La gita scolastica – di Mark Adin

Mentre mi trovo a Roma capitale, nell’incrociare tre carabinieri in alta uniforme che procedono ciascuno con il proprio cellulare (nel senso del telefono) levato in sorridente conversazione, mentre altri cellulari (nel senso di veicoli), a due a due e a quattro a quattro, pariglie e quadriglie, presidiano Parlamento ed altri Palazzi in attesa di assalti che non verranno nemmeno oggi, leggo il giornale. Con tempi vacanzieri sfoglio attentamente, evitando le lagne antigovernative, stracche e prive di intenzione, facendo slalom tra sport ed economia, entrambe dopate, e lo sguardo mi sfugge, rovinando su un titolo di cronaca de La Stampa del 9 settembre 2011: “Il preside e i viaggi hard con i fondi della scuola”.

Conosco da tempo le difficoltà della Scuola in Italia, ma che si utilizzassero i magrissimi fondi in dotazione per andare a puttane, mi era ancora ignoto. Il signor preside (“…vecchio professore cosa vai cercando… quella che sola ti può dare una lezione…” – La città vecchia, Faber) in combutta con l’ex direttore amministrativo dello stesso Istituto pare abbia sottratto la bellezza di 300.000 euri per sfogare desideri carnali e fornicativi. Dicasi, e ripetesi in lettere: trecentomila euri. La somma, ripartita su ciascuna testa, fornisce l’equivalente per pagare, a un prezzo medio di mercato, almeno  millecinquecento sveltine o, in caso di opzioni per professioniste di alto bordo – dal costo di circa trecento euri, più cena e albergo, suppergiù trecentocinquanta coiti, di lusso, a capocchia. Non mettetemi in imbarazzo: per ciò che riguarda il preziario non rivelo le fonti, si tenga conto che ho conosciuto diversi portieri di notte di medi alberghi, che sempre la sanno lunga.

La scoperta del “trigo” è stata fatta dagli organi (depenno),  membri (cancello), agenti (adesso si può procedere senza equivoci) di polizia in maniera, oserei dire, comica. Uno dei due sodali del sesso, a seguito di incidente stradale, si è fatto beccare, lui così precisino, una lettera nella quale elencava, forse su un foglio di vecchio quaderno di computisteria, il dettaglio delle spese, cifre date e prestazioni, che manco il cassiere di Al Capone.

Il Preside avrebbe inoltre costretto il sottoposto a vergare di suo pugno la lista della spesa, a scopo ricattatorio. Il sottopancia avrebbe pure, sotto bieco ricatto, minacciato alcuni insegnanti munito di  nunchaku , arma a me sconosciuta ma pare si tratti di quei due bastoni tenuti insieme da una catenella che si vedono in “Kung Fu Panda”. La scenetta è, a dir poco, esilarante.

Questa involontaria caricatura di machismo spelacchiato e ruspante è perfetta. Certo nella Scuola odierna, smagrita fino all’inedia da uno Stato che ricomincia a pensare che l’istruzione sia per pochi – e per gli altri molto meglio l’ignoranza – alla quale i cittadini-genitori sono costretti a fare donazioni persino di carta igienica, sull’ episodio non ci si può, semplicemente, fare due risate. La Giustizia, con la nota solerzia, non potendo prescindere dal fatto che sarà difficile che si addivenga prontamente alla rimozione con un metaforico calcio nei coglioni (anche a scopo terapeutico), ma più facilmente si arriverà, magari tra strepiti di categoria, al semplice trasferimento in altro Istituto, giudicherà nelle Sedi competenti.

Lasciamo perdere le considerazione morali, da lasciarsi al noto Specialista Giovanardi, che inspiegabilmente tace. Ma noi, con l’occasione, facciamoci qualche domanda, che fa sempre bene.

Non è che un certo comportamento  sia oggi divenuto un modello infiltrato assai profondamente? E non mi riferisco soltanto all’episodio sgangherato di cui sopra, bensì al disprezzo che molti hanno del bene pubblico,  alla sua conversione, ogni qualvolta possibile e in ogni ambito, in bene privato, per equivalenza. Il tema, infatti, non vuole essere la temerarietà, la sciaguratezza, il prurito, la liceità, le abitudini di letto (di cui me ne sbatto), bensì la mutazione di un gene ad opera di un virus che si sta rapidamente propagando e che sta infettando un corpus sociale in misura molto, molto più cospicua di un tempo.

Per combatterlo bisogna individuarlo e isolarlo, il virus, chiamarlo per nome. Ha qualcosa a che fare con un disordine comportamentale per imitazione, con il collaudo personale di un sistema già utilizzato da chi dovrebbe fornire esempi diametralmente opposti, con l’adesione a una revisione di valore fatta a un livello più alto, istituzionale, e quindi implicitamente autorizzativo. Non mi riferisco al sollazzo boccaccesco di Qualcuno, mi riferisco alla mancanza di freni inibitori di genere molto diverso, che nulla hanno a che fare con il sesso nelle sue multiformità, ma riportano a una primitiva concezione  per la quale tutto ciò con cui vengo a contatto può essere usato per me e per i miei interessi, a mio piacimento; faccio riferimento all’essere individuo in spregio della collettività, al delirio di potenza che non è disturbo psichico, ma sociale.

Questi anni di follia del Principe, della sua corte di replicanti ruffiani e, soprattutto, di armi di informazione di massa cadute sotto il suo potere economico – che gli hanno fatto da formidabile risonante – hanno nuociuto al Paese molto più di quello che avremmo potuto aspettarci. Misureremo l’enormità del danno negli anni, e si faticherà molto a ritornare ad essere, se mai ci si riuscirà, un Paese civile.

Mark Adin

Redazione
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2 commenti

  • Forma e contenuto indiscutibilmente di prima classe. Complimenti

  • L’Italia non ha mai avuto coscienza di cosa sia il bene pubblico, nessun senso dello Stato. Adesso, con questi anni di potere del Cavaliere, ogni barlume di coscienza civica è stato raso al suolo e questo sarò per 20 anni uno dei risultati più gravi del berlusconismo. Non so se recupereremo qualcosa di ciò che Mark Adin descrive… bel pezzo davvero!

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