalò una copia di Confesión de amor di Sergio Ramírez, con tanto di dedica. Nell’introduzione, Ernesto Cardenal aveva scritto: «La sua vocazione [del sandinismo] non era il potere, ma il potere di trasformare la società, di rendere il popolo padrone della propria coscienza, della propria storia».

Nata nel 1949 a Puntarenas in Costa Rica, figlia di un operaio-sindacalista esiliato e collaboratore del FSLN, nel suo libro di memorie Guerrillera, mujer y comandante de la Revolución sandinista Leticia afferma: «Non sono andata a passeggiare in Nicaragua; sono andata a combattere contro la dittatura di Somoza [aveva appena 19 anni]. Continuo a credere nelle possibilità degli esseri umani di trasformare la loro realtà sociale, con la lotta, con il lavoro, con la resistenza, con un atteggiamento consapevole e critico, con l’articolazione di idee trasformate in azioni, con l’organizzazione e con il rispetto delle diverse e varie forme di lotta che gli esseri umani scelgono. Non nego alcuna forma di lotta. So che la lotta armata è una via terribile, che alcuni di noi hanno dovuto scegliere poiché in quel momento altre opzioni erano precluse».

Questo libro è stato pubblicato da Icaria a Barcellona nel 2013 e non è mai stato distribuito ufficialmente in Nicaragua (per quanto abbia circolato in forma clandestina), ma un anno dopo a Leticia fu impedito di ricoprire qualsiasi incarico pubblico: «Da quando ho l’uso della ragione, mi sono mossa nel campo della lotta per un cambiamento che consenta di riconoscere i diritti fondamentali alla grande maggioranza». Al contempo, ricorda come i maschi del Frente consideravano le donne: «La nostra lotta era duplice e dovevamo fare grandi sforzi, perché spesso volevano solo che lavassimo i loro vestiti, li servissimo, facessimo da corriere e fornissimo loro soddisfazione sessuale. Noi però li abbiamo costretti ad aprirci le porte e abbiamo dimostrato che siamo più democratiche e preparate». Negli anni successivi al trionfo rivoluzionario, però, «Alla minima occasione chiudevano le porte che noi avevamo aperto. In quegli anni tutti gli sforzi erano diretti a respingere l’attacco della contra. Facevamo delle proposte e ci rispondevano: “Non adesso, la priorità è difendere la rivoluzione”. Forse era inevitabile, ma spesso noi donne rinunciavamo e rimandavamo i nostri interessi».

Dopo la pubblicazione di alcuni estratti dal libro sulla locale stampa di opposizione (che ancora esisteva), Leticia fu destituita da qualsiasi incarico pubblico.

Oggi, ci pare evidente che l’unica colpa di Camilo Daniel sia quello di essere il figlio di Leticia, non essere gradito dalla Regina e aver preferito non fare parte del clan regnante.

Esiste una spiegazione diversa e credibile? Resto in attesa di conoscerla.

Redazione
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