La Grecia è fallita. Ora a chi tocca?

di Lanfranco Caminiti

Nonostante lo strombazzamento dei media sul salvataggio della Grecia e sul sospiro di sollievo dell’Europa che si complimenta per il successo, la realtà è che

la Grecia è “tecnicamente” fallita. La decisione dell’Isda, International swaps and derivatives association, l’organismo di riferimento per i credit default swaps, ovvero dei prodotti finanziari di assicurazione contro il fallimento, di classificare l’intesa raggiunta a Atene come un “credit event”, e quindi di rimborsare i detentori di cds, significa esattamente questo. Non fosse così, non fosse cioè un fallimento, non li rimborserebbero. Non bastasse, l’agenzia di rating Fitch ha subito declassato, ancora, la Grecia a una C, che significa “insolvenza parziale”. Chiamala parziale.

Il «New York Times» ha definito il “salvataggio greco” «il più grande abbattimento contabile di un debito nella storia» – e non è proprio una medaglia da appuntarsi. Il concambio forzato che abbatte il valore nominale dei bond greci anche oltre il 75 per cento è una condizione peggiore di quella decisa dall’Argentina sui propri bond – e che alcuni dei nostri risparmiatori ben conoscono, essendosi trascinate per anni le cause relative.

Soprattutto, la decisione – voluta a oltranza dalla Merkel, per far digerire ai propri cittadini il salvataggio greco a che non sembrasse ricadere tutto sulle loro spalle – di coinvolgere i privati nell’haircut del valore dei bond, significa sostanzialmente che nessuno da questo momento investirà un euro sulla Grecia, dato che significherebbe domani ritrovarselo al valore di un centesimo.

La Grecia perciò sopravvivrà grazie alla liquidità “inventata” dalla Bce. Tutti noi europei, chi più chi meno, senza saperlo e senza essere chiamati a pronunciarci, “pagheremo” il debito greco, in una maniera che non garantisce assolutamente nulla, dal punto di vista della sostenibilità economica e della progettualità politica. Da oggi, esiste una nazione europea praticamente a “Pil garantito”, dato che è inimmaginabile che l’economia greca – intanto ha perso ancora il 7,5 percento di produttività e la disoccupazione giovanile è arrivata al 51 percento – possa non dico risollevarsi ma neppure camminare. Le clausole-capestro per il salvataggio implicano che da oggi ogni euro greco debba servire prima a pagare i creditori e poi si vede se avanza qualcosa per i greci. È una partita di giro: la Bce presta i soldi alle banche perché comprino i titoli di Stato, la nazione incassa i soldi delle aste e restituisce i soldi alla Bce. Facile, no? Già, ma i greci?

Intanto, la signora Lagarde, a capo del Fondo monetario internazionale, assicura che invierà 28 miliardi supplementari di euro alla Grecia – non bastano già più i 130 stabiliti dalla Ue. Dice anche, la signora Lagarde, che «non scommetterebbe contro l’Italia». Nessuno gliel’ha chiesto. Perché dice questo? Anche se in questo momento (anzi, fino a questo momento) i mercati non si sono accaniti a puntare al ribasso e a scommettere sul fallimento, basta solo che disinvestano – ed è proprio quello che sta continuando a accadere, con le vendite dei titoli che continuano a crescere, forse con l’idea di recuperare qualcosa di più di quella perdita nominale tipo greco – e restiamo in mutande. Basterà il gioco finanziario della Bce a salvarci?

L’economia europea, l’Europa politica resta fragilissima. E il pastrocchio fatto sulla Grecia è un’operazione contabile “creativa” ma assolutamente disastrosa.

Altro che complimentarsi. Siamo nei guai fino al collo. Noi europei. I tecnocrati di Bruxelles – dislocati anche a Atene e Roma – si danno intanto il cinque uno con l’altro.

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