La natura presenta i conti, comunque
articoli di Andrea Barolini, Loris Campetti, Maurizio Marchi, Antonio Fiorentino
Non salveremo il clima senza l’intervento degli Stati – Andrea Barolini
Consiglio per chi vincerà le elezioni. Di qualunque schieramento voi siate, quali che siano le vostre idee in economia e quale che sia la vostra storia politica, sappiate che non solo nel mondo accademico, ma anche nelle grandi organizzazioni internazionali notoriamente non invise ai mercati, la questione della necessità di un intervento pubblico è ormai sdoganata.
La storia recente e il ruolo dello Stato
Ce l’ha insegnato la crisi del 2008. Perché senza azioni immediate da parte dei governi il crollo della finanza avrebbe trascinato con sé le economie del mondo intero (e in parte lo ha comunque fatto). Ce l’ha ribadito la pandemia. Perché senza interventi immediati di sostegno a cittadini e imprese non ne saremmo mai usciti (e in parte ancora stiamo cercando di farlo). E infine lo conferma oggi la crisi energetica, con gli esecutivi di tutta Europa che si apprestano a massimi piani di aiuti.
Ma ancor di più ce lo dimostra la crisi climatica. Perché senza un massiccio, profondo e determinante intervento pubblico non sarà possibile stimolare i finanziamenti privati necessari per la transizione ecologica. A partire da quelli di banche e fondi d’investimento (ovvero di quel mondo nel quale ancora circolano immensi capitali).
Elezioni, crisi di vario genere, ruolo dello Stato, economia, cambiamenti climatici. Per unire i fili di tutti gli aspetti evocati è utile un’analisi pubblicata il 19 agosto dal Fondo monetario internazionale. Firmata dalla direttrice generale Kristalina Georgieva e dal direttore del dipartimento dei Mercati monetari Tobias Adrian. Secondo i quali «il settore pubblico deve rivestire un ruolo centrale nello stimolare i finanziamenti privati per la transizione».
«I cambiamenti climatici – hanno spiegato i due dirigenti – rappresentano una delle principali sfide in materia di politica macroeconomica e finanziaria che occorrerà affrontare nei prossimi decenni. Le recenti impennate dei prezzi dei combustibili e dei prodotti alimentari, con i rischi sociali ad esse connessi, evidenziano quando sia importante investire nelle energie verdi. E rafforzare la resilienza di fronte agli shock».
Secondo le stime dello stesso FMI, saranno necessari di qui al 2050 fino a 6mila miliardi di dollari, per attuare i cambiamenti di cui il mondo ha bisogno per scongiurare il peggio. Ad oggi ne sono stati stanziati 630, e solo una piccola parte è stata destinata ai Paesi in via di sviluppo. Che sono i meno responsabili della crisi climatica, pur patendone spesso le peggiori conseguenze.
Per salvare il clima dobbiamo mobilitare 6mila miliardi di dollari
«Abbiamo bisogno di una svolta per ottenere maggiori finanziamenti pubblici e ancor più privati. Con 210mila miliardi di dollari di asset finanziari nelle mani delle imprese, ovvero due volte il Prodotto interno lordo del Pianeta, la grande sfida dei responsabili politici e degli investitori sta nell’allocare la gran parte di questi fondi a progetti di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici».
Per riuscirci, Georgieva e Adrian sottolineano la necessità non solo di un rinnovato impegno dei governi, ma anche delle banche multilaterali per lo sviluppo e delle partnership tra pubblico e privato. Gli Stati, in particolare, secondo i due dirigenti «possono mostrare l’esempio, stabilendo regole per agevolare le decisioni dei privati, valutare i rischi ed evitare il greenwashing». L’esempio, chiede il FMI. Esattamente il contrario di quanto fatto finora dai governi di 51 Paesi ricchi, che hanno concesso al settore delle fonti fossili 700 miliardi di dollari nel 2021, raddoppiando la cifra rispetto all’anno precedente.
https://valori.it/clima-intervento-pubblico-fmi/
L’Italia va a fuoco o sott’acqua: non è il destino cinico e baro – Loris Campetti
L’Italia va a fuoco, o va sott’acqua. È il destino cinico e baro, una tragedia imprevedibile, irrefrenabile nella sua furia. Forse qualcuno che ci odia ha lanciato una fatwa contro di noi che ci siamo limitati ad azzerare le risorse destinate a mettere in sicurezza fiumi e boschi e montagne. Il presidente della Regione Marche Acquaroli deve aver pensato che i pochissimi milioni destinati a dragare il fiume Misa e le sue sponde potessero essere meglio utilizzati per salvare vite, quelle dei feti, i bambini mai nati. Certo, c’è un prezzo da pagare ed è la vita dei bambini, delle donne e degli uomini già nati e uccisi dalla forza della natura e dalla cinica violenza della politica. Politica fascista, che ha doppiato sciatteria e incapacità di pensare al futuro della politica di centrosinistra. Così il Misa ha sfondato gli argini negli stessi punti di otto anni fa. Ha ragione Carlin Petrini, costretto a prendere atto della sordità e della cecità della politica rispetto alla necessità di risanare e tutelare l’ambiente, la natura e gli uomini, donne e bambini già nati: «Una cosa voglio chiedere ai politici, di avere almeno il pudore di non indignarsi. Perché la loro indignazione fa male alle vittime e all’Italia che viene violentata».
Le Marche, ancora una volta vittime, come nelle alluvioni precedenti, come nel terremoto e nella gestione indecente della ricostruzione subappaltata a finte cooperative che per rispettare i tempi facevano lavorare i dipendenti come bestie, arrivando a nascondere infortuni e persone già nate e presto morte sul lavoro.
Prima delle inondazioni c’è la siccità e, con la siccità, gli incendi, il fuoco che non è certo purificatore visto che distrugge la vita di piante ed esseri umani. Allora noi che facciamo, invece di prevenire e difenderci investendo sui mezzi necessari a sconfiggere le fiamme? Non ci dotiamo di più Canadair, no: compriamo i caccia multiruolo da combattimento detti F35, 21 già acquistati dentro un contratto che ne prevede 90 (novanta). Un F35, equipaggiamento di base, costa 99 milioni di euro, 106,7 quelli più attrezzati per svolgere meglio lo sporco lavoro della guerra. Sapete quanto costa un Canadair, l’aereo che si riempie la pancia di acqua per poterla scaricare sugli incendi? 25 milioni di euro, sempre nel modello base. Con la spesa per un F35 ci si potrebbe dotare di quattro Canadair. Ma che volete, bisognerà pure ammodernare la flotta dell’aeronautica, ed ecco 14 miliardi (miliardi) messi in preventivo per raggiungere lo scopo. Ma è tutto l’apparato militare che va ammodernato, tantopiù dopo la consegna di materiale bellico all’Ucraina che ha alleggerito i nostri arsenali (oltre che i nostri granai, come direbbe il compianto presidente Pertini) con una spesa che salirà al 2% del prodotto interno lordo. Capirete dunque che non si possono spendere soldi per dragare fiumi, rafforzare argini, liberare dal cemento che ha persino spinto a interrare i fiumi nelle zone più fragili, rimboscare, riparare gli acquedotti colabrodo e via risanando. Abbiamo altre priorità e attenzioni, cosicché persino i 18 miliardi a disposizione dell’Italia per la messa in sicurezza del territorio entro il 2030 restano in attesa sotto un materasso di inettitudini, con decisori ciechi e sordi come dice Petrini.
Le nuove generazioni sono più sensibili ai temi ambientali; è normale, hanno più futuro davanti a sé, almeno in teoria, disastri naturali e innaturali come calamità e guerre permettendo. Li sfottono chiamandoli “gretini” perché vanno dietro all’attivista Greta Thunberg. Si prevede che più del 50% dei giovani dai 18 ai 24 anni non andrà a votare. Altro che qualunquisti, altro che gretini: non credono a questa politica cieca e sorda. Fanno bene a disertare le urne, con i fascisti in corridoio, e nelle Marche già in camera da letto? Credo di no, ma li capisco. Capisco che, se dopo l’ennesimo disastro di Senigallia il presidente della Regione Marche Acquaroli viene nominato commissario per l’emergenza dal capo della protezione civile Curcio, la poca fiducia rimasta va a farsi benedire. Il lupo messo a guardia del gregge, è un po’ troppo anche per gli stomaci forti. Se tutti, almeno chi ha antiche reminiscenze di sinistra, ci sforzassimo di capire le loro ragioni, di aprire gli occhi e le orecchie, forse riusciremmo a far fare un passo avanti alla politica. Ammesso di essere ancora in tempo.
IL S.I.N. DI LIVORNO BOMBA ECOLOGICA DELL’ALTO TIRRENO
Maurizio Marchi – Medicina Democratica
Antonio Fiorentino – perUnaltracittà
L’area industriale/portuale di Livorno e Collesalvetti è una delle più inquinate d’Italia se non del Mediterraneo e da tempo è stata inserita tra i Siti di Interesse Nazionale (SIN), ossia porzioni del territorio nazionale di particolare pregio ambientale, caratterizzati da “elevato rischio sanitario ed ecologico in ragione della densità della popolazione o dell’estensione del sito stesso” e da sottoporre quindi a bonifica integrale.
A partire dal 1998 sono stati individuati ben 42 SIN, tra cui quelli di Taranto, Gela, Piombino, Priolo, Sulcis Iglesiente, e tanti altri ancora, tali da configurare una preoccupante mappa dei veleni d’Italia, sempre più diffusi, letali ma sempre più trascurati dalle autorità governative e locali.
Non è un caso che la superficie del SIN di Livorno, da sottoporre a bonifica sia passata dagli iniziali 2.024 ettari (di cui 1.433 marini e 509 di terra) agli attuali 206 ettari (solo di terra). È molto grave che l’intera area portuale sia rimasta al di fuori della perimetrazione.
E’ una contrazione che si commenta da sola e che invece la Regione Toscana sbandiera come “nuove opportunità” per i territori coinvolti, come quello relativo alla Piattaforma Logistica Integrata Toscana (Darsena Europa), reso possibile quindi dalla semplificazione amministrativa e dalla minore attenzione alle condizioni ambientali e sanitarie dell’area livornese.
Non è un caso che le aree marine del SIN siano state sottratte al controllo ministeriale e derubricate in SIR (Siti di Interesse Regionale) sotto il diretto controllo della Regione Toscana, non per questo più sicuro ed efficace di quello ministeriale.
È proprio in quelle aree marine che si celebra in questi mesi il gigantismo infrastrutturale della Darsena Europa e dei relativi collegamenti ferroviari con l’Alta Velocità nazionale e addirittura con i Corridoi infrastrutturali europei, da più parti contestato visto l’ingente impatto ambientale e finanziario delle stesse opere previste.
Ancora una volta siamo di fronte ad opportunità di risanamento ambientale e di riduzione del danno sanitario completamente disattese in nome di una perversa logica dello sviluppo “costi quel che costi”, cui gli amministratori locali non si sottraggono, inebriati da faraonici progetti ormai vecchi, obsoleti, antistorici, che le nuove condizioni climatico/ambientali stanno dimostrando del tutto improponibili e altamente distruttivi.
E’ comunque il caso di ricordare, sottolineare e denunciare che nonostante la riduzione del SIN, solo il 5% della sua superficie (pocopiù di 10 ettari) è compreso in un progetto di sicurezza/bonifica dei terreni approvato, mentre neanche un solo metro quadro ha visto la conclusione del procedimento. Analoga è la situazione per quanto riguarda la bonifica delle acque di falda!
Insomma, a distanza di vent’anni dalla sua istituzione, stiamo assistendo da un lato allo smantellamento degli ambiti di intervento delle bonifiche (area portuale compresa) mentre, dall’altro, dobbiamo constatare che, tradendo gli assunti iniziali (1998) di istituzione dei SIN, nessuna operazione di bonifica sia mai stata condotta o portata a termine! Le condizioni sanitarie quindi peggiorano, la popolazione locale si ammala, contrae, come vedremo, patologie tumorali.