LA LINGUA RASCHIATA
(Roba del Pabuda…)
la lingua tedesca
ai tempi
della grande distruzione in Europa
non era quella del Volfango,
men che meno quella
del Martin Lutero.
sicché
quella roba che c’era là dentro
non l’ha imparata davvero
ma una sua eco
fin troppo precisa
gli è rimasta incisa
in quel libro segreto
dove ogni uomo del mondo
conserva i suoni più efferati
nella vita da bestia ascoltati
con gli accenti orrorosi,
le ipotesi peggiori
e gli incontrollabili timori:
una vera schifezza
d’irripetibile linguaggio:
raschiato a forza
dal selciato delle strade
a tutti sconsigliate,
dalle pareti dei cessi pubblici,
dalle sentine buie dalle stive,
un gergo alcolico
succhiato con gusto dagli sbirri
e dai sergenti, dai caporali
e dai cappellani,
dai volontari delle squadre
e da semplici reclute hitleriane
direttamente su dai tombini
e da certi scoli secondari
presso le birrerie del partito
e dei circoli ufficiali.
uno slango bestemmioso,
un gergo inospite
che parla sempre gridato:
vernacolo sozzo
arraffato alla borsa nera,
smerciato negli angoli
a buon mercato,
cucinato in caserme
in case chiuse e prigioni,
fatto ammuffito e marcio
in cucine abbandonate
colle pentole sporche
del rancio
rovesciate a terra
dai ratti.
una lingua disfatta
ch’a forza
di grida, calci, pugni,
marce, ordini e minacce
e insulti
riuscì a disciplinare nel caos,
infettando,
tramite contagio terrorista,
tutta la babele
di originariamente nobili
lingue, parlate, patois
e dialetti
nel campo per lo sterminio
concentrati