La natura è stata buona con noi?

recensione e divagazioni sul bellissimo «L’equazione impossibile» di Mario Livio (in edicola per qualche giorno), su Evariste Galois, su Niels Henrik Abel e su molto altro.

Teoria dei gruppi, Giano, jeans, film di fantascienza, Bach, giochi d’azzardo, neve, algebra, «le tre gambe che corrono», gestalt, Einstein, il mio amato Fibonacci, Escher (c’è sempre), «Potresti dare la cera Timothy» (ma funziona solo in inglese, in italiano dovete trovarla voi), Einstein, il basket, Nixon e la chiamata di leva del 1970 (per la guerra nel Vietnam), i muoni, Rubik, la strana domanda «quando ferma New York a questo treno?», le palle da biliardo, anime gemelle, l’amigdala, le pulci, quadri da raddrizzare subito per non perdere il senno, Richard Feynman, la difficoltà nel disegnare le nuvole, la paura (che ci priva del ragionare come disse Edmund Burke)… tanto per incuriosire.

Incontriamo anche l’equazione cubica del matematico bolognese Scipione Dal Ferro (sto controllando se è parente del Riccardo Dal Ferro che ogni tanto incrociate in blog) e una frase di John Yeats: «Nessun ragionamento astratto ci avrebbe portato a scoprire le proprietà e gli usi del ferro» (escluderei, visto il cambio di vocale, che questo “del ferro” abbia a che fare con il Riccardo citato).

E ancora saltellano nel libro: la sfida (truccata?) fra Tartaglia e Ferrari, Durer, un improbabile detective uruguaiano, Swift, il gioco del 15 («introdotto fra il 1870 e il 1880» ma ancora resiste), Chomsky, i complessi matrimoni fra i Kariera australiani,

Enrico Fermi, i bosoni, santa Cecilia, Howard Gardner.

Aggiungete i versi di Alexander Pope: «La Natura e le sue leggi giacevano nascoste nella notte, Dio disse: “Sia Newton e tutto fu luce”». O il quark, «una parola che combina il latrato del cane e lo stridio del gabbiano, coniata da James Joyce». O l’indovinello che si trascina dal papiro di Ahmes alle filastrocche di Mamma Oca.

E ancora l’ammonimento che Albert Einstein infilò in un discorso del 16 febbraio 1931: «La preoccupazione per l’uomo e il suo destino deve sempre costituire il principale obiettivo di tutti gli sforzi tecnologici […] affinché le creazioni della nostra mente siano una benedizione e non una maledizione per il genere umano. Non dimenticatevi mai di questo nel mezzo dei vostri diagrammi e delle vostre equazioni». La bomba atomica è ancora lontana eppure…

Poco sopra ho scritto «saltellano» suggestionato dalle 7 configurazioni matematiche «che corrispondono ai modelli di orme ottenibili ripetendo ognuna di queste operazioni: saltellare su un piede solo, camminare, saltare, camminare lateralmente, saltellare su un piede solo ruotando, camminare lateralmente ruotando, saltare ruotando». Proverò ad applicare queste 7 orme… in un prossimo post.

Quanto mi piacciono le storie che come le famose scatole cinesi ne racchiudono altre oppure i libri che come un pozzo pazzo (o il marsupio dell’Eta Beta amico di Topolino) contengono di tutto, stranezze incluse, come del resto accade in certi universi o persino nelle nostre migliori vite. Proprio per questa ricchezza caotica, titolo e sottotitolo del libro di Mario Livio risultano incompleti: «L’equazione impossibile» e «Come un genio della matematica ha scoperto il linguaggio della simmetria» rivelano solo un frammento di quello che troverete.

In mezzo a 10, 100, 1000 storie e suggestioni, al centro di «L’equazione impossibile» spiccano due matematici, anzi due «supernove» cioè due stelle che esplodendo «emanano per breve tempo una luce maggiore rispetto ai miliardi di stelle della galassia» vicina. Uno è il francese Evariste Galois, ucciso a 20 anni in un duello-provocazione: era «romantico e geniale». L’altro il norvegese Niels Henrik Abel, morto a 26 anni: poverissimo, «timido e geniale».

Conoscevo abbastanza bene la storia di Galois perché Riccardo Mancini – molte scoperte matematiche gli devo – me ne parlò e nel 1973 mi fece vedere «Non ho tempo» il bel film di Ansano Giannarelli, scritto con la consulenza del matematico Lucio Lombardo Radice e di Edoardo Sanguineti. Ho l’impressione che Mario Livio non abbia visto il film. Quel «non ho tempo» è una frase sprezzante contro gli accademici attribuita a Galois.

A proposito del non avere tempo, escludevo – visti gli impegni concentrati in questi due mesi – di leggere adesso questo libro. Ma per una benedetta/maledetta insonnia l’ho cominciato e sono arrivato all’ultima pagina. Vale come polemica con quelle/i che dicono “io leggo solo romanzi chè i saggi sono noiosi”; eh no, dipende dai saggi (e dai romanzi).

Trovate «L’equazione impossibile» ancora per qualche giorno dai giornalai: è il penultimo della bella serie «La matematica come un romanzo» che il (brutto invece) «Corriere della sera» ha “cangurato” nelle edicole a prezzi accettabilissimi, cioè 7.90 euri: questo a esempio (scritto in inglese e tradotto da Sara Beltrame, Emanuela Cervini e Andrea Zucchetti) ha quasi 400 pagine. Della serie ho parlato più volte in blog.

Critiche e dubbi a Mario Livio da parte dell’attento lettore db? In definitiva una sola: non mi convince a esempio, nell’interessante parte sulla percezione della bellezza, l’uso della categoria «razze diverse»… visto che le razze non esistono. Spero sia una distrazione e non… un convincimento errato.

«Una macchia d’inchiostro su un pezzo di carta non attira particolarmente lo sguardo ma se pieghiamo il foglio prima che l’inchiostro si asciughi…» così inizia il libro che si chiude con i versi di Emily Dickinson.  Proprio in coda (di cometa?) vedo che l’astrofisico Mario Livio lavora presso lo Space Telescope Science Institute. Lo dicevo io che era un lontano parente della mia amatissima (sonda) Rosetta.

 

Redazione
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