La narrativa sf italiana non è mai nata? -1

 

Di Mauro Antonio Miglieruolo

Su una pagina facebook, della quale non ho improvvidamente registrato l’indirizzo (non ricordo più nemmeno quale sia), tempo fa ho letto l’intervento che segue, al quale ho ritenuto di fornire una risposta che, in quanto di interesse generale, ugualmente riporto.

L’intervento:

LA NARRATIVA SF ITALIANA NON E’ MAI NATA E MAI NASCERA’. E’ UNA COSA BRUTTA DA DIRE? E’ VERO? …MA NEMMENO QUELLA FANTASY O HORROR SE E’ PER QUESTO…


05giu-aEVANGELISTI1La SF italiana, ed in generale la letteratura di genere fantastico scritta da italiani, è destinata a rimanere “fantascienza”.
In Italia lo dicono anche i giornali, i politici, gli allenatori di calcio e gli economisti, che ancor oggi quando voglio significare che una cosa non esisterà mai e poi mai dicono che è “fantascienza”.
Se usano specificatamente questa singolare allocuzione purtroppo ci sarà un perché…
Non è mai nata vuol dire che forse (ma forse), a parte i romanzi di Roberto Vacca usciti per la Mondadori alla fine degli anni ’70 negli Oscar, NESSUN SCRITTORE DI SF ITALIANO fin dai tempi di Gutenberg, ha ma superato le 10.000 copie di vendita e probabilmente neanche le 5.000.
Per quello che riguarda il Fantasy (per non parlare dell’Horror) gli scarsi numeri sono gli stessi, con la sola eccezione delle opere di Valerio Evangelisti, che sono state anche dei best sellers, ma sono state percepite dal pubblico che COMPRA, e promozionate dall’editore che VENDE come dei ROMANZI STORICI, con uno sfondo fantasy/horror/mistery, anche sull’onda del grande successo (quello sì reale) dei romanzi storici di Valerio Massimo Manfredi e Danila Comastri Montanari.
05giu-bQuando le radiciuc_080_aldaniNon fanno testo nemmeno i romanzi di italiani pubblicati su Urania, che pur essendo distribuiti in tutte le edicole del regno (il che in teoria è una vantaggio che nessuno ha) in ogni caso non hanno MAI superato le 5.000/7.000 copie di vendita.
Magari mi è sfuggito qualche dato o qualche eccezione, ma i numeri sono questi e sono parecchio scarsi, considerando che sono stato ASSAI LARGO con le stime delle copie massime vendute nella storia dell’editoria italiana.
Ciò non vuol dire che la letteratura fantastica di genere scritta da italiani non esista veramente, vuol dire però che NON ha nessun peso economico per gli editori grandi, medi e medio piccoli, che presidiano il mercato – e quindi in pratica non esiste.
Può essere al massimo d’interesse per i “pesci piccoli e piccolissimi” e senza grandi pretese che si muovono in un mercato comunque ristretto e di nicchia, mercato che dal punto di vista dei lettori è però ASSAI, ASSAI, ASSAI esterofilo.
Tutto ciò mi fa dire che la SF italiana, che comunque noi come Edizioni Scudo sponsorizziamo assieme ad altri generi “vituperati”, non è mai nata… purtroppo le cose stanno così, sorry… e non penso che vi siano gran soluzioni… voi ne avete (considerando che gli editori NON sono dame di San Vincenzo)?

L’intervento è stato seguito dalla seguente specificazione:


Short Stories Addendum – una riflessione: se uno fabbrica punte da trapano che fanno i buchi quadrati (che sarebbero anche utilissime) ma né i negozi di ferramenta e nemmeno i clienti dei negozi di ferramenta si fidano, e quindi non le comprano, le punte da trapano che fanno i buchi quadrati NON esistono, e questa non è una mia opinione è un fatto incontrovertibile.

Ecco la risposta parzialmente rimaneggiata che, in due momenti successivi ho ritenuto di poter dare:

05giu-ccome ladro di nottevcmiglier1Uno
Una precisazione, non tesa a rovesciare le tesi esposte ma per offrire un quadro più completo della situazione. Credo che oltre a Evangelisti anche Stefano Benni abbia superato le diecimila copie. Con loro molti italiani pubblicati su Urania nel corso delle prime eroiche annate. La limitazione nelle vendite di numeri di Urania dedicate agli italiani riguarda se mai gli anni più recenti, anni in cui tutti gli autori, anche quelli anglosassoni che vendono di più, non vendono certo molto di più. Non sono sicuro che “Quando le radici” di Lino Aldani, non abbia superato la fatidica cifra, ma è molto probabile. Inoltre aggiungendo al numero di copie vendute da “Come ladro di notte” in Urania Collezione, numero entro la media, quelle vendute con la prima edizione su Galassia (e poi da Pulp), viene ampiamente superata la fatidica soglia delle diecimila copie richiesta. Non mi soffermo poi sugli autori italiani che hanno scritto consapevolmente fantascienza pur se gli editori hanno stentato a riconoscere e ammettere il testo come fantascienza. Levi, ad esempio. Calvino, Berto ecc. Né dovrebbe importare per escluderli da questa singolare e speciale classifica, questa loro auto censura. Se l’abito non fa il monaco tantomeno lo fa l’etichetta. Il monaco è tale senza bisaccia per le elemosine e senza saio; la fantascienza è tale anche quando il pregiudizio e la convenienza dell’editore glissa sul suo essere fantascienza.
Accolgo inoltre quanto detto da Mariano Equizzi. E esplicito: se la FS italiana è ancora in uno stato di minorità non è dovuto tanto alla mediocrità del prodotto (che anzi in molti casi è eccellente: Quando le radici è romanzo di tutto rispetto, tradotto numerose volte), quanto alle scelte editoriali del passato, in cui si è assistito, e si assiste, a un permanente atteggiamento di “distrazione” alias pregiudizio, nei riguardi dei buoni autori che pure sono presenti (vedi Vitiello e Altomare e il già citato Benni ).
Non è l’offerta di buoni romanzi (e ottimi racconti) a scarseggiare; quello che scarseggia è il buon volere degli editori i quali, per pregiudizio o per pigrizia, preferiscono tradurre piuttosto che trovare, condannando in questo modo la fantascienza italiana a una condizione di inferiorità troppo pesante rispetto ai suoi meriti.

Due
05giu-dcyborg-supermanUna considerazione a proposito delle punte quadrate. Si tratta di una argomentazione dipendente dal vizio ideologico nel quale è incappata l’Italia, e la pervade, da qualche decennio a questa parte. E cioè l’utilizzo del metro della logica d’impresa per valutare e gestire fenomeni che in larga parte sfuggono alla logica d’impresa. Come conciliare infatti le necessità di cure da parte dei pazienti con quelle di chi sulla salute programma di guadagnare, e profumatamente? Un inconcepibile che è alla base dei molti guai dell’assistenza sanitaria in Italia. Introdurre la logica di mercato negli ospedali non è servito a migliorare i servizi e ne ha anzi moltiplicati i costi. Lo stesso è per la cultura in genere. Chi apre una impresa lo fa in primis per guadagnare, ma chi produce cultura lo fa soprattutto per passione; oppure perché indotto (persino costretto, a volte) dal proprio talento. Si tratta di realtà diverse che possono incontrarsi, ma solo se ognuna lavora nel rispetto dell’altra. Se la logica di massimizzare i profitti prevale, la logica che guida la produzione artistica si spegne. Non c’è scampo. In commercio non c’è spazio, è vero, per le punte quadrate, ma è lo stesso nell’ambito culturale? Anche nel nostro specifico, la fantascienza? Io affermo invece che le punte quadrate pullulano nella fantascienza.
Ma è in generale, nel più ampio spazio della cultura complessiva, che il principio dell’ammissibilità delle “punte quadrate” può essere valga. Nello spazio culturale l’accettazione di determinati prodotti dipende da un insieme di fenomeni che non possono essere valutati con il solo metro economico. Al massimo, ma dubito anche di questo, può valere per i prodotti commerciali. Quanto valore d’uso c’è, ad esempio, in una automobile o in un tablet e quanto invece utilità sociale? Quanto conta lo stile, la bellezza di una merce (che quasi mai è solo merce) e quanto la sua funzione? È chiaro che nella valutazione del consumatore entrano in gioco fattori non razionali che ne influenzano la circolazione altrettanto che quelli funzionali. Questo i pubblicitari lo sanno benissimo: quasi tutta la pubblicità è fondata “sulle punte quadrate”. Sono gli economisti che non lo sanno (o fingono di non saperlo; o che sono troppo fanatici per prenderlo seriamente in considerazione)
(segue qui in blog, alle ore 12)

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

  • Ciao Daniele.

    Solo una considerazione che mi gira per la testa da un po’ di tempo.
    Da quando vivo a Bologna, mi è capitato diverse volte di seguire interventi di Lucarelli, Machiavelli e diversi dei vari giallisti che orbitano attorno a questa città.
    Un concetto che loro ripetono sempre è che, un tempo, il giallo era considerato un genere di puro intrattenimento, senza grosse pretese. Inoltre era (come la fantascienza) un genere esterofilo.
    Il giro di boa è stato il fatto che questo gruppo di scrittori si sono raccolti attorno a Macchiavelli e hanno iniziato a lavorare insieme per promuovere i loro romanzi.
    Da quel poco che so della storia della fantascienza, invece, quello che c’è stata una continua divisione, polemica, guerriglia fra i vari scrittori, raccolti attorno alle varie riviste dell’epoca.
    Di certo la fantascienza ha delle peculiarità, rispetto al giallo, che ne ostacolano la diffusione in Italia (la presunta superiorità della cultura letteraria sulla scientifica, la concezione Crociana della letteratura, le difficoltà di alcuni testi per la loro ambientazione ecc.)
    Però credo che se si creasse un gruppo che partisse dall’esperienza del gruppo 13 per replicarla nel fantastico, qualche risultato si potrebbe ottenere.

    Un saluto
    Angelo

    • Rispondo io, Mauro.
      Caro Angelo, hai, come si suol dirfe, messo il dito sulla piaga. Il problema centrale (UNO dei problemi centrali della fantascienza) è il combinato disposto di un certo egocentrismo (che sconfina nel solipsismo), l’accentuata tendenza a chiudersi nel proprio piccolo spazio, una certa litigiosità.
      Una volta a Fiuggi ho parlato di collaborazione tra Case Editrici. Uno di queste ha definito la proposta, “una cazzata”: avevo solo proposto una sorta di club del libro, nel quale ogni editore faceva confluire i suoi libri migliori, assumendo l’impegno di pubblicizzarli sulle proprie edizioni. Una iniziativa rivolta a un pubblico più largo di quello che solitamente si occupa di fantascienza (ormai ridotto, quando va bene, a poche centinaia di persone).
      Può darsi che l’idea non valesse. Valeva però il principio di unire le forze.
      La stessa reazione, apatica e se non ostile, ogni volta che ho chiesto la collaborazione per una ricerca a più voci sulla fantascienza. Non è cosa.
      Meglio morire di inedia che confrontarsi con il prossimo più prossimo.
      Vedremo che sarà con le generazioni nuove. La mia è morta prima di morire.

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