LA GUERRA FREDDA È FINITA, SCIOGLIAMO LA NATO

articoli e video Nicola Rangeloni, Sergio Romano, John Pilger, Giacomo Gabellini, Clara Statello, Stefano Orsi, Enrico Vigna, Carlo Rovelli, Giuliano Marrucci, Alessandro Orsini, Tommaso Di Francesco, Marco Travaglio, Gad Lerner, Francesco Masala, Manlio Dinucci, Fabrizio Poggi, Matteo Bortolon, Ministero degli Affari Esteri cinese

scrive Nicola Rangeloni:

Oggi, mentre Mattarella stringeva la mano a Zelensky promettendogli massimo sostegno da parte dell’Italia, ripetendo il vergognoso e ipocrita ritornello sulla “pace giusta” (ossia alle sole condizioni di una delle parti) i militari ucraini hanno nuovamente colpito la periferia di Donetsk. Una delle case centrate dai razzi è stata distrutta dalle fiamme mentre all’interno si trovavano una donna ed il figlio di tre anni. Per loro non c’è stato nulla da fare.

Qui purtroppo fa parte della quotidianità. Ieri ho raggiunto il quartiere alle spalle della stazione ferroviaria di Donetsk. Accanto ad una fermata dell’autobus c’erano molte persone, tra cui molti giovani, che commentavano un cratere a pochi passi di distanza, risultato dell’esplosione di un colpo di artiglieria caduto una ventina di minuti prima, distruggendo il cancello della casa accanto, al cui interno si trovavano una donna e il nipote 12enne, fortunatamente illesi.

Sulla pensilina dell’autobus trafitta dalle schegge c’erano due disegni realizzati dai bambini del villaggio, incollati ancor prima di queste bombe. Accanto ad un impreciso simbolo della pace e ad un fiore si leggeva: “la pace vincerà” e “no alla guerra, noi abbiamo bisogno di pace”.

Chi vive da quelle parti sa benissimo cosa sia la guerra, in quei posti gli abitanti più piccoli non hanno mai conosciuto il significato della parola pace.

La pace è il sogno più grande di tutti, eppure è ancora lontana. Quante bombe dovranno ancora cadere, prima di poter camminare con spensieratezza lungo quelle strade? Purtroppo le risposte a queste domande vanno cercate lontano da Donetsk, dove questa “pace” assume significati incomprensibili per chi vive in prima persona gli effetti di questa follia. Cosa penserebbe questa gente del concetto di pace di Mattarella, ossia di quella pace pensata da qualcuno che non ha mai dimostrato interesse ad ascoltare le voci ed i desideri delle semplici persone che stanno dall’altra parte del fronte, ritenuta a prescindere “sbagliata”?

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LA GUERRA FREDDA È FINITA SCIOGLIAMO LA NATO – Sergio Romano

Sotto il titolo “La Guerra fredda è finita, quale futuro per NATO e Occidente?” il Corriere della Sera dell’8 maggio ha pubblicato questo articolo dell’ex ambasciatore a Mosca Sergio Romano

In un libro recente ho letto: «Di fronte alle genuflessioni e alle attenzioni servili riservate a Zelensky nei vari Paesi, mi chiedo come sia possibile che nessuno abbia ancora coraggiosamente provato a ricordare che in seguito all’implosione dell’Urss (e non alla vittoria degli Usa nella Guerra Fredda) la Nato prese a svolgere una costosa campagna acquisti di tanti Paesi portandoli tutti a giocare contro la Russia e arrivando al confini del suo territorio. Possibile  che nessuno abbia ancora detto che così facendo si stava favorendo lo scoppio della Terza guerra mondiale?». Sono le parole usate da uno storico, Giovanni Buccianti, in un saggio (Dalla Cortina di ferro alla Cortina delle provocazioni) e non piaceranno forse a parecchi lettori. Ma meritano di essere lette con attenzione.

Quando fu evidente, dopo il fallimento delle riforme di Gorbaciov e la nascita a Mosca di una Comunità degli Stati Indipendenti, che l’Unione Sovietica  non era più in condizione di continuare a combattere la Guerra fredda, molti pensarono che in quel momento sarebbe stato possibile creare utili rapporti (non solo economici, ma anche politici e culturali) fra le democrazie occidentali e Mosca. Qualcosa effettivamente accadde. Mentre il segretario del partito comunista e capo dello Stato era Michail Gorbaciov, il clima divenne promettente. Il 27 maggio 1997 fu siglato a Parigi e approvato del governo russo e dai Paesi aderenti alla Nato un atto fondatore che prevedeva l’allargamento della istituzione ad alcuni paesi dell’Est europeo (Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria). Nel testo era scritto che «Nato e Russia non si considerano nemiche», e «intendono sviluppare una collaborazione forte, stabile e duratura… lavorare insieme per contribuire a instaurare in Europa una sicurezza comune e globale>> sulla base di principi e scopi  comuni: democrazia, pluralismo, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, rinuncia all’uso della forza, trasparenza reciproca per quanto riguarda la politica di difesa e le dottrine militari, prevenzione del conflitti con mezzi pacifici, in conformità con i principi dell’Onu, appoggio a operazioni di peace-keeping condotte sotto l’autorità del Consiglio di sicurezza o sotto la responsabilità dell’Ocse».

Ma occorreva anche trovare una collocazione politica per i Paesi che appartenevano alla Mitteleuropa e soprattutto a quelli (Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria) che avevano sempre avuto, volenti o costretti dalle circostanze geografi- che, una maggiore familiarità con Mosca. Molte iniziative vennero prese, ma fu presto evidente che le relazioni a cui i Paesi giunti dall’Est attribuivano maggiore importanza erano sempre quelle con gli Stati Uniti dove erano sostenuti da importanti colonie di vecchi Immigrati per cui il potenziale nemico era sempre la Russia e gli Stati Uniti erano considerati garanti della loro esistenza. Fu subito evidente che tra i fondatori della Cee, già esistente dal marzo 1957, e questi nuovi arrivati vi erano alcune importanti differenze. Mentre alcuni avevano un concetto di unità europea maturato sin dagli anni della Seconda guerra mondiale, altri, spesso slavi, erano immigrati in Occidente durante il regime comunista del loro Paese. Per questi Paesi la Russia restava una potenza nemica e la Nato, grazie all’America, l’amicizia di una grande potenza. L’Alleanza atlantica ha avuto una parte utile e rispettabile. Ma la guerra fredda è finita, il comunismo è sepolto, gli Stati Uniti hanno avuto un presidente come Trump e sarebbe giunto il momento di fare a meno di un’istituzione, la Nato, che ha ormai perduto le ragioni della sua esistenza.

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La guerra è imminente. Fate sentire la vostra voce. Ora! – John Pilger

Nel 1935, si tenne a New York il Congresso degli scrittori americani, seguito da un altro due anni dopo. Questi congressi chiamarono a raccolta “centinaia di poeti, romanzieri, drammaturghi, critici, scrittori di racconti e giornalisti” per discutere del “rapido sgretolarsi del capitalismo” e dell’incombere di un’altra guerra. Furono eventi elettrici ai quali, secondo un resoconto, parteciparono 3.500 persone e più di mille furono respinte.

Arthur Miller, Myra Page, Lillian Hellman, Dashiell Hammett mettevano in guardia sulla crescita del fascismo, spesso mascherato, e che la responsabilità di parlare spettava a scrittori e giornalisti. Vennero letti i telegrammi di sostegno di Thomas Mann, John Steinbeck, Ernest Hemingway, C Day Lewis, Upton Sinclair e Albert Einstein.

La giornalista e romanziera Martha Gellhorn si schierò a favore dei senzatetto e dei disoccupati, e di “tutti noi sotto l’ombra di una grande potenza violenta”.

Martha, che divenne una cara amica, mi disse più tardi, davanti al suo consueto bicchiere di Famous Grouse e soda: “La responsabilità che sentivo come giornalista era immensa. Ero stata testimone delle ingiustizie e delle sofferenze della Depressione e sapevo, come tutti noi, cosa sarebbe successo se non si fosse rotto il silenzio”.

Le sue parole riecheggiano nei silenzi di oggi: sono silenzi riempiti da un consenso di propaganda che contamina quasi tutto ciò che leggiamo, vediamo e sentiamo. Vi faccio un esempio.

Il 7 marzo, i due più antichi quotidiani australiani, il Sydney Morning Herald e The Age, hanno pubblicato diverse pagine sulla “minaccia incombente” della Cina.

Hanno colorato di rosso l’Oceano Pacifico. Gli occhi cinesi erano marziali, in marcia e minacciosi. Il pericolo giallo incombeva come trascinato dalla forza di gravità.

Non era fornita alcuna ragione logica per un attacco all’Australia da parte della Cina. Il “gruppo di esperti” non presentava alcuna prova credibile: uno di loro è l’ex direttore dell’Australian Strategic Policy Institute, ente di facciata per il Dipartimento della Difesa di Canberra, il Pentagono di Washington, i governi di Gran Bretagna, Giappone e Taiwan e l’industria bellica occidentale.

“Pechino potrebbe colpire entro tre anni”, avvertivano. “Non siamo pronti”. Miliardi di dollari saranno spesi per i sottomarini nucleari americani, ma questo, a quanto pare, non basta. “La vacanza dell’Australia dalla storia è finita”, qualunque cosa significhi.

Non c’è nessuna minaccia per l’Australia, nessuna. Il lontano Paese “fortunato” non ha nemici, tanto meno la Cina, il suo principale partner commerciale. Eppure il China-bashing [il parlar male della Cina, ndt], che si rifà alla lunga storia di razzismo dell’Australia nei confronti dell’Asia, è diventato una sorta di sport per gli “esperti” che si autodefiniscono tali. Cosa ne pensano i sino-australiani? Molti sono confusi e spaventati.

Gli autori di questo grottesco articolo colmo di messaggi in codice [metodo del fischio al cane, ndt] e ossequio al potere americano sono Peter Hartcher e Matthew Knott, “reporter della sicurezza nazionale”, credo si chiamino. Hartcher lo ricordo per i suoi viaggi pagati dal governo israeliano. L’altro, Knott, è un portavoce di Canberra. Nessuno dei due ha mai visto una zona di guerra e i suoi estremi di degrado e sofferenza umana.

Come si è arrivati a questo? Direbbe Martha Gellhorn se fosse qui. Dove mai sono le voci che dicono no? Dov’è la solidarietà?

Le voci si sentono nel samizdat [auto-edizione] di questo sito e di altri. In letteratura, personaggi come John Steinbeck, Carson McCullers, George Orwell sono obsoleti. Il post-modernismo è al comando. Il liberalismo ha fatto carriera. La socialdemocrazia un tempo sonnolenta, l’Australia, ha promulgato una rete di nuove leggi che proteggono il potere segreto e autoritario e che ostacolano il diritto di sapere. Gli informatori sono fuorilegge e devono essere processati in segreto. Una legge particolarmente sinistra vieta le “interferenze straniere” da parte di chi lavora per aziende straniere. Che cosa significa tutto questo?..

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È il turno di Taiwan dopo Kosovo e Donbass? – Enrico Vigna

Dopo la Jugoslavia, il Kosovo, il Donbass tocca ora all’isola cinese essere usata come pedina sacrificale ai giochi geopolitici egemonici statunitensi?

Gli anni Novanta sono stati l’inizio del processo di distruzione dell’ordine mondiale che esisteva dal 1945 nella forma della Carta delle Nazioni Unite, da parte degli Stati Uniti. Nella distruzione della Jugoslavia gli USA, la NATO e l’UE hanno supportato, finanziato e armato le forze secessioniste slovene, croate, bosniache, in Kosovo hanno usato in modo ufficiale la forza militare contro uno Stato sovrano, senza l’approvazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, per portare al potere una organizzazione terrorista.

Nella conferenza internazionale di Bratislava nel 2000, gli USA dichiararono che qualsiasi altro stato poteva invocare questa condotta statunitense come un precedente. Ed è proprio questa dichiarazione che ha aperto una nuova fase geopolitica destabilizzante nel mondo. Non nella lettura giuridica di Bratislava, ma nella possibilità, di fatto, di poter imporre il modello balcanico e del Kosovo in particolare, targato USA/NATO, come possibilità concreta di rovesciamenti di governi sovrani o indipendenti.

Gli USA ritengono di essere l’unica potenza al mondo, che non solo è al di sopra della Carta delle Nazioni Unite, ma può anche farla valere su tutte le altre. Tutti gli altri stati devono essere subordinati ad essa, a parte quelli a cui viene dato il consenso degli Stati Uniti. Il separatismo è diventato l’arma determinante per rimodellare il mondo, come aveva chiarito la Conferenza di Bratislava con gli esempi dell’URSS, della DDR e della Jugoslavia con la loro disintegrazione pianificata.

Ovviamente questo vale anche per la Cina, in riferimento dei confini che esistevano nel Pacifico alla fine della Seconda guerra mondiale e che erano rispettati a livello internazionale. Il contesto della guerra civile, generata essenzialmente dagli USA, portò alla fuga del governo del Kuomintang, nell’isola di Taiwan. Fino a poco tempo fa, questo governo si considerava rappresentare l’intera Cina, ovvero la Cina all’interno dei suddetti confini. Il governo di Pechino, dal canto suo, riteneva di rappresentare l’intera Cina entro i suddetti confini. Le opinioni legali erano una cosa, la situazione fattuale un’altra. Per poter risolvere le questioni esistenti e aperte, senza guerre, il governo cinese di Pechino ha sviluppato la politica di “un Paese, due sistemi“, avviato con l’obiettivo di integrare Hong Kong e poi Taiwan all’interno di questa progettualità. Ma questa strategia ricevette un duro colpo, quando le manifestazioni di massa a Hong Kong di alcuni anni fa, richiedevano l’indipendenza.

Ciò fece capire a Pechino che la “formula di Hong Kong” non può essere applicata a Taiwan. L’abbandono di “un paese, due sistemi“, provocato da Washington e Londra, ha aperto la strada ai pianificatori anglosassoni della separazione totale di Taiwan dalla Cina. La strategia di Washington è applicare a Taiwan il modello del Kosovo: la separazione come interesse degli Stati Uniti, pronti a fornire gli strumenti militari per imporre la separazione.

Nell’agosto del 2022, il rappresentante taiwanese a Berlino ha invitato il governo tedesco, a smettere di seguire la “politica della Cina unica“, quasi come un monito. L’uso dell’arma del separatismo da parte degli USA è globalmente illimitato, e può essere utilizzato contro qualsiasi stato. Per la Cina, secondo gli esperti in Asia, vorrebbero la separazione in otto Stati. Ma il vento ed il mondo, dal febbraio 2022 sta cambiando e gli USA cominciano ad andare in fibrillazione, anche in quell’area.

Ma per entrare in profondità tra le pieghe della crisi taiwanese, occorre partire delle elezioni amministrative del novembre 2022, che hanno rimescolato e, per altri aspetti, accelerato le dinamiche di crisi dell’area.

Sicuramente gli esiti di queste elezioni locali che hanno coinvolto 23 milioni di cittadini dell’isola, hanno posto un grosso e squilibrante problema in più per i fautori del mondo unipolare egemonizzato dal gigante statunitense. I sostenitori del riavvicinamento con la Cina continentale hanno preso la maggioranza dei comuni locali, e dopo la schiacciante sconfitta del Partito Democratico Progressista al governo, che aveva incentrato la campagna elettorale su un ulteriore rafforzamento dell’alleanza con gli Stati Uniti, la presidente taiwanese Tsai Ing-wen, il 26 novembre 2022 si è dimessa da capo del partito al governo, a causa della schiacciante sconfitta.

Infatti, le elezioni del governo locale, a cui hanno partecipato 23 milioni di taiwanesi, hanno cambiato significativamente la situazione politica a Taiwan. Dopo la innegabile sconfitta del Partito Democratico Progressista (DPP) al governo, la cui politica e strategia è totalmente soggiogata alle strategie statunitensi, il potere locale è passato al partito di opposizione Kuomintang, che sostiene il riavvicinamento con la Cina continentale. In queste elezioni per il controllo degli organi di autogoverno locale, i residenti della non riconosciuta Repubblica di Cina hanno eletto sindaci in 16 città e sei municipalità speciali, capi di contee, deputati delle assemblee cittadine e di contea, amministrazioni di villaggi e città (per un totale di oltre 11mila dirigenti)…

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“Perché nessuno risponde sulla portaerei inviata per sfidare la Cina?” – Carlo Rovelli

Evidentemente il mio intervento del primo maggio ha dato fastidio: sono piovuti articoli di critica veementissima (Il ministro della Difesa deve avere fatto telefonate molto concitate, chiedendo di essere difeso.)

Ho letto con stupore estese analisi di un presunto “Rovelli pensiero”, che mi attribuiscono ogni sorta di idee che certo non sono mie, e che rispondono più che altro a frasi fatte e insulti.  Per esempio sul sito di Repubblica.

Ma sul merito delle cose concrete di cui effettivamente ho provato a parlare il primo maggio, nessuno dei critici dice una parola.

Prima di tutto sulla portaerei.

Provo allora a tornare sull’argomento, con qualche dettaglio. Il 22 Aprile, con il titolo “Messaggio a Pechino: le navi militari italiane in rotta per il Pacifico”, proprio Repubblica informa che “Gli Stati Uniti chiedono aiuto all’Italia per dissuadere la Cina dalle velleità di invadere Taiwan e in generale per frenare l’espansionismo di Pechino” (suona un po’ ridicolo che la superpotenza ‘chieda aiuto all’Italia’ per fare fronte all’altra superpotenza, ma così c’era scritto).

Quello che conta è il seguito: L’Ammiraglio Giuseppe Berutti, al vertice della Marina, ha annunciato il 14 marzo da Milano che “tra fine 2023 e inizio del 2024, la nostra Marina invierà una squadra portaerei nella regione dell’Indo-Pacifico per operare con gli alleati. La formazione comprenderà la portaerei Cavour, un cacciatorpediniere, una fregata e un rifornitore di squadra”.

Senza consultare il Paese, cioè, il governo sta impegnando l’Italia in una sfida alla Cina che prima o poi rischia davvero di finire male.

Questa non è una missione di routine, tanto meno un impegno preso dall’Italia precedentemente.  In un momento in cui le tensioni del mondo si stanno infiammando, e si rischia seriamente uno scontro militare USA-Cina, il nostro governo manda un’intera flotta davanti alle coste della Cina, a sfidare e provocare la Cina.

Di questo ho parlato il primo maggio. Perché nessuno risponde a questo?  L’opposizione è d’accordo?

Ho anche parlato di un’altra cosa.  Lo stesso articolo di Repubblica continua così: “Queste missioni, oltre al valore strategico, ne hanno anche uno industriale, per mostrare ai vari Paesi i prodotti italiani che potrebbero comprare.”  Andiamo a sfidare la Cina sotto casa sua per fare i piazzisti di armi.

Ora, il ministro della difesa, che oramai tutti sappiamo viene dall’industria bellica, se l’è tanto presa perché l’ho chiamato “piazzista di armi, che sono strumenti di morte“. (Non l’ho certo chiamato“piazzista di morte”, come spudoratamente e perfidamente ha scritto il mio stesso giornale, il Corriere)

Quindi: un personaggio importante dell’industria bellica diventa nostro ministro della difesa, e manda un’intera flotta italiana nel Pacifico (con i soldi nostri; il costo operativo di una portaerei in missione arriva a diversi milioni al giorno) per mostrare ai vari Paesi i prodotti italiani che potrebbero comprare.

E lo fa in un momento in cui la tensione internazionale è altissima e il mondo paventa uno scontro USA-Cina.

Invece di contribuire a smorzare i toni, a cercare soluzioni ragionevoli, fare politica internazionale alta, l’Italia si lancia nella avventura folle di fare il galletto davanti alla Cina. “Attenzione Cina, stai buona, che se no te la facciamo vedere noi Italiani“. E lo fa anche per vendere armi.

Secondo me gli Italiani non sono d’accordo.  Questo ho detto il primo maggio.  Ho invitato i giovani a considerare queste cose, riflettere, e impegnarsi su queste questioni, che rischiano seriamente di rovinare la loro vita futura.

Nessuna delle valanghe di parole di critica che ho ricevuto fa cenno a quanto ho effettivamente detto.  Forse hanno paura del fatto che gli Italiani, di fare i guerrafondai e mandare una flotta nel mare della Cina… magari non sono d’accordo?
*Post Facebook del 6 maggio 2023

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“Il mio intervento alla Fiera del libro di Francoforte cancellato per le mie critiche al governo” – Carlo Rovelli

L’Italia mi ha chiesto di rappresentarla alla cerimonia di apertura della Fiera del Libro di Francoforte, ma siccome ho osato criticare il ministro della difesa, il mio intervento è stato cancellato:

Da: DG-BDA – COMMISSARIO FIERA LIBRO DI FRANCOFORTE DEL 2024

Data: 12 Maggio 2023

A: carlo rovelli

Oggetto: Re: Frankfurter Buchmesse 2024

Professore carissimo, è con grande pena che mi accingo a scriverle questa lettera. Con grande pena ma senza infingimenti.

Il clamore, l’eco, le reazioni che hanno fatto seguito al suo intervento al concerto del 1 maggio mi inducono a pensare, mi danno, anzi, la quasi certezza, che la sua lezione che così fortemente avevo immaginato e voluto per la cerimonia di inaugurazione della Buchmesse con l’Italia Ospite d’Onore diverrebbe l’occasione non per assaporare, guidati dalle sue parole, il fascino della ricerca e per lanciare uno sguardo ai confini della conoscenza, ma, invece, per rivivere polemiche e attacchi.

Ciò che più di ogni altra cosa sento il dovere di evitare – e di questo mi prendo tutta, personale la responsabilità – è che un’occasione di festa e anche di giusto orgoglio nazionale, si trasformi in un motivo di imbarazzo per chi quel giorno rappresenterà l’Italia. E non le nascondo la speranza che il nostro paese sia rappresentato al massimo livello istituzionale.

Sono portato a pensare che lei per primo avrà immaginato gli scenari che le sue parole avrebbero aperto. Questo non vale, certo, ad attenuare il peso di questa lettera. Lettera che mai avrei voluto scrivere. Spero, almeno, che possa contribuire a non farmi perdere la sua amicizia.

Con l’augurio di poter presto leggere un suo nuovo libro e, magari, di incontrarla di persona, le invio, caro professore, il migliore dei saluti.

Ricardo Franco Levi

COMMISSARIO FIERA LIBRO DI FRANCOFORTE DEL 2024

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Censura Rovelli. Lettera aperta di Alessandro Orsini a Riccardo Franco Levi

Caro Ricardo Franco Levi,

Commissario straordinario per la partecipazione dell’Italia alla Fiera del Libro di Francoforte del 2024 nominato dal governo Draghi, le faccio notare, sommessamente, che la lettera che lei ha scritto a Rovelli è uguale a quelle che vengono scritte nelle dittature. Soltanto gli ignoranti – ovviamente non mi riferisco a lei – pensano che le dittature uccidano o torturino ogni singolo intellettuale al primo cenno di critica contro il governo. Dia retta a me, studio la soppressione del dissenso intellettuale nelle dittature da una vita e posso assicurarle che la violenza fisica contro gli intellettuali è un fatto rarissimo. Nella quasi totalità dei casi, le dittature fanno agli intellettuali critici quello che è stato appena fatto a Rovelli. I direttori dei festival scaricano le colpe sull’intellettuale per colpevolizzarlo, reo di avere criticato il ministro di turno, con modi cortesi e gentili per ottenere quattro obiettivi: salvare il posto, compiacere il ministro criticato, lavorare per l’isolamento dell’intellettuale, mandare un messaggio a tutti gli altri intellettuali: “Se criticate, non parlerete ai festival”.

Nel frattempo, i rettori e i direttori di dipartimento mandano altri messaggi agli intellettuali critici del tipo: “Se criticate il governo, sarete censurati, avrete la carriera universitaria distrutta e i vostri centri di ricerca saranno chiusi anche se eccellenti”.

I direttori delle reti televisive mandano lo stesso messaggio e dicono: “Caro intellettuale, se critichi il governo, la mia trasmissione televisiva ti bersaglierà”.

Gli speaker radiofonici agiscono nello stesso modo e anche i direttori della carta stampata.

Il risultato finale è quello che lei vede in Italia: moltissimi intellettuali hanno paura di parlare per non essere colpiti nella carriera o bersagliati dai media, dai presidenti di Regione, dai leader di partito, dai rettori, dai direttori dei festival.

Tuttavia l’università, essendo la vetta del sapere, è anche uno dei più potenti fattori del mutamento storico-sociale che, nelle società libere, è istituzionalizzato, a differenza delle società sature di sacro. Il che significa che, se i professori universitari smettono di parlare, le società libere finiscono per sacralizzare il pensiero della classe governante che, proprio come il sacro, non è più criticato da nessuno.

Sul tema, mi permetto di suggerirle la lettura del mio “Anatomia delle brigate rosse” che trova nel link qui sotto. Troverà tante lettere come la sua.

A mio giudizio, lei dovrebbe vergognarsi e dimettersi dal suo incarico. Siccome in Italia assomigliamo sempre di più alla Russia, giacché l’Italia è piena di direttori “putiniani”, immagino che il suo comportamento gravissimo non susciterà alcuna indignazione.

Un’ultima cosa: se lei ha paura delle polemiche e degli attacchi, come scrive a Rovelli per liquidarlo gentilmente, cambi lavoro.

Non mi stupisce che lei abbia avuto incarichi importantissimi di governo in passato, fino a essere sottosegretario di Stato.

La cultura si controlla anche così.

(Anatomia delle brigate rosse: https://www.researchgate.net/publication/345768831_Anatomy_of_the_Red_Brigades_The_Religious_Mind-set_of_Modern_Terrorists )

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Cialtroni «kafkiani» di regime – Tommaso Di Francesco

Ma il fisico Carlo Rovelli non doveva ricevere un invito a pranzo dal ministro Crosetto, dopo il suo discorso del Primo maggio a Roma contro la guerra in Ucraina e contro i piazzisti di morte e di armi? Nel quale chiamava in causa, senza nominarlo, il ministro della Difesa, storico rappresentante del complesso militare-industriale?

Per buoni tre quarti della giornata di ieri, invece dell’invito a pranzo, a Carlo Rovelli è arrivata una scomunica insieme italiana e internazionale: è stato cancellato il suo discorso in rappresentanza dell’Italia, quest’anno Paese ospite, alla Buchmesse, la grande Fiera del libro di Francoforte, con una lettera di Ricardo Franco Levi, commissario straordinario del governo per la Buchmesse 2024, già sottosegretario con il governo Prodi.

Una missiva kafkiana, tra Metamorfosi e Il processo: «Bisogna evitare che un’occasione di festa e di giusto orgoglio nazionale si trasformi in un motivo di imbarazzo per chi quel giorno rappresenterà l’Italia»; aggiungendo significativamente dopo il ben servito: «E non le nascondo la speranza che il nostro Paese sia rappresentato al massimo livello istituzionale».

Parole chiare, specchio di una Cultura vergognosamente subalterna al potere, dalle quali traspariva che la decisione non era del solo «commissario» se già auspicava e prevedeva un cambio, preparato e indicato da chi se non «dall’alto», visto anche che la Buchmesse è tra le istituzioni culturali più rappresentative al mondo. Puzza di regime è dire poco.

Si sono strappati i capelli, Crosetto e il ministro della «cultura» Sangiuliano per dire che loro non c’entravano. Eppure il Primo maggio la Rai prendendo le distanze da Rovelli, denunciava il «mancato contraddittorio»: come se un intellettuale che accusa pubblicamente il clima di guerra imperante possa essere messo sullo stesso piano di un ministro il cui governo a man bassa assume tutti i posti chiave dell’informazione; impegnato com’è nell’operazione «egemonia cultuale» senza idee – se non quelle xenofobe e razziste alla Lollobrigida – o di revisionismo storico anti-antifascista.

Poi il colpo di scena finale in serata: il «commissario per il governo» ha invitato di nuovo Carlo Rovelli a partecipare all’inaugurazione della Buchmesse «per condividere con noi la bellezza della ricerca e il valore della conoscenza». I neo-egemonici di destra hanno capito, ma proprio alla fine, che così facendo avevano costruito un vero caso politico boomerang. Quando la pezza è peggiore del buco.

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Servitù volontaria – Marco Travaglio

Va letta e riletta, la lettera di Ricardo Franco Levi, “Commissario Fiera del Libro di Francoforte del 2024”, che comunica al “professore carissimo” Carlo Rovelli di aver annullato la sua lezione alla Buchmesse dell’anno prossimo per i delitti di pacifismo e leso Crosetto. “Con grande pena, ma senza infingimenti”. Per non trasformare “un’occasione di festa e giusto orgoglio nazionale in motivo di imbarazzo per chi rappresenterà l’Italia… al massimo livello istituzionale”. Il dolente scrivente avverte tutto “il peso di questa lettera, che mai avrei voluto scrivere” (sic) e spera “che possa contribuire a non farmi perdere la sua amicizia”. Gran finale: “Con l’augurio di poter presto leggere un suo nuovo libro… le invio il migliore dei saluti”. Manca solo l’epigrafe che Longanesi voleva stampare sul Tricolore: “Tengo famiglia”.

La lettera è un reperto d’epoca, anzi d’epoche, perché avrebbe potuto scriverla qualunque prototipo d’intellettuale italiano in uno qualsiasi degli ultimi sei o sette secoli. È un capolavoro di servitù volontaria, dunque non richiesta, che spiega perché qui l’unica cultura degna di nota è quella autoritaria, qualunque sia l’autorità: l’intellighenzia non si concepisce come contropotere, ma come protesi e lingua del potere. Ha sempre bisogno di un padrone da servire. Se il padrone ordina, obbedisce. Se l’ordine non arriva, lo previene. Se il padrone cade, se ne cerca un altro. E non cambia mai idea, non avendone di proprie: cambia soltanto padrone. Il tapino Ricardo (con una c sola) – già giornalista per insufficienza di prove di Sole 24 oreCorriereGiornoMessaggero e Stampa, fondatore-affondatore dell’Indipendente “liberal” (senza e), sottosegretario di Prodi, portavoce di Veltroni e ora presidente degli editori – è persino sincero, nella sua viscida cortigianeria censoria. Per lui, come per ogni maggiordomo, un intellettuale che critica il potere non è normalità democratica: è un’anomalia da stroncare prima che faccia precedente. Più del censore, che ora si rende due volte ridicolo con la retromarcia per ordine del governo, fanno pena i censori del censore (tipo Crosetto, che aveva invitato Rovelli a occuparsi di buchi bianchi e non del buco nero dei suoi conflitti d’interessi armati). Sono come Levi: per 15 mesi hanno stilato liste di fantomatici putiniani, silenziato e insultato i pacifisti, tentato di chiudere i programmi che li ospitano, ostracizzato artisti e autori russi (memorabile, ieri, il teatrino di Vespa e altri camerieri ai piedi di Zelensky). Ora la censura “liberal” e “progressista” si salda con quella della destra, che ne raccoglie i frutti senza neppure muovere un dito. Come disse Mussolini negli ultimi giorni di Salò: “Come si fa a non diventare padrone in un Paese di servi?”.

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Caso Rovelli, ecco perché il mio amico Levi si deve dimettere – Gad Lerner

Che ti è preso, Ricky? Noi amici lo chiamiamo così, dal tempo in cui era portavoce di Prodi. Qualcuno dall’alto ti ha teso un tranello sospingendoti a censurare Carlo Rovelli o era davvero farina del tuo sacco quella mail disonorevole, ulteriormente aggravata dalla disinvoltura con cui la rinneghi meno di 24 ore dopo, dicendoti soddisfatto di fare dietrofront?

“Professore carissimo, è con grande pena che mi accingo a scriverle questa lettera”… un classico testo di satira involontaria. Ho strabuzzato gli occhi, leggendola. Ho sperato si trattasse di un falso, ma poi ho riconosciuto il tuo stile felpato.

Siccome nessuno, ma proprio nessuno, se l’è sentita di difendere in pubblico una tale sortita del presidente dell’Associazione editori italiani, ricorderemo come segno dei tempi la prosa untuosa, perdonami, con cui hai vergato il tuo atto di censura. Esibivi tormento: pregustavi di “assaporare, guidati dalle sue parole, il fascino della ricerca”. Quand’ecco che in te si è insinuato il dubbio che a Francoforte – tra un anno e mezzo! – sarebbe toccato di “rivivere polemiche e attacchi” come quello subito dal povero ministro Crosetto, trasformando “un’occasione di festa e anche di giusto orgoglio nazionale in un motivo di imbarazzo per chi quel giorno rappresenterà l’Italia”.

Sferrato il calcio negli stinchi a Rovelli, ammettilo, ti sentivi in colpa tanto da implorarne la benevolenza: “Sono portato a pensare che lei per primo avrà immaginato gli scenari che le sue parole avrebbero aperto”. Sicché ti auguravi che Rovelli, da buon patriota, indossasse di buon grado la museruola gentilmente offertagli con la lettera “che mai avrei voluto scrivere”. E che, aggiungevi sfidando il ridicolo, “spero almeno possa contribuire a non farmi perdere la sua amicizia”.

Le cose sono andate diversamente. Gli editori si sono infuriati. I ministri ti hanno lasciato cuocere nel tuo brodo. E ora, con leggiadria, riavutoti da un eccesso di zelo, rinnovi l’invito a Rovelli. Non sarà più dignitoso accompagnarlo con un paio di lettere di dimissioni?

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L’’Ucraina di Zelensky “promossa” da Reporters Sans Frontiers con questa surreale motivazione – Clara Statello

…Attivisti per i diritti umani e giornalisti dissidenti ucraini, come Volodymir Chemeris e Oleg Yasinsky, hanno tentato di documentare le persecuzioni ai giornalisti e oppositori politici in Ucraina. Il primo è stato arrestato nel luglio 2022, il secondo vive fuori dal suo Paese, in Russia. Grazie al lavoro di Yasinsky siamo venuti a conoscenza dell’ondata di arresti di giornalisti influenti nel marzo 2022, come Yuri Tkachev, capo redattore del Timer di Odessa, Dmitry Dzhanguirov, Yury Dudkiny e lo scrittore Aleksandr Karevin. Oltre a questi sono stati arrestati decine di attivisti di sinistra o dell’opposizione, come i fratelli Mikhail e Alexandr Kononovich dirigenti della giovanile del Partito Comunista d’Ucraina, Aleksandr Matiushenko, Vasil Volga, Vladimir Ivanov.

La lista potrebbe continuare, vale la pena ricordare due blogger: Gleb Lyashenko, arrestato lo scorso anno agli inizi di aprile per aver giustificato pubblicamente l’intervento russo, e Valery Kushelov, ucciso durante un agguato la mattina del 20 aprile 2022. Non si hanno notizie sul commando che lo ha assassinato, ma in diverse occasioni personalità legati al governo e agli ambienti militari, hanno parlato di un Mossad ucraino per eliminare propagandisti e “nemici della nazione” operativo sui territori controllati da Kiev e non solo. L’esecuzione di Kuleshov potrebbe essere la prima goccia di una lunga scia di sangue lasciata nel corso di quest’ anno, contro personalità legate alle nuove autorità e agli ambienti politico-militari, nei territori ucraini sotto il controllo russo e non solo.


Il vento di libertà in Europa

Se si impone l’idea che l’informazione non aderente alla “linea editoriale” della Casa Bianca è propaganda, allora qualsiasi fatto analizzato da una prospettiva differente da quella “liberale” di Washington o Kiev diventa fake news e deve essere messa al bando. Così per salvaguardare la libertà di stampa dalla “propaganda di Putin” uno dei primi atti della Commissione europea dopo l’escalation in Ucraina è stato l’oscuramento di Sputik ed RT.

In Italia sono state compilate liste di proscrizione non solo dal Copasir, ma anche dagli stessi giornalisti contro i propri colleghi. Oltre ai linciaggi mediatici dei “dissidenti” della linea “c’è un aggressore e un aggredito”,  i vari fact checker indipendenti hanno lavorato assiduamente per far emergere la verità di Kiev come unica, facendo oscurare canali, pagine social, post e qualsiasi voce dissonante e scomoda contro la propaganda di guerra italiana. Nessuno ha gridato alla censura, anzi anche l’Italia è stata premiata: è risalita di 17 posizioni nella classifica World Press Freedom 2023 di RSF, passando dal 58° a 41° posto, lasciando indietro gli Stati Uniti, al 45°.

In quest’ultimo anno abbiamo avuto davanti agli occhi dozzine di eclatanti fake news prodotte dalla propaganda di guerra: dalle nonne che uccidono i soldati russi a colpi di torta, ai militari mandati al fronte senza calzini, ai Wagner che combattono a Bachmut con le pale del secolo XIX. Gli uomini dell’Azov sono diventati lettori di Kant e le svastiche antichi simboli slavi del bene, ma le nostre bufale non hanno destato alcun allarme per la libertà di stampa. In cambio tutte le notizie provenienti dalla Russia vengono definite disinformazione da truppe di fact chekers indipendenti, reclutati appositamente per confutarle. Nella Santa lotta del mondo libero contro le fake news non è ammessa altra verità che quella liberale, non è ammesso un punto di vista differente da quello di Washington. Il report di RSF sull’Ucraina ne è una ulteriore conferma.

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Dove sarà il nuovo fronte anti-russo dopo la sconfitta ucraina – Fabrizio Poggi

Con l’attenzione giustamente concentrata sul “tritacarne Bakhmut”, sulle slinguate vespiane al nazi-capo ucraino a Roma, sulla declamata e rinviata di settimana in settimana “controffensiva ucraina”: insomma, con gli occhi puntati sulla guerra guerreggiata, cade un po’ fuori dal raggio visivo la preparazione di altri fronti su cui USA e NATO pianificano di impegnare la Russia, data ormai per inevitabile la fine ingloriosa della cricca nazi-golpista di Kiev.

E di potenziali e programmati fronti, anche limitandosi al quadrante europeo, ce ne sono. Orami da tempo si scrive delle ambizioni polacche di diventare il “centro di gravità” europeo e della conseguente corsa, oltre che a farsi hub gasiero nel Baltico per il gas americano, ad attrezzarsi sul piano militare. Si sono altre volte riportate le dichiarazioni del Ministro della guerra Mariusz Blaszczak sui piani di riarmo di Varsavia, con l’ambizione a divenire presto il più potente esercito di terra in Europa, con 300.000 uomini sotto le armi. Di più, oltre a puntare freneticamente all’acquisto di missili, carri armati, elicotteri d’attacco da USA, Corea del Sud, Gran Bretagna, Varsavia parla ora della futura realizzazione di un centro di produzione e manutenzione per missili HIMARS e carri “Abrams”, anche per altri paesi europei. Il governo sanfedista sogna anche di un centro polacco per la produzione di proiettili all’uranio impoverito con cui armare gli “Abrams”. Si parla poi dell’acquisto di missili aria-terra yankee “JASSM-XR, in grado di colpire obiettivi a 1,6 km di distanza; di razzi aria-terra “Hellfire” per gli elicotteri polacchi “AW149”. Si acquistano sistemi americani “Patriot” e britannici SAMM. Per l’anno prossimo e fino al 2030 è previsto l’inizio delle forniture alla Polonia di caccia-bombardieri F-35 “Lightning II Block 4”.

Tutto questo, senza dimenticare che la Polonia è praticamente il principale punto di passaggio per le forniture di armi alla junta di Kiev: “Wirtualna Polska” scrive che, a tutto febbraio 2023, Varsavia aveva trasmesso armi a Kiev per 2,2 miliardi di euro.

In soldoni, Varsavia stessa non nasconde di prepararsi a uno scontro armato con la Russia, anche se la cosa viene presentata come se Mosca, dopo la questione ucraina, punterà alla Polonia: ovviamente, per continuare a ricevere fondi UE necessari per portare il bilancio della “difesa” al 4% del PIL, non si può dire diversamente.

Ma, a Ovest, come si dice, si mette a punto anche un “piano b”: oltre l’armamento polacco, USA e NATO si danno da fare per rifornire sempre più anche quelli che Igor’ Veremeev, su Stoletie.ru, definisce con cognizione “i nani” baltici, per preparare anche un terzo fronte contro Mosca…

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Verso il complesso militare-industriale europeo – Matteo Bortolon

I fondi del Pnrr potranno essere usati per la produzione di armi, dato che il Next Generation Eu vede fra le sue finalità la resilienza e una forma di essa è… la resistenza armata. Sembra lo sketch di un programma di satira politica, invece è la realtà, per bocca del Commissario europeo Thierry Breton.

Questa dichiarazione disvela nella maniera più palese quanto fossero poco fondate le aspettative dello «strumento comune» in merito agli obiettivi di costruzione di una Europa migliore all’indomani del Covid, ma l’aspetto più preoccupante è lo sfondo su cui si colloca, consistente in un sinistro balzo in avanti della costruzione di un complesso militare-industriale Ue.

Le affermazioni di Breton infatti si riferiscono ad un piano in tre punti promosso dal Consiglio europeo e dalla Commissione per supportare militarmente l’Ucraina con la fornitura di armamenti: primo, la fornitura a Kiev di proiettili dai singoli Stati (svuotando i propri arsenali) che saranno pagati da un fondo comunitario, dall’orwelliano nome di “European Peace Facility”; secondo, l’acquisto congiunto finanziato allo stesso modo; terzo, promuovere la produzione bellica di tali armamenti favorendo un coordinamento dei produttori europei.

È così che il 20 marzo 2023 (esattamente 20 anni dopo l’attacco all’Iraq) il Consiglio europeo ha incaricato la Commissione di presentare una iniziativa per accelerare la capacità produttiva del settore degli armamenti europeo. La risposta è stata Asap, un acronimo anglicizzante che sintetizza l’espressione «il prima possibile» (as soon as possible), designando un piano intitolato “Act in Support of Ammunition Production” (“Atto a supporto della produzione di munizioni”).

Si tratta della proposta di regolamento (una delle due tipologie normative della Ue, accanto alla direttiva) che dovrà finanziare la cooperazione fra aziende d’armi con 500 milioni € per potenziale la fabbricazione di proiettili da destinare all’Ucraina. È nella presentazione di questo che hanno luogo le affermazioni sul Pnrr; ed addirittura anche i fondi di coesione potrebbero essere destinati per le armi – giustificando tale scelta con la collocazione di fabbriche d’armi in aree isolate…

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L’egemonia degli Stati Uniti e i suoi pericoli

Questo breve saggio, pubblicato dal Ministero degli Affari Esteri cinese il 20 febbraio 2023 è uno dei primi segnali del cambio di strategia da parte del governo cinese che, archiviata la storica e proverbiale paziente diplomazia, ha iniziato con più determinazione a smascherare il doppio standard che in ogni contesto gli Stati Uniti pretendono di imporre nelle relazioni internazionali. Sono testi importanti che, nonostante non aggiungano elementi di particolare novità, consentono di chiarire il punto di vista cinese in merito alle vicende internazionali passate e presenti e al ruolo degli Stati Uniti. La comprensione della politica estera di un paese socialista come la Cina, ormai non più trascurabile geopoliticamente nella composizione di un equilibrio globale stabile, ci può aiutare ad intravvedere quel mondo multipolare che pare avvicinarsi velocemente. Un punto di vista completamente tralasciato o distorto nel quadro mediatico occidentale che alimenta l’opinione pubblica con informazioni faziose ed ideologiche impedendo di fatto  un confronto approfondito  con quella via cinese al socialismo che, dopo il secolo dell’umiliazione, ha portato la Cina ad essere una delle principali potenze mondiali e, tra queste, una potenza di pace.

Traduzione a cura di Michele Berti

Contenuti

Introduzione

  1. Egemonia politica: gettare il suo peso in giro
  2. Egemonia militare: uso sfrenato della forza

III. Egemonia economica: saccheggio e sfruttamento

  1. Egemonia tecnologica: monopolio e soppressione
  2. Egemonia culturale: diffusione di false narrazioni

Conclusione

Introduzione

Da quando sono diventati il ​​paese più potente del mondo dopo le due guerre mondiali e la Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno agito con più sfrontatezza interferendo negli affari interni di altri paesi, , promuovendo la sovversione e l’infiltrazione e conducendo volontariamente guerre , al fine di perseguire, mantenere e abusare della propria egemonia recando danno all’intera comunità internazionale.

Gli Stati Uniti hanno sviluppato un metodo egemonico per inscenare “rivoluzioni colorate”, istigare controversie regionali e persino lanciare direttamente guerre con il pretesto di promuovere democrazia, libertà e diritti umani. Aggrappandosi alla mentalità della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno intensificato la politica del blocco e alimentato conflitti e scontri. Hanno esagerato con il concetto di sicurezza nazionale, hanno abusato dei controlli sulle esportazioni e imposto sanzioni unilaterali agli altri. Hanno adottato un approccio selettivo al diritto e alle regole internazionali, utilizzandole o scartandole a loro piacimento, e infine hanno cercato di imporre regole che promuovevano i propri interessi in nome del mantenimento di un “ordine internazionale basato su regole”.

Questo rapporto, presentando i fatti rilevanti, cerca di esporre l’abuso dell’egemonia degli Stati Uniti in campo politico, militare, economico, finanziario, tecnologico e culturale e di attirare l’attenzione internazionale sui pericoli che pratiche statunitensi costituiscono per la pace e la stabilità nel mondo e per il benessere di tutti i popoli.

  1. Egemonia politica: gettare il suo peso in giro

Gli Stati Uniti hanno cercato a lungo di plasmare altri paesi e l’ordine mondiale con i propri valori e il proprio sistema politico in nome della promozione della democrazia e dei diritti umani.

◆ I casi di interferenza degli Stati Uniti negli affari interni di altri paesi abbondano. In nome della “promozione della democrazia”, ​​gli Stati Uniti hanno praticato una “dottrina Neo-Monroe” in America Latina, istigato “rivoluzioni colorate” in Eurasia e orchestrato la “primavera araba” in Asia occidentale e Nord Africa, portando caos e disastri in molti paesi.

Nel 1823, gli Stati Uniti annunciarono la Dottrina Monroe. Pur propagandando un’”America per gli americani”, ciò che veramente volevano era un’”America per gli Stati Uniti”.

Da allora, le politiche dei successivi governi statunitensi nei confronti dell’America Latina e della regione dei Caraibi sono state piene di interferenze politiche, interventi militari e cambi di regime. Dai 61 anni di ostilità e blocco nei confronti di Cuba al rovesciamento del governo Allende in Cile, la politica degli Stati Uniti in questa regione è stata costruita su una massima: coloro che si sottometteranno prospereranno; chi resisterà perirà.

L’anno 2003 ha segnato l’inizio di una serie di “rivoluzioni colorate”: la “rivoluzione delle rose” in Georgia, la “rivoluzione arancione” in Ucraina e la “rivoluzione dei tulipani” in Kirghizistan. Il Dipartimento di Stato americano ha ammesso apertamente di svolgere un “ruolo centrale” in questi “cambi di regime”. Gli Stati Uniti hanno anche interferito negli affari interni delle Filippine, estromettendo il presidente Ferdinand Marcos Sr. nel 1986 e il presidente Joseph Estrada nel 2001 attraverso le cosiddette “People Power Revolutions”.

Nel gennaio 2023, l’ex segretario di Stato americano Mike Pompeo ha pubblicato il suo nuovo libro “Never Give an Inch: Fighting for the America I Love” in cui ha rivelato che gli Stati Uniti hanno tramato per intervenire in Venezuela. Il piano previsto era quello di costringere il governo Maduro a raggiungere un accordo con l’opposizione, privare il Venezuela della sua capacità di vendere petrolio e oro in valuta estera, esercitare forti pressioni sulla sua economia e quindi influenzare le elezioni presidenziali del 2018.

◆ Gli Stati Uniti esercitano doppi standard sulle regole internazionali. Mettendo al primo posto il proprio interesse nazionale, gli Stati Uniti si sono allontanati dai trattati e dalle organizzazioni internazionali e hanno posto il proprio diritto interno al di sopra del diritto internazionale. Nell’aprile 2017, l’amministrazione Trump ha annunciato che avrebbe tagliato tutti i finanziamenti statunitensi al Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) con la scusa che l’organizzazione “sostiene o partecipa alla gestione di un programma di aborto coercitivo o sterilizzazione involontaria”. Gli Stati Uniti hanno lasciato l’UNESCO due volte nel 1984 e nel 2017. Nel 2017 hanno annunciato di abbandonare l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Nel 2018 hanno annunciato la propria uscita dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, citando il “pregiudizio” dell’organizzazione nei confronti di Israele e l’incapacità di proteggere efficacemente i diritti umani. Nel 2019, gli Stati Uniti hanno annunciato il ritiro dal Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio per cercare uno sviluppo senza restrizioni di armi avanzate. Nel 2020 ha annunciato il ritiro dal Trattato sui Cieli Aperti “Open Skies” firmato nel 1992 ed in vigore dal 2002.

Gli Stati Uniti sono stati anche un ostacolo al controllo delle armi biologiche, opponendosi ai negoziati su un protocollo di verifica per la Convenzione sulle armi biologiche (BWC) e impedendo la verifica internazionale delle attività dei paesi relative alle armi biologiche. Essendo l’unico paese in possesso di scorte di armi chimiche, gli Stati Uniti hanno ripetutamente ritardato la loro distruzione e sono rimasti riluttanti ad adempiere ai propri obblighi diventando il più grande ostacolo alla realizzazione di “un mondo senza armi chimiche”.

◆ Gli Stati Uniti stanno mettendo insieme piccoli blocchi attraverso il loro sistema di alleanze. Hanno imposto una “strategia indo-pacifica” nella regione dell’Asia-Pacifico, riunendo club esclusivi come i Five Eyes, il Quad e l’AUKUS e costringendo i paesi della regione a schierarsi. Tali pratiche hanno essenzialmente lo scopo di creare divisioni nella regione, alimentare il confronto e minare la pace.

◆ Gli Stati Uniti giudicano arbitrariamente la democrazia in altri paesi e fabbricano una falsa narrazione che contrappone “democrazia contro autoritarismo” per incitare all’allontanamento, alla divisione, alla rivalità e al confronto. Nel dicembre 2021, gli Stati Uniti hanno ospitato il primo “Summit for Democracy”, che ha attirato critiche e suscitato  l’opposizione di molti paesi per aver preso in giro lo spirito della democrazia e aver diviso il mondo. Nel marzo 2023, gli Stati Uniti ospiteranno un altro “Summit for Democracy”, che rimane sgradito e non troverà ancora alcun sostegno.

  1. Egemonia militare: uso sfrenato della forza

La storia degli Stati Uniti è caratterizzata dalla violenza e dall’espansione. Da quando hanno ottenuto l’indipendenza nel 1776, gli Stati Uniti hanno costantemente cercato di espandersi con la forza: hanno massacrato gli indiani, invaso il Canada, condotto una guerra contro il Messico, istigato la guerra americano-spagnola e annesso le Hawaii. Dopo la seconda guerra mondiale, le guerre provocate o lanciate dagli Stati Uniti includono la guerra di Corea, la guerra del Vietnam, la guerra del Golfo, la guerra del Kosovo, la guerra in Afghanistan, la guerra in Iraq, la guerra in Libia e la guerra in Siria, abusando dell’egemonia militare per raggiungere i propri obiettivi espansionistici. Negli ultimi anni, il budget militare annuo medio degli Stati Uniti ha superato i 700 miliardi di dollari USA, pari al 40% del totale mondiale, più dei 15 paesi dietro di essi sommati insieme. Gli Stati Uniti hanno circa 800 basi militari all’estero, con 173.000 soldati schierati in 159 paesi.

Secondo il libro “America Invades: How We’ve Invaded or Been Militarily Involved with Almost Every Country on Earth”, gli Stati Uniti hanno combattuto o sono stati coinvolti militarmente con quasi tutti i 190 paesi riconosciuti dalle Nazioni Unite con solo tre eccezioni. I tre paesi sono stati “risparmiati” perché gli Stati Uniti non li hanno trovati sulla mappa.

◆ Come ha affermato l’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, gli Stati Uniti sono senza dubbio la nazione più bellicosa nella storia del mondo. Secondo un rapporto della Tufts University, “Introducing the Military Intervention Project: A new Dataset on U.S. Military Interventions, 1776-2019”, gli Stati Uniti hanno intrapreso quasi 400 interventi militari a livello globale in quell’intervallo di anni, il 34% dei quali in America Latina e nel Caraibi, 23% in Asia orientale e Pacifico, 14% in Medio Oriente e Nord Africa e 13% in Europa. Attualmente,la sua attività di intervento militare in Medio Oriente, Nord Africa e Africa sub-sahariana è in costante aumento.

Alex Lo, editorialista del South China Morning Post, ha sottolineato che gli Stati Uniti hanno raramente distinto tra diplomazia e guerra sin dalla loro fondazione. Hanno rovesciato i governi democraticamente eletti in molti paesi in via di sviluppo nel XX° secolo e li hanno immediatamente sostituiti con regimi fantoccio filoamericani. Oggi, in Ucraina, Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, Pakistan e Yemen, gli Stati Uniti stanno ripetendo le loro vecchie tattiche di guerra per procura, a bassa intensità e con l’uso di droni.

◆ L’egemonia militare statunitense ha causato tragedie umanitarie. Dal 2001, le guerre e le operazioni militari lanciate dagli Stati Uniti in nome della lotta al terrorismo hanno provocato oltre 900.000 vittime, di cui circa 335.000 civili, milioni di feriti e decine di milioni di sfollati. La guerra in Iraq del 2003 ha provocato da 200.000 a 250.000 morti civili, di cui oltre 16.000 uccisi direttamente dall’esercito statunitense, e ha lasciato più di un milione di senzatetto.

Gli Stati Uniti hanno creato 37 milioni di rifugiati in tutto il mondo. Dal 2012, solo il numero dei rifugiati siriani è decuplicato. Tra il 2016 e il 2019, nei combattimenti siriani sono state documentate 33.584 morti civili, di cui 3.833 uccise dai bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati Uniti, metà dei quali donne e bambini. Il servizio di radiodiffusione pubblica (PBS) ha riferito il 9 novembre 2018 che gli attacchi aerei lanciati dalle forze statunitensi solo su Raqqa hanno ucciso 1.600 civili siriani.

La guerra ventennale in Afghanistan ha devastato il paese. Un totale di 47.000 civili afgani e da 66.000 a 69.000 soldati e agenti di polizia afghani, estranei agli attacchi dell’11 settembre,  sono stati uccisi nelle operazioni militari statunitensi e più di 10 milioni di persone sono state sfollate. La guerra in Afghanistan ha distrutto le basi dello sviluppo economico locale e ha fatto precipitare il popolo afghano nella miseria. Dopo la “debacle di Kabul” nel 2021, gli Stati Uniti hanno annunciato che avrebbero congelato circa 9,5 miliardi di dollari di asset appartenenti alla banca centrale afghana, una mossa considerata “puro saccheggio”.

Nel settembre 2022, il ministro dell’Interno turco Suleyman Soylu ha commentato in una manifestazione, che gli Stati Uniti hanno intrapreso una guerra per procura in Siria, trasformato l’Afghanistan in un campo di oppio e in una fabbrica di eroina, gettato il Pakistan nel caos e lasciato la Libia in incessanti disordini civili. Gli Stati Uniti hanno fatto tutto il necessario per derubare e schiavizzare la gente di qualsiasi paese ricco di materie prime e petrolio.

Anche gli Stati Uniti hanno adottato metodi spaventosi in guerra. Durante la guerra di Corea, la guerra del Vietnam, la guerra del Golfo, la guerra del Kosovo, la guerra in Afghanistan e la guerra in Iraq, gli Stati Uniti hanno utilizzato enormi quantità di armi chimiche e biologiche, nonché bombe a grappolo, bombe aria-carburante, bombe a grafite e bombe all’uranio impoverito, che causano enormi danni alle strutture civili, innumerevoli vittime civili e inquinamento ambientale duraturo.

III. Egemonia economica: saccheggio e sfruttamento

Dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno guidato gli sforzi per istituire il sistema di Bretton Woods, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, che, insieme al piano Marshall, formano il sistema monetario internazionale incentrato sul dollaro USA. Inoltre, gli Stati Uniti hanno anche costruito un’egemonia istituzionale nel settore economico e finanziario internazionale, manipolando i sistemi di voto, le regole e gli accordi delle organizzazioni internazionali, inclusa “l’approvazione con una maggioranza dell’85%” e le sue leggi e regolamenti sul commercio interno. Approfittando dello status del dollaro come principale valuta di riserva internazionale, gli Stati Uniti stanno sostanzialmente raccogliendo “signoraggio” da tutto il mondo; e usando il proprio controllo sulle organizzazioni internazionali, costringono gli altri paesi a servire la strategia politica ed economica degli USA.

◆ Gli Stati Uniti sfruttano la ricchezza mondiale con l’aiuto del “signoraggio”. Costa solo circa 17 centesimi produrre una banconota da 100 dollari, ma altri paesi hanno dovuto accumulare 100 dollari di beni reali per ottenerne una. È stato sottolineato più di mezzo secolo fa che gli Stati Uniti godevano di privilegi esorbitanti e deficit senza limiti creati dal suo dollaro, e usavano la banconota senza valore per saccheggiare le risorse e le fabbriche di altre nazioni.

◆ L’egemonia del dollaro USA è la principale fonte di instabilità e incertezza nell’economia mondiale. Durante la pandemia di COVID-19, gli Stati Uniti hanno abusato della loro egemonia finanziaria globale e hanno iniettato trilioni di dollari nel mercato globale, lasciando che altri paesi, in particolare le economie emergenti, ne pagassero il prezzo. Nel 2022, la Fed ha posto fine alla sua politica monetaria ultra accomodante e si è rivolta a un aumento aggressivo dei tassi di interesse, provocando turbolenze nel mercato finanziario internazionale e un sostanziale deprezzamento di altre valute, come ad esempio l’euro, molte delle quali sono scese al minimo negli ultimi 20 anni. Di conseguenza, un gran numero di paesi in via di sviluppo è stato messo alla prova dall’elevata inflazione, dal deprezzamento della valuta e dai deflussi di capitali. Questo è esattamente ciò che il segretario al Tesoro di Nixon, John Connally, una volta osservò, con autocompiacimento ma anche acuta precisione, che “il dollaro è la nostra valuta, ma è un tuo problema”.

◆ Con il loro controllo sulle organizzazioni economiche e finanziarie internazionali, gli Stati Uniti impongono condizioni aggiuntive alla loro assistenza ad altri paesi. Al fine di ridurre gli ostacoli all’afflusso di capitali e alla speculazione degli Stati Uniti, i paesi beneficiari sono tenuti a promuovere la liberalizzazione finanziaria e ad aprire i mercati finanziari in modo che le loro politiche economiche siano in linea con la strategia americana. Secondo la Review of International Political Economy, insieme ai 1.550 programmi di alleggerimento del debito estesi dal FMI ai suoi 131 paesi membri dal 1985 al 2014, sono state poste ben 55.465 condizioni politiche aggiuntive.

◆ Gli Stati Uniti sopprimono volontariamente i loro oppositori con la coercizione economica. Negli anni ’80, per eliminare la minaccia economica rappresentata dal Giappone, e per controllare e utilizzare quest’ultimo al servizio dell’obiettivo strategico di affrontare l’Unione Sovietica e dominare il mondo, gli Stati Uniti hanno fatto leva sul proprio potere finanziario egemonico contro il Giappone e hanno concluso il Plaza Accord. Di conseguenza, lo yen è stato spinto verso l’alto e il Giappone è stato spinto ad aprire il proprio mercato finanziario e riformare il proprio sistema finanziario. Il Plaza Accord ha inferto un duro colpo allo slancio di crescita dell’economia giapponese, lasciando il Giappone a quelli che in seguito furono chiamati “tre decenni perduti”.

◆ L’egemonia economica e finanziaria americana è diventata un’arma geopolitica. Raddoppiando le sanzioni unilaterali e la “giurisdizione a braccio lungo”, gli Stati Uniti hanno promulgato leggi nazionali come l’International Emergency Economic Powers Act, il Global Magnitsky Human Rights Accountability Act e il Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act, e hanno introdotto una serie di ordini esecutivi per sanzionare specifici paesi, organizzazioni o individui. Le statistiche mostrano che le sanzioni statunitensi contro enti stranieri sono aumentate del 933% dal 2000 al 2021. La sola amministrazione Trump ha imposto più di 3.900 sanzioni, il che significa tre sanzioni al giorno. Finora, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni economiche a quasi 40 paesi in tutto il mondo, tra cui Cuba, Cina, Russia, Corea del Nord, Iran e Venezuela, colpendo quasi la metà della popolazione mondiale. “Gli Stati Uniti d’America” ​​si sono trasformati negli “Stati Uniti delle sanzioni”. La “long-arm jurisdiction” ovvero “la lunga mano” della propria giurisdizione interna all’estero  è stata ridotta a nient’altro che uno strumento per utilizzare i propri mezzi di potere statale al fine di sopprimere i concorrenti economici ed interferire nei normali affari internazionali. Questo è un grave allontanamento dai principi dell’economia di mercato liberale che gli Stati Uniti da sempre proclamano.

  1. Egemonia tecnologica: monopolio e soppressione

Gli Stati Uniti cercano di scoraggiare lo sviluppo scientifico, tecnologico ed economico di altri paesi esercitando il potere di monopolio, misure di repressione e restrizioni tecnologiche nei campi ad alta tecnologia.

◆ Gli Stati Uniti monopolizzano la proprietà intellettuale in nome della protezione. Approfittando della debole posizione di altri paesi, specialmente di quelli in via di sviluppo, sui diritti di proprietà intellettuale e sull’assenza di attori istituzionali in settori rilevanti, gli Stati Uniti traggono profitti eccessivi attraverso il monopolio. Nel 1994, gli Stati Uniti hanno portato avanti l’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale legati al commercio (TRIPS), forzando il processo e imponendo gli standard americani nella protezione della proprietà intellettuale, nel tentativo di consolidare il proprio monopolio in campo tecnologico.

Negli anni ’80, per contenere lo sviluppo dell’industria giapponese dei semiconduttori, gli Stati Uniti avviarono l’indagine “301”, costruirono potere contrattuale nei negoziati bilaterali attraverso una rete di accordi multilaterali, minacciarono di etichettare il Giappone come un commerciante sleale e imposero tariffe di ritorsione, costringendo il Giappone a firmare l’accordo sui semiconduttori USA-Giappone. Di conseguenza, le imprese giapponesi di semiconduttori sono state quasi completamente estromesse dalla concorrenza globale e la loro quota di mercato è scesa dal 50% al 10%. Nel frattempo, con il sostegno del governo degli Stati Uniti, un gran numero di imprese di semiconduttori statunitensi ha colto l’opportunità e ha conquistato una quota di mercato maggiore.

◆ Gli Stati Uniti politicizzano, trasformano in armi le questioni tecnologiche e le usano come strumenti ideologici. Esagerando il concetto di sicurezza nazionale, gli Stati Uniti hanno mobilitato il potere statale per sopprimere e sanzionare la società cinese Huawei, limitato l’ingresso dei prodotti Huawei nel mercato statunitense, interrotto la fornitura di chip e sistemi operativi e costretto altri paesi a vietare a Huawei di intraprendere la costruzione di una rete 5G locale. In questo ambito sono riusciti persino a convincere il Canada a trattenere ingiustificatamente il CFO di Huawei Meng Wanzhou per quasi tre anni.

Gli Stati Uniti hanno inventato una serie di scuse per reprimere le imprese high-tech cinesi con competitività globale e hanno inserito più di 1.000 imprese cinesi nelle liste di società a cui applicare le sanzioni. Inoltre, gli Stati Uniti hanno anche imposto controlli sulla biotecnologia, l’intelligenza artificiale e altre tecnologie di fascia alta, rafforzato le restrizioni all’esportazione, rafforzato lo screening degli investimenti, soppresso le app di social media cinesi come TikTok e WeChat e fatto pressioni sui Paesi Bassi e sul Giappone per limitare le esportazioni di chip e relative apparecchiature o tecnologie in Cina.

Gli Stati Uniti hanno anche praticato doppi standard nella loro politica sui professionisti tecnologici legati alla Cina. Per mettere da parte ed eliminare i ricercatori cinesi, dal giugno 2018 la validità del visto è stata ridotta per gli studenti cinesi che si specializzano in determinate discipline legate all’alta tecnologia. Si sono verificati ripetuti casi in cui studiosi e studenti cinesi, che si recavano negli Stati Uniti per programmi di scambio e studio, sono stati ingiustificatamente respinti e discriminati, e sono state condotte indagini su larga scala sugli studiosi cinesi che lavorano negli Stati Uniti.

◆ Gli Stati Uniti consolidano il loro monopolio tecnologico in nome della protezione della democrazia. Costruendo piccoli blocchi sulla tecnologia come “l’alleanza dei chip” e la “rete pulita”, gli Stati Uniti hanno etichettato l’alta tecnologia con etichette di “democrazia” e “diritti umani” e hanno trasformato le questioni tecnologiche in questioni politiche e ideologiche, fabbricando scuse per  giustificare per il proprio blocco tecnologico contro altri paesi. Nel maggio 2019, gli Stati Uniti hanno arruolato 32 paesi alla conferenza sulla sicurezza 5G di Praga in Repubblica Ceca e hanno emesso la proposta di Praga nel tentativo di escludere i prodotti 5G della Cina. Nell’aprile 2020, l’allora Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha annunciato il “5G clean path”, un piano progettato per costruire un’alleanza tecnologica nel campo del 5G con partner legati alla loro ideologia condivisa in termini di  democrazia e necessità di garantire la “sicurezza informatica”. Le misure, in sostanza, sono i tentativi degli Stati Uniti di mantenere la propria egemonia tecnologica attraverso alleanze tecnologiche.

◆ Gli Stati Uniti abusano della propria egemonia tecnologica effettuando attacchi informatici e intercettazioni. Gli Stati Uniti sono stati a lungo noti come un “impero di hacker”, accusati dei loro dilaganti furti informatici in tutto il mondo. Dispongono di  tutti i tipi di mezzi per imporre attacchi informatici e attività di sorveglianza pervasiva, incluso l’utilizzo di segnali di stazioni base analogiche per accedere ai telefoni cellulari e operare il furto dei dati, manipolare app mobili, infiltrarsi nei server cloud e rubare dati attraverso cavi sottomarini. L’elenco continua.

La sorveglianza degli Stati Uniti è indiscriminata. Tutti possono essere bersagli della sua sorveglianza, siano essi rivali o alleati, anche leader di paesi alleati come l’ex cancelliere tedesco Angela Merkel e diversi presidenti francesi. La sorveglianza informatica e gli attacchi lanciati dagli Stati Uniti come “Prism”, “Dirtbox”, “Irritant Horn” e “Telescreen Operation” sono tutte prove che gli Stati Uniti stanno monitorando attentamente i propri alleati e partner. Tali intercettazioni su alleati e partner hanno già causato indignazione in tutto il mondo. Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, un sito web che ha esposto i programmi di sorveglianza degli Stati Uniti, ha affermato che “Non devi aspettarti che una superpotenza di sorveglianza globale agisca con onore o rispetto. C’è solo una regola: non ci sono regole”.

  1. Egemonia culturale — Diffondere false narrazioni

L’espansione globale della cultura americana è una parte importante della sua strategia esterna. Gli Stati Uniti hanno spesso utilizzato strumenti culturali per rafforzare e mantenere la propria egemonia nel mondo.

◆ Gli Stati Uniti incorporano i valori americani nei propri prodotti come i film. I valori e lo stile di vita americani sono un prodotto legato ai suoi film e programmi TV, pubblicazioni, contenuti multimediali e programmi delle istituzioni culturali senza scopo di lucro finanziate dal governo. Si forma così uno spazio culturale e di opinione pubblica  in cui la cultura americana regna e mantiene l’egemonia culturale. Nel suo articolo “The Americanization of the World”, John Yemma, uno studioso americano, ha esposto le vere armi dell’espansione culturale statunitense: Hollywood, le fabbriche di image design di Madison Avenue e le linee di produzione di Mattel Company e Coca-Cola.

Ci sono vari veicoli che gli Stati Uniti usano per mantenere la loro egemonia culturale. I film americani sono i più usati; ora occupano più del 70% della quota di mercato mondiale. Gli Stati Uniti sfruttano abilmente la propria diversità culturale per fare appello a varie etnie. Quando i film di Hollywood vengono diffusi nel mondo, urlano i valori americani a loro legati.

◆ L’egemonia culturale americana non si manifesta solo in “interventi diretti”, ma anche in “infiltrazioni mediatiche” e come “tromba per il mondo”. I media occidentali dominati dagli Stati Uniti hanno un ruolo particolarmente importante nel plasmare l’opinione pubblica globale a favore dell’ingerenza degli Stati Uniti negli affari interni di altri paesi.

Il governo degli Stati Uniti censura rigorosamente tutte le società di social media e richiede la loro obbedienza. Il CEO di Twitter Elon Musk ha ammesso il 27 dicembre 2022 che tutte le piattaforme di social media collaborano con il governo degli Stati Uniti per censurare i contenuti, ha riferito a Fox Business Network. L’opinione pubblica negli Stati Uniti è soggetta all’intervento del governo per limitare tutte le osservazioni sfavorevoli. Google spesso fa sparire le pagine.

Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti manipola i social media. Nel dicembre 2022, The Intercept, un sito web investigativo statunitense indipendente, ha rivelato che nel luglio 2017, il funzionario del comando centrale degli Stati Uniti Nathaniel Kahler ha incaricato il team di politica pubblica di Twitter di aumentare la visibilità di 52 account in lingua araba su un elenco che ha inviato, sei dei quali erano avevano la massima priorità. Uno dei sei era dedicato a giustificare gli attacchi di droni statunitensi nello Yemen, ad esempio affermando che gli attacchi erano precisi e uccidevano solo terroristi, non civili. Seguendo la direttiva di Kahler, Twitter ha inserito quegli account in lingua araba in una “lista bianca” per amplificare determinati messaggi.

◆Gli Stati Uniti praticano doppi standard sulla libertà di stampa. Sopprime brutalmente e mette a tacere i media di altri paesi con vari mezzi. Gli Stati Uniti e l’Europa escludono i principali media russi come Russia Today e Sputnik dai loro paesi. Piattaforme come Twitter, Facebook e YouTube limitano apertamente gli account ufficiali della Russia. Netflix, Apple e Google hanno rimosso canali e applicazioni russi dai loro servizi e app store. Sui contenuti relativi alla Russia viene imposta una censura draconiana senza precedenti.

◆Gli Stati Uniti abusano della loro egemonia culturale per istigare “l’evoluzione pacifica” nei paesi socialisti. Crea mezzi di informazione e attrezzature culturali che prendono di mira i paesi socialisti. Versa cifre sbalorditive di fondi pubblici nelle reti radiofoniche e televisive per sostenere la loro infiltrazione ideologica, e questi portavoce bombardano i paesi socialisti in dozzine di lingue con propaganda incendiaria giorno e notte.

Gli Stati Uniti usano la disinformazione come una lancia per attaccare altri Paesi, e vi hanno costruito attorno una catena industriale: ci sono gruppi e individui che inventano storie, e le spacciano in tutto il mondo per ingannare l’opinione pubblica con il supporto di risorse finanziarie pressoché illimitate.

Conclusione

Mentre una causa giusta ottiene un ampio sostegno da parte del suo sostenitore, una causa ingiusta condanna il suo persecutore ad essere un emarginato. Le pratiche egemoniche, prepotenti e atte ad usare la forza per intimidire i deboli, prendere dagli altri con la forza e il sotterfugio e vedere le relazioni internazionali come giochi a somma zero, stanno causando gravi danni. Le tendenze storiche di pace, sviluppo, cooperazione e mutuo vantaggio sono inarrestabili. Gli Stati Uniti hanno scavalcato la verità con il loro potere e calpestato la giustizia per servire il proprio singolo interesse nazionale. Queste pratiche egemoniche unilaterali, egoistiche e regressive hanno attirato critiche e opposizioni crescenti e intense da parte della comunità internazionale.

I paesi devono rispettarsi a vicenda e trattarsi da pari a pari. I grandi Paesi dovrebbero comportarsi in modo consono al loro status e prendere l’iniziativa nel perseguire un nuovo modello di relazioni tra Stato e Stato caratterizzato dal dialogo e dalla partnership, non dal confronto o dall’alleanza. La Cina si oppone a tutte le forme di egemonismo, di politica di potere e rifiuta l’ingerenza negli affari interni di altri paesi. Gli Stati Uniti devono condurre un serio esame di coscienza. Devono esaminare criticamente ciò che hanno fatto, abbandonare la propria arroganza e il proprio pregiudizio e abbandonare le usuali pratiche egemoniche, prepotenti ed intimidatorie.

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L’odio – Francesco Masala (2)

Trump parla di paesi di merda, Borrell dell’Occidente come giardino, mentre il resto del mondo è una giungla dalla quale difendersi, il senatore Usa John Kennedy dice che i messicani mangerebbero scatolette per animali e dormirebbero in capanne, se non ci fossero i vicini del nord, intanto il muro di confine con il Messico continua a essere costruito, da Trump a Biden

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