La narrativa sf italiana non è mai nata? – 2

(seguito e fine)

Se, a differenza degli economisti fanatici del liberismo,


05giu-eCanetti-auto_da_feci liberiamo dai pregiudizi diffusi a piene mani, ci rendiamo conto di quanto ancor più valga tutto questa nella gestione di una casa editrice. La quale Casa Editrice non vale per i pochi mezzi operativi di cui dispone (scrivanie, sedie, computer ecc.): al massimo vale per le competenze prodotte, per i dipendenti che ha saputo valorizzare. Quel che la rende effettivamente valida è in ragione del catalogo che è riuscito a costruire (se è riuscito a costruirlo). Vale per tutto il suo ieri (se un ieri ha avuto), per l’oggi precario se nell’oggi sa muoversi; e vale per l’aleatorio futuro (programmi e progetti) se in esso riesce a proiettare il suo passato (l’esperienza acquisita) dimostrando capacità di innovazione e adattamento. Dopodiché il suo futuro sarà eccellente se il passato (la materia prima su cui lavorare) è stato eccellente, mediocre se il passato è stato mediocre.
Un secondo esempio. La logica d’impresa è fondata sull’immediato dei bilanci. Quella editoriale non può evidentemente sfuggire a queste strettoie, ma non può nemmeno (pena la marginalizzazione e la decadenza) appiattirsi su di essa. Bisogna pure che abbia una politica culturale, un filtro che le permetta di andare oltre le ristrettezze di bilancio e di proiettarsi sui possibili sviluppi di scelte da costruire per il medio e lungo termine (oltre a, naturalmente, trattandosi di un’impresa anche culturale, prevedere l’immissione in catalogo di libri che non rendono: le famose punte quadrate, che rendono prestigio, notorietà, fiducia). Pubblicare un testo come l’Auto da fè di Canetti è impresa sbagliata o corretta? Apparentemente sbagliata nel breve termine, furiosamente remunerativa sul lungo. Certo occorre lungimiranza, capacità di lettura. Occorre pazienza, coraggio. Occorre che l’impresa editoriale ponga a se stessa l’inclinazione a effettivamente dotarsi delle virtù che di solito si attribuiscono all’imprenditoria: e che a volte gli imprenditori hanno. Lungimiranza, appunto, accettazione se non amore per il rischio e, nello specifico, persino la capacità di affinare il gusto, in vista della creazione di un mercato per un certo prodotto (non d’essere sempre sul sicuro, dormire tra due guanciali e drenare risorse, infante eternamente attaccato alla mammella dello Stato). Unico azzardo (azzardo relativo) è l’essersi prodigati per piegare il gusto del pubblico in direzione della produzione anglosassone (musica, cinema, letteratura, fantascienza ecc.).
05giu-fEdizioni-Scudo-BannerQuel che si dimentica è che alle imprese, per ottenere risultati, occorre tempo; che le ottengono in genere sul medio periodo, anche se è invalsa la costrizione a ottenerli nel breve e brevissimo periodo (deformazioni conseguenti al trionfo del liberismo). In questa prospettiva del medio periodo dovrebbero necessariamente porsi le case Editrici. Nel recente passato lo hanno fatto, ottenendo risultati. Oggi l’ideologia e la logica ragionieristica imperante, impediscono che lo stesso indirizzo sia praticato. Con gli effetti disastrosi che tutti conosciamo.
L’ideologia e la logica ragionieristica: cioè l’esempio delle punte quadrate. Chi lo ha avanzato è pienamente convinto della sua validità, altrimenti non lo avrebbe sbandierato con tanta orgogliosa sicurezza. Eppure basterebbe poco per, uscendo dalla stretta evidenza (la stretta evidenza è il luogo eletto dove far prosperare le ideologie), ci si renderebbe conto che la realtà, anche quella capitalistica, è molto più complessa e sfaccettata di quella descritta dai riduzionisti a oltranza del liberismo economico. Che esistono molti possibili capitalismi, molte alternative alla gestione dell’esistente. In Italia, a esempio, quel poco di dirigismo introdotto nell’economia, quel poco di capitalismo di stato pur piegato agli interessi dei privati, ha prodotto la stagione più fertile della storia d’Italia, Una stagione che permesso di realizzare risultati di crescita economica, umana e sociale straordinaria. Una stagione favorita non depressa dall’espansione dei consumi, favorita non ostacolata dalla presenza di forti partiti di opposizione. Poi si è deciso di cambiare rotta. Le ragioni, anche qui, sono complesse. Sta di fatto che dal cambiamento di rotta in poi non solo alle masse sono stati imposti passi indietro neppure immaginabili negli anni settanta, ma la stessa economia capitalistica è andata in sofferenza e ben prima della crisi del 2007/2008; da almeno i primi anni ottanta. Dalla crisi della Fiat e relativa sconfitta della classe operaia, che anticipava il voltafaccia dei partiti di opposizione. Appare evidente allora almeno questo: che gli automatismi descritti dai liberisti non funzionano come sostengano. Che il libero mercato non è di per sé panacea di tutti i mali. Che se le leggi economiche capitalistiche non possono essere permanentemente violate (salvo 05giu-gedizioni scudo7a4adcequando si tratta di spese militari, evasione contributiva e fiscale, svendita del patrimonio pubblico e corruzione a oltranza), si possono però imporre limiti al dispiegarsi delle “leggi” del mercato. Che, soprattutto, basta osservare con occhio sincero, il libero mercato è moltiplicazione delle offerte delle “punte quadrate” non loro esclusione. È moltiplicazione di truffe, merci scadenti, prezzi esosi, guadagni illeciti.
Questo nel settore concreto, tangibile delle unità produttive dedicate alle merci materiali. Figuriamoci quel che può esserci nel settore dei beni immateriali! Nella cultura in genere e nelle arti in particolare, dove invece sembra che per le “punte quadrate” non vi sia (non vi debba essere) spazio alcuno di sussistenza.
Ora, tornando al tema dei valori non meramente consumistici, la costatazione della carenza di spazio per una certa produzione può e deve essere superata dalla lungimiranza di chi ha in mano gli strumenti per rendere possibile che il mancato successo di oggi diventi quello di domani. Non ci si può, né deve fermare di fronte al pregiudizio ideologico delle “punte quadrate” (i Capitani d’Industria spesso non fanno altro teorizzare l’inammissibilità di queste punte, salvo spacciarle loro stessi alla prima occasione). Non a caso i momenti più alti di produzione artistica corrispondono a quello in cui esistono grandi mecenati, che investono proprio nel settore che, a sentire certi ministri d’oggi, meno di tutti meriterebbero attenzione. Non a caso oggi che prevalgono le logiche ragionieristiche, la cultura in sé, l’arte in sé consoce momenti di speciale difficoltà.
Certo nessuno può permettersi di spingersi troppo oltre negli investimenti sul futuro. Sul possibile valore di un’opera domani, o sul possibile valore di un’opera da valorizzare (questo dovrebbe anche essere l’attività di una casa editrice). Bisogna porsi limiti, contemperare le diverse esigenze: esigenze che sono tutte quante economiche. Occorre però mettere in chiaro, gridarlo se necessario, che anche in regime capitalistico la politica del giorno dopo alla lunga non paga. In qualunque ambito venga praticata.
Tuttavi
a è chiaro che lungimiranza e coraggio sono doti che non si possono imporre. O le si ha e si provvede a svilupparle, oppure no. Se uno ha fame di soldi, non può stare che in questa sua fame di soldi, che lo porterà o alla delinquenza o all’estinzione. Se accetta e giustifica questa fame di soldi, si mantenga pure alle sue giustificazioni. Non accampi però impossibilità che non esistono. Non chieda aiuti che non gli spettano. Non si offenda se qualcuno indica loro stessi quali responsabili dei vicoli ciechi in cui finisce per trovarsi questa o quel settore artistico (vedi calo dei lettori, tanto per dirne una). Non sarà certo mediante l’invasione di testi derivanti da culture estranee alla nostra che questi miopi salveranno se stessi e il loro specifico ambito d’attività. Deriverà la salvezza da queste traduzioni in una con la valorizzazione dei prodotti di casa nostra.
Per il resto, fatto questo, so bene di chi parlo. Di certi che non vedono di là dal proprio naso. Furbi sì, opportunisti anche, ma non dotati di quell’intelligenza in grado di portare se stessi lontano e l’umanità intera un poco più avanti. Di costoro ammetto, non posso altro, le motivazioni. Intaschino pure i loro amatissimi soldi, ma si assumano anche la responsabilità dei loro atti. Sarebbe già molto. Un buon punto di partenza. Assumersi la responsabilità, cioè intascare e se non farsi da parte, lasciare un po’ di spazio a chi, ai pochi, consapevoli delle possibilità differenti di gestione dell’esistente che pure esistono, per dar luogo a iniziative 05giu-gpremio-italiadifferenti che prevedano la diffusione di punte quadrate, oltre che rotonde: non potrà che beneficiarsene l’intera collettività.
Concedetemi un’ultima osservazione. I problemi messi in evidenza in questa pagina e anche altri che potrebbero essere trattati, sono tutti fondati, ma fondati sulle generali tendenze regressive della società in cui viviamo, e che in gran parte subiamo. Su queste tendenze, non mi faccio illusioni riformistiche, le possibilità nostre d’intervento sono scarse, quasi inesistenti. C’e però un aspetto che dipende interamente dalla nostra buona volontà e inventiva, un aspetto che potrebbe riparare molte falle dell’editoria, in special modo dell’editoria di fantascienza. Questo problema è determinato dalla storica incapacità degli addetti ai lavori di, pur conservando i propri punti di vista, trovare punti in comune attorno ai quali unirsi per allargare le possibilità e prospettive di tutti. Non parlo di una specie di lobby. Parlo di iniziative culturali, di sostegno reciproco, di affermazioni in positivo di se stessi e non contro. Di valorizzazione di ciò che merita di essere valorizzato. Nonché di intervento sui media per correggere, per chiarire, per informare e incalzare. In realtà tutto quanto è lasciato alla buona volontà di questo o quell’individuo, questo o quell’editore. Basti pensare a cosa è stato permesso diventasse il Premio Italia, del quale giustamente si è parlato in termini piuttosto severi. E qui, su questo punto, pongo un interrogativo. Pur essendo l’unico premio a livello nazionale da molti anni, come mai non c’è stata nessuna reazione collettiva che abbia finito con lo sfociare, i mezzi oggi ci sono, in un premio alternativo degli scrittori? con regole certe per prevenire nepotismi, favoritismi e altri ismi? Siamo vincoli o sparpagliati? chiederebbe a questo punto Totò. Non occorre evocare un nuovo Totò per ottenere risposta. Se la può dare ognuno.
Mauro Antonio Miglieruolo

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

  • Fabio Troncarelli

    Per dirla alla romana: Miglieruolo c’ha popo raggione!!!!
    Fabbio

  • Fabio Troncarelli

    Per essere più precisi e non disgustare i conformisti che storcono il naso se dico le cose alla romana: io mi sono fatto due conti tutte le volte che ho potuto verificare le vendite di libri che ho scritto, attraverso precisi resoconti delle case editrici e attraverso calcoli personali. Se qualcuno dice che ho pubblicato libri di nicchia lo invito a calcolare i proventi che derivano dall’esaurimento totale di tutte le copie pubblicate di alcuni testi di nicchia letterari e non. Nei casi frequenti di esaurimento delle copie di testi non letterari in 5 anni o al massimo 10, con riedizioni di testi, il ricavo della casa editrice è stato di almeno dieci volte il costo del libro (ho dati precisi). A proposito dell’unico caso fortunato di un testo di natura letteraria arrivato, credo, alla sedicesima edizione in circa trent’anni con Garzanti, lascio al benevolo lettore il compito di calcolare il ricavo annuale. Ora, io non sono nessuno o quasi: non vado in Tv, non partecipo a premi letterari famosi e non sono amico degli amici. Eppure, nel mio piccolo, qualche soldino a questi assatanati di editori gliel’ho fatto guadagnare. O no? Pensate quello che può fare qualcuno che ha più requisiti di me. Se questo è vero il discorso delle 10.000 copie vendute è fasullo e ipocrita. Moltiplicate i guadagni di ogni singolo autore che vende appena il necessario e ve ne renderete conto. Controprova: ho avuto modo di intervistare uno dei più importanti responsabili della Fayard dopom la pubblicazione in Francia di un’opera di Ratzinger. Era al settimo cielo perché aveva venduto poco meno di 50.000 copie. Da noi Ratzinger vende molto più di 100.000 copie anche perché tutti gli orfdini religiosi e tutte le biblioteche di ispirazione cattolica lo comprano. E non basta neppure questo. Il punto è che se da noi gli editori pensano solo a imprese megalomaniche, come l’acquisto di giornali, reti televisive e compagnia bella poi non hanno più risorse da investire negli autori.

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