La grande scimmia: gli amati mostri di Abruzzese

Il prossimo numero del fumetto «Julia» sbatte King Kong, o un suo qualche cugino, in copertina. Il gorillone continua a spuntar fuori ovunque, perciò cade a fagiolo un affascinante saggio di Alberto Abruzzese, «La grande scimmia», con doppio sottotitolo: «Mostri, vampiri, automi, mutanti. L’immaginario collettivo dalla letteratura al cinema e all’informazione». La prima edizione è del 1979, quella nuova lascia il testo immutato ma aggiunge altre illustrazioni e una nuova prefazione. L’editore Luca Sossella offre un volume curatissimo che vale i 20 euri per 208 pagine. Per inciso ne esiste un’edizione limitata con in copertina una maschera tridimensionale di Enzo Cucchi: il libro può essere inchiodato al muro come oggetto d’arte senza vedere quello che c’è scritto dentro. Si suppone che Abruzzese se la rida di questa trovata, non è chiaro se pensando alla «merda d’artista» inscatolata da Manzoni o alla «lettera smarrita» del suo amato Poe.

Il libro mantiene quel che promette: Kong giganteggia sui grattacieli dell’Impero, pericoloso come Bin Laden ma ben più erotico, e nel nostro immaginario. Ma per arrivare a lui Abruzzese ci guida in un cammino affascinante. Prima tappa: Piranesi, il mesmerismo, gli illustratori Grandville e Dorè – con l’incredibile quadro dove le scimmie dello zoo «contemplano lo spettacolo degli spettatori» – e il loro erede cinematografico Georges Méliès, ma anche «le classi pericolose», Hoffmann, Balzac, il Dorian Gray di Wilde. Seconda tappa, «Gli attrezzi del fantasticare»: Poe, Chandler, Robbins, il diavolo e «la produttività dei generi». Ed ecco il terzo passaggio, «La scimmia» – fra Haggard e «I misteri di Parigi» di Sue – e il quarto [«La gabbia e il cadavere»] per arrivare alla meta, «la macchina collettiva» ovvero il trio Tarzan, Frankenstein e King Kong. Poi l’ultima camminata [il sesto e conclusivo capitolo] nella terra di un «immaginario» ormai tecnologico. Verso il presente dunque tra informazione e consumo con l’invito finale, sempre valido dopo un trentennio, a «utilizzare produttivamente l’opposizione tra diversi modelli e diverse culture». Un frappè di Foucault e fumetti, di macchine celibi e dell’uomo di boschi [che non è soltanto lo scimmione ma ogni essere inadatto alla città], di Benjamin e videogames,.

La scimmia può essere «la metamorfosi dell’uomo, necessaria a rappresentare il desiderio di un rapporto antisociale, primitivo e sanguinario» e/o un animale «straordinariamente adatto alla civilizzazione», ancora «il soggetto autentico delle contraddizioni sociali, zona di confine dell’uomo». Capita spesso che i dotti commentatori dello «spettacolo» [e/o delle culture e «sottoculture popolari»] siano noiosi e saccenti; con Abruzzese, sempre intelligentemente provocatorio, non correte questo rischio. Certo chi predilige la fantascienza avrebbe voluto di più sui tanti Kong dei nostri futuri o sul nostro inquietante cugino gorillone negli sguardi alieni. «Mia madre è una scimmia, mio padre è Dio»: non vi corre un brivido nella schiena quando leggete questa frase di Farmer?

[suwww. carta.org 13 Giugno 2008 nella sezione Futuri dedicata alla memoria di Riccardo Mancini]

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