La funzione politica

di Franco Astengo

 

L’analisi riguardante l’agire politico, la comunicazione, la capacità d’intervento del Movimento 5 stelle rappresenta sicuramente, in questa fase, una delle più interessanti possibilità di comprensione su quanto si sta agitando nel sistema politico italiano.

Partiamo da una dichiarazione rilasciata dal “Capo politico” del Movimento“dove non siamo pronti dobbiamo smetterla di presentarci.”

Segue una dissertazione su politica delle alleanze, struttura periferica dell’organizzazione, rapporto con i soggetti associativi, ruolo delle liste cosiddette “civiche” che stanno proliferando nelle occasioni di consultazioni amministrative.

Sembra dunque che nel movimento si sia aperto uno spiraglio di riflessione dopo che l’esito di alcune elezioni parziali, significatamente le regionali abruzzesi di domenica scorsa, hanno incrinato quel quadro di granitiche certezze che aveva accompagnato la crescita del M5S sull’onda dell’antipolitica e della democrazia diretta.

Alcuni elementi però sembrano sfuggire a questo embrione di analisi e sarà bene ricordarli anche per memoria di tutti gli attori presenti nell’arena politica.

 Il tema è quello delle trasformazioni avvenute nel corso degli anni nel rapporto tra organizzazione e struttura sociale.

Mutamenti cui i soggetti interessati hanno più o meno assistito limitandosi a reclamare modifiche alla cornice istituzionale: sotto quest’aspetto sono risultate particolarmente bersagliate le leggi elettorali, modificate dal 1993 in avanti in diverse occasioni, sia al riguardo delle elezioni politiche, sia nel merito dei meccanismi relativi alle elezioni regionali, amministrative, europee.

A questo proposito abbiamo verificato il proporsi delle formule più varie tra collegi uninominali, elezione diretta, premio di maggioranza, listini bloccati, soglie di sbarramento al punto da provocare, in almeno due occasioni cruciali, l’intervento della Corte Costituzionale.

In realtà le questioni oltrepassano di gran lunga il tema delle formule elettorali e s’inoltrano nel cuore delle modalità dell’agire politico.

Il M5S ha interpretato, da questo punto di vista, una doppia funzione: quella dell’antipolitica (in questo caso intesa in una dimensione abbastanza “classica” tra Giannini e Poujade) e quella della “democrazia del pubblico” ridotta all’uno vale uno e alla cosiddetta “democrazia diretta”.

Ne è sortito un quadro di accentuata semplificazione nel rapporto istituzioni / società realizzato all’insegna del modificarsi, prima di tutto, dell’agire sociale avvenuto sulla base della spinta dei nuovi strumenti comunicativi.

In questo modo è stato definito un impianto politico fondato su quello che è stato definito “individualismo competitivo”. Anche il PD per la verità e non soltanto il M5S ha cercato di muoversi all’interno di quest’orizzonte, mentre altri soggetti hanno seguito percorsi più tradizionali.

Tutto questo mentre si accelerava il processo di trasformazione della “forma – partito”, da partito a integrazione di massa, al modello del “catch-all-party” e via via, partito azienda, partito personale, modello delle “primarie” fino alla virtualità del web assunta come futuribile agorà dell’immediatezza nella scelta.

Adesso, proprio da parte del M5S principale beneficiario sul piano elettorale di questo itinerario di cambiamento che si è appena cercato di descrivere, arrivano segnali di riflessione in controtendenza.

Allo scopo di entrare meglio nel merito si riprende, allora, il punto della “non presentazione” in caso di acclarata impreparazione del soggetto collettivo in caso di elezioni amministrative: una dichiarazione di vera e propria insufficienza nella proposta politica del soggetto che pure rappresenta, in Italia, l’espressione di maggioranza relativa dei voti validi.

Cosa significa, infatti, “non presentazione” per una forza che ha fatto dell’occupazione delle istituzioni e dei ruoli di sottogoverno il proprio punto specifico d’identità nel nome del “rinnovamento” (ponendosi in collo anche tutte le inevitabili contraddizioni che questo modo di intendere l’azione politica comporta)?

Significa prima di tutto che è completamente mancata una volontà e capacità di riflessione su di un punto fondamentale: quello della rappresentanza politica.

Non si è contemplata, infatti, la possibilità di costituire per determinati soggetti sociali un punto di riferimento posto proprio sul piano della rappresentanza.

E non si è compreso e si ha difficoltà di comprendere che soltanto dalla rappresentanza può discendere la funzione di governo come punto di attuazione di un progetto che riguardi interessi materiali, concreti presenti nella società: interessi tradotti in progettualità e programmazione attraverso una visione del mondo e del futuro, con tutte le implicazioni che muoversi in questo mondo deve comportare anche sul terreno organizzativo.

Invece è stata seguita la via della disintermediazione e di una sorta di spontaneismo finalizzato a incrementare una visione esasperata dell’autonomia del politico, spinta ben oltre il tipo di personalizzazione che già aveva attraversato, dalla caduta dei grandi partiti di massa, la lunga transizione italiana avviatasi fin dagli anni ’90.

Sotto quest’aspetto, certamente non tanto e non solo da parte del M5S, sono stati causati danni gravissimi alla credibilità complessiva del sistema causandone una fragilità congenita con l’esposizione a rischi di involuzione su di un terreno non propriamente identificabile come di allargamento del quadro democratico.

Rimane da rimarcare l’assenza, sempre facendo riferimento al sistema politico italiano, di elementi di controtendenza posti anche sul piano organizzativo.

 Elementi di controtendenza dei quali ci arrivano segnali, addirittura, dal mondo politico anglosassone, ma dai quali sembrano essere rimasti immuni i sistemi dei Paesi latini che a sinistra sembrano dar vita soltanto a “rassemblement” personalistici fondati su una (pur giustificata) presunta spontaneità della protesta nel segno del cedimento all’individualismo (in questo caso “della paura”).

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