La «Miniera» di Rosalba Mariani

Montevecchio e il ‘900 in un migliaio di lettere: un romanzo epistolare di piccole storie e grande Storia
di
Maria Paola Masala
Alla nostalgia del passato Rosalba Mariani preferisce, per temperamento e per mestiere, quella del futuro. Fa parte di lei, però, un senso forte di appartenenza, quello che l’ha spinta ad adempiere a un dovere di testimonianza e a portare alla luce, dopo lunghi anni di sonno, un migliaio di lettere appartenenti alla sua famiglia. Un carteggio prezioso di affetti e memorie, lasciato in eredità dalla sorella maggiore alla più piccola, e ora diventato libro. Un romanzo epistolare che racconta le vicende di una famiglia vissuta all’ombra della miniera di Montevecchio, dove il padre, Attilio Mariani, è stato medico per cinquant’anni, dal 1908 fino al ’53, e cuce a doppio filo le molte storie di un microcosmo con la Storia del “secolo breve”.
TESTIMONIANZA. È una fotografia lucida, affettuosa e accattivante di un mondo che non c’è più, quella proposta dall’autrice di «
Miniera» (Carlo Delfino editore, 188 pagine, 20 euro). Una testimonianza viva e critica, e soprattutto una promessa mantenuta, quella che Rosalba fece a Silvia, la sorella-vicemadre, la maggiore dei sette fratelli: prendersi cura, alla sua morte, di quelle lettere che un giorno avrebbe ricevuto in eredità da lei. Avvenne così che qualche anno fa Rosalba, che da oltre quarant’anni vive a Milano, dove si occupa di comunicazione d’impresa, si trovò tra le mani un tesoro ingombrante e pieno di mistero. Scrivere per lei è un’abitudine professionale, e del resto proprio a Montevecchio anni fa ha dedicato una guida turistica. Senza quel lascito, non avrebbe mai pensato a un libro. Per un po’ trascurò le lettere, presa dagli impegni di tutti i giorni, poi in un periodo di pausa forzata (niente avviene per caso) se le ritrovò in mano, e decise di concedere loro una seconda vita: avrebbe scritto un romanzo. Mettendo sulla carta ciò che ricordava, immaginando cose rimaste nel vago, prendendosi un po’ la rivincita sul suo ruolo di piccola della casa, zittita troppo spesso dai grandi.
DAL 1909 AL 2000. Le lettere vanno dal 1909 al 2000, e raccontano molto più di quanto non scrivano. Vergate con rigoroso ordine e ricche di retorici preamboli le più antiche, più libere nella grafia e nei contenuti quelle del dopo Cocò (sì, mademoiselle Chanel ebbe anche questo merito). Ciascuna un pezzo unico, irripetibile, mai fotocopia una dell’altra come le email dei nostri giorni, che possiamo stampare, riporre in un cassetto, accarezzare anche, ma non distinguere al primo sguardo. Un rammarico, questo, presente nelle prime pagine del libro, insieme con la considerazione che la tecnologia ci ha fatto perdere quegli aspetti della vita più in armonia con lo scorrere del tempo. Un libro di memorie, dunque, per contrastare «l’orrendo presente» e per tessere, come i fili di una stessa matassa, la storia di una famiglia, la storia di una miniera, e la storia del Novecento.
PARADISO E INFERNO. A rendere particolarmente affascinante «
Miniera» (che è dedicato ai tre nipotini di Rosalba Mariani – Giulio, Matilde e Maria – ed è arricchito da un album fotografico) è Montevecchio: paradiso e inferno, infanzia dorata e solitudine, fiaba e fatica. Montevecchio è il sotto, fatto di sudore, paura, pericoli, ed è il sopra: la vita di una famiglia borghese, quella del dottor Attilio Mariani, composta da tre maschi e quattro signorine da sistemare. Un luogo fuori dal mondo, dove non ci sono automobili, dove la natura è bellissima ma la solitudine, per la nostra autrice bambina, morde lo stomaco. L’aiutano la fantasia, gli amici immaginari, il sogno. Cura la prefazione Giorgio Cosmacini, che giorni fa con Maria Pace Ottieri ha presentato il libro alla Libreria Claudiana di Milano. Uno storico della medicina, non a caso. Perché «Miniera» da un lato racconta del mestiere del medico, vissuto come servizio, della modernità degli strumenti a disposizione, e dall’altro tratta della vita di un popolo minerario che percepiva il dottore come «figura carismatica, per certi versi un po’ magica, tanto competente quanto affabile, accolta dai ragazzini con il grido festante di esti arribau su dottori».

«Se come romanzo famigliare il libro è coinvolgente» scrive Cosmacini «dal punto storiografico offre ai lettori la storia protomineraria di una Sardegna povera, laboriosa, dignitosa e fiera, che innesta nella propria tradizione agropastorale una vocazione industriale mirante a trarre dal sottosuolo risorse e benessere».
APPRODO NEGLI USA. «
Miniera» è approdato in America con una recensione di Niccolò d’Aquino su «America Oggi». Parla, in tempi di posta elettronica, «di un piccolo gioiellino controcorrente, in grado di riassumere nelle sue pagine, grazie a quelle lettere ritrovate, ricordi, storie, scambi di idee e di affetti ma anche di dolori e di sogni, insomma di vita vissuta…». Nelle lettere scorre tutto il “Secolo breve”, fra i grandi eventi e le piccole storie del quotidiano. «Riemergono figure straordinarie di nonne avventurose, di altre uccise dai banditi; risuona l’urlo della sirena che annuncia l’incidente mortale, esplode la gioia della fine della guerra, nella danza frenetica del boogie woogie».
STORIA DI DONNE. Un romanzo, questo di Rosalba Mariani, che traccia anche una piccola storia di emancipazione femminile. Un filo rosso che prende il via con la nonna, Silvia Mamberti, merlettaia in via Baylle innamorata di Valentino Cucca: rimasta incinta di Maria (la madre di Rosalba) ebbe il coraggio di attraversare mezza Sardegna per andare fino a Dorgali, a casa del futuro amatissimo marito. Prosegue con la madre, l’anima di tutto, e con la sorella Silvia, (che è poi la vera protagonista del libro, la responsabile di questo tributo): così moderna da sentirsi completa anche senza un marito, convinta com’era che un matrimonio senza amore non valesse poi molto. Si chiude infine con un ricordo commosso che riporta a Montevecchio, e a una sciagura del 1871: «…Anche le otto bambine-cernitrici che morirono per il crollo di un serbatoio, e tutte quelle che consumarono le loro ossa in miniera, sono lì ai piedi della Roccia del Leone, e aspettano che qualcuno parli di loro».

BREVE NOTA

Questa recensione di Maria Paola Masala è uscita il 21 marzo sul quotidiano «L’unione sarda» (db)

 

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