La gabbia dorata dei carcerieri del Nicaragua

Lo scorso 30 dicembre 2024, dopo oltre due anni di indagini, il magistrato federale argentino Ariel Óscar Lijo ha emesso un ordine internazionale di cattura per Daniel, Rosario e una dozzina di componenti del Governo.

di Bái Qiú’ēn

Meglio regnare all’Inferno, che servire in Paradiso. (John Milton, Il Paradiso perduto, 1667)

Lo scorso 30 dicembre 2024 non è stato un giorno qualunque per la coppia regnante sul Nicaragua: dopo oltre due anni di indagini, un magistrato federale argentino ha emesso un ordine internazionale di cattura per Daniel, Rosario e una dozzina di componenti del Governo o responsabili delle istituzioni (tra loro: il capo della Polizia e consuocero Francisco Díaz, il capo dell’Esercito Julio César Aviles, il presidente dell’Asamblea nacional Gustavo Porras).

Ariel Óscar Lijo non è nuovo all’incriminazione di personalità illustri, ma finora si era limitato a quelle del proprio Paese, come gli ex presidenti Carlos Menem, Cristina Fernández de Kirchner, Mauricio Macrí e il vicepresidente Amado Boudou. Sono incontabili le cause da lui istruite nei confronti di alti funzionari dei vari governi che si sono succeduti in Argentina negli ultimi decenni.

Nel corso della sua carriera ha svolto indagini pure nei confronti di alcuni militari della Giunta che governarono l’Argentina dopo il colpo di Stato del 1976: nel dicembre 2007 aveva condannato a 25 anni di carcere Cristino Nicolaides, l’ultimo comandante dell’Esercito golpista (per altri militari appartenenti all’ex Batallón 601 le condanne furono tra i 20 e i 23 anni).

Nella carica che attualmente ricopre fu nominato il 7 ottobre 2004 dall’allora presidente Néstor Kirchner. Nel marzo 2024 è stato proposto come membro della Corte suprema dall’attuale presidente Javier Milei, per ricoprire uno scranno da tempo vacante dopo le dimissioni di Elena Highton de Nolasco alla fine del 2021.

Non si tratta di un personaggio al di sopra di ogni sospetto: nel corso degli anni è incappato in varie denunce e persino in procedimenti giudiziari a suo carico (per ben 32 volte è stato denunciato al Consiglio della magistratura, procedimenti quasi tutti archiviati). Oltre che per corruzione (con 89 cause contro di lui) e altri reati, nel 2015 fu persino accusato dalla Unidad de Información Financiera (un organismo autonomo che indaga sui reati finanziari) di arricchimento illecito e per un conto svizzero con quasi 2 milioni di dollari, cifra esorbitante rispetto al suo stipendio.

L’indagine relativa ai presunti crimini di “lesa umanità” compiuti dal 2018 a oggi dai regnanti nicaraguensi era iniziata il 6 ottobre 2022, in seguito a una denuncia presentata il precedente 22 agosto da un paio di avvocati e docenti universitari di Diritto (Darío Richarte e Diego Pirota). L’elenco delle gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani è assai nutrito: assassinio, privazione grave della libertà, sparizione forzata di persone, tortura, deportazione o trasferimento forzato di popolazione e persecuzione di un gruppo o di una comunità.

Si può discutere sulla effettiva responsabilità personale di Daniel e Rosario per ciascuna di queste imputazioni ma è indiscutibile quella di “deportazione”: il 9 febbraio 2022, oltre duecento persone furono scarcerate e caricate su un volo per Washington, privandole della nazionalità e cancellandole dai registri anagrafici. In termini “tecnici” si chiama deportazione. Lo stesso è avvenuto il 5 settembre 2024 per altre 315 caricate su un volo per il Guatemala. Nel primo caso fu lo stesso Daniel a dichiarare pubblicamente (in un discorso in diretta televisiva a reti unificate): «allora Rosario mi propone: perché non diciamo all’Ambasciatore [statunitense] di portare via tutti questi terroristi?».

Nella giurisdizione internazionale è contemplato il principio che qualsiasi magistrato possa indagare e giudicare i crimini di lesa umanità a prescindere dal Paese in cui siano stati commessi (basta ricordare il magistrato spagnolo Garzón e l’arresto di Pinochet nel 1998). La giustizia argentina già in precedenza aveva applicato questo principio in relazione ai crimini compiuti dal franchismo in Spagna e sulla repressione contro il popolo Rohingya in Myanmar. Nell’art. 118 della Costituzione argentina è infatti previsto «il dovere dei tribunali nazionali di indagare per conto della comunità internazionale».

Nel cosiddetto Statuto di Roma che definisce il funzionamento del Tribunale penale internazionale è sancito nel preambolo che «è dovere di ciascun Stato esercitare la propria giurisdizione penale nei confronti dei responsabili di crimini internazionali». Il Nicaragua neoliberista non ha sottoscritto il trattato costitutivo del 17 luglio 1998 e il 13 novembre 2024 il Buon Governo del comandante Daniel ha scartato per l’ennesima volta qualunque possibilità di aderirvi, affermando che «manca di imparzialità». Cosa intenda Daniel per “imparzialità”, dopo i mandati di arresto sia per Putin sia per Netaniahu che probabilmente non saranno mai eseguiti, lo sa soltanto lui. Neolingua?

Il suddetto magistrato argentino ha pertanto allertato l’Interpol affinché richieda l’arresto degli accusati per essere sottoposti a procedimento giudiziario, inserendoli nel sistema internazionale di allerta (red notice). In precedenza, fin dall’ottobre 2022 aveva più volte richiesto alla magistratura nicaraguense di comunicargli l’eventuale esistenza di procedimenti o di indagini in corso su eventuali esecuzioni extragiudiziali, detenzioni illegali, sparizioni forzate di persone o torture. Nessuna risposta, ovviamente, da parte di una magistratura asservita ai regnanti. Come recita però il detto popolare «El que se calla, otorga» (chi tace, acconsente): anche il silenzio può essere una risposta.

Nelle 76 pagine redatte da Lijo si afferma che, a partire dall’aprile 2018, in Nicaragua si è messo in moto un «plan generalizado y sistemático, estructurado en distintas etapas»: «sono state effettuate detenzioni arbitrarie, omicidi, atti di tortura, sparizioni forzate di persone, trasferimenti forzati di popolazione, deportazioni, censura dei media, privazione di cure mediche, soppressione di albi professionali, persecuzioni per motivi politici e religiosi, cancellazione dello status giuridico e della nazionalità». Si tratta di violazioni dei diritti umani «en las cuales habrían tenido participación altas autoridades de la República de Nicaragua». In buona sostanza, Daniel e Rosario, con i loro stretti collaboratori, hanno tentato di spegnere l’incendio dell’aprile 2018 continuando per oltre sette anni a versarvi sopra una enorme quantità di benzina, provando poi di farsi passare per vittime di un complotto.

Il magistrato argentino aggiunge che «il piano strategico di repressione messo in atto in Nicaragua ha coinvolto tutti i livelli del potere politico e giudiziario dello Stato».

Tenendo in considerazione la richiesta di Milei di nominare Lijo alla Corte suprema è ipotizzabile che dietro questa richiesta di arresto internazionale vi sia una sorta di rivalsa del presidente argentino dopo la rottura dei rapporti diplomatici tra i due Paesi, decisa da Daniel nel dicembre 2023. Sia come sia, restano comunque i numerosi documenti dell’ONU che segnalano i reiterati abusi compiuti da varie istituzioni nicaraguesi dal 2018 a oggi, esattamente come sostiene il documento giuridico sottoscritto da Lijo. Che il ruolo e la funzione dell’ONU siano oggi assai screditati è sotto gli occhi di tutti, ma ciò non significa che quei documenti non abbiano alcun valore, quanto meno a livello morale.

Inutile dire che a tutt’oggi il portale “informativo” ufficiale El 19 Digital non ha minimamente accennato a questa tegola caduta sul capo dei regnanti nicaraguensi e dei loro accoliti. Nascondere una faccenda così seria è indispensabile, ma i social e il passaparola sono in grado di renderla nota nel giro di pochi giorni. In un Paese nel quale esiste ancora la famiglia allargata* nella quale si allacciano molteplici rapporti sociali, non esiste alcuna possibilità di frenare il passaparola: circola velocemente e penetra persino nelle fessure delle fedeltà più incondizionate, facendole perlomeno vacillare. Di certo i regnanti ne parleranno ufficialmente quando il mormorio sarà diventato un uragano (denso di voci flebili e sottili?) e, facile previsione, accuseranno il magistrato argentino di ingerenza.

Nei primi due anni di presidenza (2007-2008) Daniel aveva effettuato una quarantina di viaggi all’estero, ma sarà assai difficile che in futuro sia lui sia Rosario e gli altri escano dal Paese, per non rischiare l’arresto su mandato internazionale. Del resto, comunque, dal 2018 non mettono piede fuori dai confini nazionali (salvo rarissime eccezioni per recarsi in Paesi ritenuti sicuri), restando in tal modo prigionieri di loro stessi in quella galera a cielo aperto che è oggi il Regno del Nicaragua per tutti i nicaraguensi, nessuno escluso. Una prigione con sbarre invisibili a occhio nudo, ma effettive come quelle di qualsiasi carcere.

Questa realtà fattuale e attuale di continua repressione in varie direzioni testimonia perfettamente che nel 2018 non esisteva un centro direttivo che avesse organizzato un golpe blando, quanto piuttosto un movimento eterogeneo, composto da numerose organizzazioni e innumerevoli singoli individui. Smantellare un centro direttivo è a volte assai difficile, ma non impossibile. Quando il centro direttivo è solo nella fantasia dei regnanti, è necessario “colpire” in ogni direzione. Uno dopo l’altro si sono infatti attaccati gli studenti e le università, gli impresari, il movimento contadino, le donne, la gerarchia cattolica, i partiti dell’opposizione, le ONG, ecc. fino al 17 aprile 2018 i servizi di sicurezza interna non avevano “annusato” la situazione sempre più esplosiva e tutti coloro che scesero nelle piazze e nelle vie per protestare non erano di certo i “quattro gatti” dichiarati dalla propaganda, bensì centinaia di migliaia di persone ormai stanche di promesse mai mantenute e di una troppo facile demagogia pseudo-rivoluzionaria che nulla aveva a che vedere con la storia sempre ribelle del Nicaragua. Nel corso di quasi otto anni, continuando a colpire a destra e a manca senza alcuna distinzione né criterio (se non quello di tentare di mantenere il potere a tutti i costi e il più a lungo possibile), oltre a modificare le leggi per adattarle al proprio volere, e persino la stessa Costituzione, poco a poco la coppia regnante è riuscita a neutralizzare il diffuso movimento di protesta, sperando di essere al sicuro saecula saeculorum. Ciò nonostante, vedendo un nemico in ogni ombra, si prosegue nella caccia al supposto golpista. Ultimo esempio in ordine di tempo: dopo aver chiuso quasi seimila ONG, all’inizio di gennaio 2025 ha deciso di impedire pure l’attività altre quattordici, tra le quali Save the Children, nota agenzia della CIA specializzata in colpi di Stato.

In un simile panorama, Daniel e Rosario preferiscono vivere come carcerati nella prigione da loro stessi creata, piuttosto che in un esilio dorato, poiché in nessun altro luogo potrebbero comportarsi come i classici padroni del vapore o delle ferriere. Continuano però a temere che salti il tappo che oggi tiene tutto all’interno della bottiglia, che una futura protesta possa essere assai più “anarchica” e violenta rispetto al 2018.

Dovrebbero però sapere che a partire dall’indio Diriangén nel periodo della conquista spagnola, il Nicaragua è un Paese siempre rebelde, con un fondo anarchico atavico, inconsapevole ma non sopprimibile né opprimibile: «No hay duda, pues, que el pueblo de Nicaragua cuenta con una rica tradición de rebeldía» (Carlos Fonseca Amador, Nicaragua hora cero, 1969). Dopo l’indio Diriangén si possono ricordare Andrés Castro, Benjamín Zeledón, Rigoberto López Pérez, Augusto C. Sandino (ma l’elenco è assai più nutrito) fino al trionfo rivoluzionario del luglio 1979. Una lunga tradizione di ribellione, plurisecolare: «que restaña con alegría todos los días mi rebelde corazón» (Ay, Nicaragua, Nicaragüita).

Per quanto “ribellione” (o “sommossa”) non sia equivalente a “rivoluzione”, pare evidente che nella Neolingua attualmente imperante in Nicaragua, il termine rebeldía sia diventato golpe blando.

***

Come se non bastasse questa richiesta internazionale di arresto, l’“isolazionista” Donald Trump ha di recente espresso la volontà di annettere agli Stati Uniti sia il Canada (il cui capo di Stato è il regnante britannico) sia la Groenlandia (territorio danese, per quanto non appartenente alla UE), oltre a voler riprendere possesso del Canale di Panamá «con le buone o con le cattive», essendo attualmente in mani cinesi. Alla faccia della propaganda elettorale nella quale sosteneva che la propria politica presidenziale sarebbe stata incentrata sulle priorità interne, in primo luogo l’immigrazione clandestina e le minacce alla sicurezza nazionale.

È forse opportuno ricordare che pochi anni prima lo stesso Daniel aveva rivolto una accusa diretta a Biden, il quale «ha oltre 700 prigionieri politici» in galera. Si riferiva agli arresti effettuati in relazione all’assalto dei trumpiani a Capitol Hill il 6 gennaio 2021. «Ci sono 700 prigionieri politici, cosa aspettano a liberarli?» (10 gennaio 2022). Era un chiaro sostegno a Trump, assai prima dell’inizio della campagna elettorale, come se fosse un personaggio del quale potersi fidare.

Se in seguito Daniel e Rosario pensavano che aiutandolo indirettamente nella campagna elettorale con il massiccio ingresso di nicaraguensi (e non solo), temo che abbiano fatto i classici vonti senza l’oste. Se gli restasse ancora un barlume di raziocinio forse oggi si renderebbero conto della chochada politica che hanno commesso. Il neo-Segretario di Stato Marco Rubio starà già affilando i suoi coltelli per espellere il Nicaragua dal DR-CAFTA, accordo economico indispensabile per non sprofondare in un baratro da quale sarà assai arduo uscire? Qualcuno dovrebbe ricordare alla memoria corta di Daniel il costante interventismo di Rubio nei confronti del Nicaragua: nel dicembre 2018 fu il principale promotore della legge Renacer (Nica Act) che sanzionò numerosi esponenti governativi, oltre alla famiglia reale. Per la storia: all’epoca il presidente era proprio Trump che, alla fine del novembre 2018 aveva dichiarato il Nicaragua orteguista «una minaccia alla sicurezza degli Stati uniti».

La storia sarà pure una ottima maestra come affermava Cicerone, ma ha di certo pessimi allievi. Lo stesso si può dire per la cronaca: mai è una scelta saggia aiutare il demonio per sperare di avere salva la poltrona. Il futuro delle relazioni tra gli Stati uniti trumpiani e il Nicaragua orteguista pare incamminato verso un deciso peggioramento, con nuove sanzioni economiche e diplomatiche nei confronti di Daniel, Rosario e famiglia, oltre a tentare di isolarlo sempre più (anche se lo stesso Daniel ci pensa da solo a isolarsi dalla realtà internazionale). Se così sarà, come è assai probabile, la mossa dell’aiuto elettorale a Trump con il massiccio esodo di nicaraguensi si rivelerà essere stato il classico marito che per fare dispetto alla moglie…

A pesar de los pesares mi piacerebbe sbagliarmi, ma il futuro non si presenta roseo per la casta orteguista nella sua gabbia dorata, non essendo garantito che una crisi economica ancora più pesante di quella esistente (per quanto negata dalla propaganda, ma visibile senza sforzi per chiunque si rechi nel Paese senza paraocchi) non sia la scintilla per una rebeldía più generalizzata e organizzata di quella del 2018. A parte l’inconsistenza dell’opposizione (sempre divisa e litigiosa), sarà ancora sufficiente la demagogia pseudo-rivoluzionaria per mantenere il potere e ridurre lo scontento tra i militanti sandinisti di base? Sarà sufficiente approvare e rendere vigente il testo della nuova Costituzione che concentra tutto il potere nelle mani della coppia Orega-Murillo, in discussione per tutto il mese di gennaio da parte dei deputati dell’Asamblea Nacional? Sarà necessario aumentare ancora gli effettivi della polizia, che nel 2007 erano 9.290 e attualmente superano i 17.000 (in base ai bollettini statistici ufficiali).

* Per chiarire il significato di “famiglia allargata” in Nicaragua mi pare sufficiente l’esempio di una ragazza del barrio dove solitamente vivo, che conosco fin dalla sua nascita nell’ormai lontano 1987: avendo avuto come madrina al battesimo una pronipote di Rubén Darío, risulta a tutti gli effetti imparentata con il poeta. Poiché la stessa Rosario Murillo si dichiara “discendente” dal poeta (e pare che lo sia davvero), questa ragazza è parente pure della moglie di Daniel e di tutta la famiglia Ortega. È evidente che, con questo e altri meccanismi parentali, tutti i nicaraguensi siano una sola e unica famiglia.

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