La giusta misura di Giorgio

Una storia breve di Sergio Mambrini (*)

Ci fu un momento della vita di Giorgio, dove imparò a lottare.

Intendiamoci, non a fare a cazzotti con qualcuno. Nemmeno a rivendicare con forza i suoi diritti.

Queste cose le conoscono tutti. Se ne fa esperienza tante volte da giovani.

La lotta fisica è un gioco familiare per i bambini.

La lotta sindacale, più avanti con gli anni, è necessaria per vigilare i nostri confini e proteggerci dalle invasioni di campo.

No, Giorgio imparò un altro tipo di lotta.

Quella più difficile, perché è un duello contro un essere che pare invincibile e sa difendersi con ogni mezzo, anche il più meschino. Con lui non basta la forza fisica, anzi, non serve proprio.

Parlo della lotta con se stesso. Il conflitto supremo.

Da quella battaglia uscì vincitore, ma qualche cicatrice gli sanguina ancora, certe volte.

Adesso non se ne cura più.

«Bisogna avere il coraggio di sopportare la vittoria»mi disse.

Allora non gli fu semplice disgiungere il suo «» dal proprio giudizio.

Lo aiutò un dolore malsano.

Dico dolore perché voglio indicare un male insopportabile, non una delusione d’amore.

Lo spinse su un’altra strada proprio la pena fisica, che gli scardinò la mente.

Si schiantarono i luoghi comuni, le abitudini sbagliate, i vizi della gola e dello spirito, la gabbia dorata della sua educazione, fatti a pezzi nella sua zucca.

Fu così che imparò a masticare bene per liberare lo stomaco dalle necessità complementari.

Scoprì l’importanza di ciò che non mangiava, più di quello che inghiottiva.

Visse sia al limite, sia il limite.

«L’esperienza diventa importante per conoscere i confini tracciati dall’esistenza» e aggiunse con una punta di buonsenso: «Così ho compreso la realtà circoscritta che sostiene ogni vivente, oltre la quale non mi son più spinto. E ho vinto. Per sapere quanto sale serviva al mio corpo ho smesso d’usarlo per un anno intero. Poi ne ho aggiunta una giusta misura al mio pasto. Non ho più sbagliato.

Per sapere quanto zucchero mi era consentito, l’ho eliminato dall’orizzonte per tre anni. Compresa la frutta, il miele e perfino il malto. Intanto ho assaporato il dolce della zucca e della carota, il senso zuccherino di quando l’amido del riso si trasforma nella bocca, ho apprezzato anche l’acido e l’amaro. Il piccante non mi ha conquistato, se non di striscio.

Insomma, ho allenato il palato a distinguere e ad apprezzare le differenze, fin quando ho deciso che ero pronto. Allora ho addentato una mela».

(*) Sergio Mambrini è autore di «Fango nero» (vedi qui Cancro enfisema fumo intossicazione silicosi). Nel 2014 uscirà un suo libro di «proposte, consigli e ricette per una cucina più naturale». Questo è il suo primo racconto – spero ce ne saranno altri – in blog e rimanda ai personaggi di «Fango nero» (db)

 

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