La nuova Gerusalemme in Nicaragua

In Nicaragua è presente una forte vocazione dinastica da monarchia ereditaria per “volontà divina”. 

di Bái Qiú’ēn

Dopo la sconfitta elettorale [del 1990], sorsero contraddizioni all’interno della nostra organizzazione, quando si mise in discussione l’autoritarismo; le modalità di gestione burocratica; settarismo; stili di vita in contrasto con la situazione del Paese; comportamenti invadenti e abusi di potere, tra gli altri errori e debolezze (Daniel Ortega, Informe central de la Dirección Nacional del FSLN, luglio 1991, p. 34).

«L’inventore Ciudakov ha scoperto una macchina del tempo capace di trasportare la gente nel futuro e di farla tornare indietro. L’invenzione non riesce a oltrepassare le forche della burocrazia e l’ostacolo principale è rappresentato dal compagno Pobiedonosikov, direttore generale per il coordinamento. Il compagno Pobiedonosikov in persona si reca a teatro, vede in scena se stesso e afferma che nella vita le cose si svolgono diversamente. Giunge dal futuro, sulla macchina del tempo, una donna fosforescente, incaricata di selezionare gli elementi migliori per trasferirli nel ventunesimo secolo. Tutto felice, Pobiedonosikov si è già preparato il foglio di via e le credenziali, come anche le diarie di missione per una media di 100 anni. La macchina del tempo spicca il volo verso il futuro a passi quinquennali, decennali, trasportando operai e lavoratori e lasciando dietro di sé Pobiedonosikov e altra gente che gli somiglia».

Questa è la trama della commedia Баня (Il bagno) del 1929-’30, satira in tre atti di un mondo popolato di burocrati e filistei che colpiscono e bloccano irrimediabilmente la società, secondo le parole del suo stesso autore: Vladimir Majakovskij.

Sarebbe fin troppo facile fare paralleli tra la vecchia URSS e il Nicaragua nel “campo” della burocratizzazione, ma basta dire che il sistema burocratico-amministrativo del piccolo Paese tropicale fu impiantato proprio dai sovietici negli anni Ottanta e se a questo fatto storico innegabile aggiungiamo che le farraginose e contorte pratiche burocratiche ormai ex sovietiche vivano e siano tuttora applicate “alla latinoamericana”, chiunque si può rendere conto della totale inefficienza del sistema.

A oltre quarant’anni dalla vittoria militare del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN), è necessario porsi alcuni interrogativi e tentare un bilancio dell’eredità di una Rivoluzione che senza il sostegno popolare difficilmente avrebbe potuto trionfare.

Occorrerebbe troppo spazio e tempo per affrontare compiutamente questa analisi e, del resto, taluni aspetti li abbiamo già descritti in articoli precedenti. Preferiamo perciò soffermarci sull’abbandono dell’ideologia originaria del Fronte Sandinista e delle connesse promesse di redistribuzione della ricchezza e di progresso sociale promosse negli anni Ottanta che continuano a essere propagandate nell’attualità (tali e quali, come se non fosse passato qualche decennio e il mondo non fosse profondamente cambiato) ma puntualmente disattese, fino a trasformare il FSLN in una forza politicamente di destra ed economicamente neoliberista, piuttosto che permettere il ritorno al potere della destra oligarchica libero-conservatrice. Una parabola che pare abbastanza comune alla sinistra mondiale, a cavallo tra i due millenni. Con in più, in Nicaragua, una forte vocazione dinastica da monarchia ereditaria per “volontà divina”. Per quanto sia innegabile che nel corso della sua storia dal 1961 in poi, il FSLN sia riuscito ad adattarsi alle varie contingenze storico-politiche, da anni sono comuni le immagini spesso grottesche della famiglia (la coppia regnante, i loro otto figli con consorti e nipoti) messe in scena in diverse cerimonie pubbliche e i ruoli chiave attribuiti a ciascuno dei loro eredi in diversi canali televisivi, agenzie pubblicitarie e nel mondo degli affari e del governo.

A ciò si deve aggiungere il ruolo, più importante ogni giorno che passa, dell’onnipresente Rosario, «la compañera eternamente leal», sui mezzi di comunicazione, dettando l’ordine del giorno delle mobilitazioni “popolari”. Onnipresente e onniscente, appare in ogni istante dando istruzioni e imponendo direttive su qualsiasi argomento, tanto che i nicaraguensi, con un certo sarcasmo, sottolineano che è un’esperta di tutto, compresa la meteorologia, la floricultura e l’allevamento dei lombrichi. Mentre Daniel, eterno leader indiscusso e indiscutibile di un partito ormai foggiato a sua immagine e somiglianza, si dedica a interventi ditirambici sulla strenua e immane lotta contro il perfido imperialismo statunitense, ripetendo da anni lo stesso discorso ormai logoro, semplicemente “attualizzato” in base agli eventi. Mai manca il ricordo negativo di William Walker né quello positivo di Augusto C. Sandino, riciclato in varie salse.

Daniel e Rosario: una splendida coppia di «egocrati» che pretendono di incarnare le aspirazioni dell’intero popolo nicaraguense saecula saeculorum, al quale offrono da quasi un ventennio la visione messianica di un “nuovo” Paese come i primi cristiani offrivano la nuova Gerusalemme in terra: «E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”» (Apocalisse, 21:5). Poi, quei primi cristiani capirono che poteva essere solo celeste, collocata tra le nubi dell’Empireo dove l’anima ma non il corpo avrebbe vissuto la vita eterna senza affanni né pene. Se la nuova Gerusalemme tropicale, splendente «come una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino», non si può realizzare, la responsabilità è esclusivamente del potente vicino del Nord. Contro il quale lo stesso Daniel, nel corso di un incontro con il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian, ha auspicato che «en este Mundo lo que cabría es que todos buscáramos cómo tener nuestra armita atómica para que nos respeten, porque ahí sí respetan cuando saben que a ese que quieren aplastar tiene el arma atómica» (2 febbraio 2023). Non solo è rimasto fermo alla Guerra fredda e al vecchio mondo diviso in due blocchi troppo simili per potersi combattere davvero a livello ideologico, ma riesce pure a rispolverare la corsa agli armamenti nucleari auspicandone la globalizzazione, come se in giro non ce ne fossero più che a sufficienza per distruggere il pianeta varie volte.

I reiterati «gracias a Dios», «Dios mediante» e «primero Dios» che caratterizzano ke omelie pubbliche di Rosario non ingannano più nessuno al di fuori della ristretta cerchia dei suoi imberbi e poco acculturati sostenitori. Pur con un linguaggio preso in prestito dal Cristianesimo, non sono espressioni di devozione a un Dio onnipotente e onnisciente, quanto piuttosto simboli di una nuova fede nel destino provvidenziale, incarnazione e specchio del «Nuovo Nicaragua-Gerusalemme, sandinista, cristiano, solidale».

Chi non si allinea incondizionatamente diventa un potenziale nemico e in questa visione escatologica è contenuta una recondita tendenza suicida (suicidio politico, si intende): da formazione politico-militare d’avanguardia che aspirava a costruire una nuova società a partito essenzialmente elettoralistico strutturato in casta e ormai avulso dalla società stessa, il declino è più che evidente. Pertanto, la domanda sull’eredità della Rivoluzione non sembra avere una risposta molto incoraggiante: dall’utopia con i piedi ben piantati in terra si è passati direttamente a un sistema basato sulla «democrazia elettoralistica» dove conta solo l’elettore «che ha il diritto di votare / e che passa la sua vita a delegare / e nel farsi comandare / ha trovato la sua nuova libertà» (Gaber), ma che non può scegliere un vero candidato oppositore, dovendosi limitare alle formazioni cosiddette zancudas, che si prestano al gioco politico imposto dall’alto per ottenere vantaggi e benefici. Persino i vecchi militanti, ferocemente critici (per usare un eufemismo) nei confronti di Rosario, da un po’ di tempo sono agitati e preoccupati per questa deriva evidente a tutti e sotto gli occhi di tutti. E sono i primi a porsi la domanda essenziale: che cosa resta della Rivoluzione Popolare Sandinista? Resta una semplice matita copiativa per fare la croce su un simbolo? «È proprio vero che fa bene, / un po’ di partecipazione, / con cura piego le due schede / e guardo ancora la matita, / così perfetta e temperata, / io quasi quasi me la porto via: / democrazia» (Gaber).

I vecchi militanti, però, dovranno adattarsi perché, come ha sottolineato lo stesso Daniel nel discorso del 9 febbraio: «Qui c’è la Compañera Rosario Murillo, Co-Presidente della Repubblica, è così, è Co-Presidente della Repubblica! Nella Costituzione dovremo fare qualche Riforma… Dottor Porras, dovremo fare delle Riforme affinché si stabilisca il principio della Co-Presidenza». Ovviamente il condizionale è fittizio: si è trattato di un ordine ben chiaro e preciso e di un segnale diretto a tutti quei sandinisti che non sopportano il presenzialismo e l’arroganza di questa donna (non per misoneismo, ma perché sta distruggendo il partito e la stessa Rivoluzione).

Quella Rivoluzione che trionfò il 19 luglio 1979 aveva significato un profondo mutamento nella società nicaraguense, con contributi politici assai significativi: dopo il rovesciamento della dinastica dittatura Somoza, che aprì la possibilità di una nuova fase nella politica nazionale, pur tra errori e contraddizioni si attuarono politiche sociali volte a creare una maggiore equità e giustizia sociale, si stabilirono modelli di cultura politica basata sulla reale partecipazione dal basso, si promosse l’emancipazione di ampi settori della società precedentemente relegati ai margini e si gettarono le basi per la costruzione dello Stato di diritto e del sistema democratico (pluralismo politico, con circa 15 partiti politici). Fino all’accettzione della sconfitta elettorale del 1990, che indicava una decisa svolta nella storia del Paese, abituato a continui scontri armati tra i vincitori e i vinti che non accettavano la sconfitta.

Con il ritorno al potere del Frente nel 2007, dopo quattro sconfitte consecutive (un Frente che non è lo stesso degli anni Ottanta, se non nella denominazione), nelle file dei militanti storici le attese, i dubbi e lo scetticismo sono aumentati giorno dopo giorno, scontrandosi con una realtà che mostrava che le sue scelte politiche ed economiche non erano diverse né tantomeno migliori di quelle della destra libero-conservatrice. Infatti, il livello medio di vita non è migliorato di una virgola per la stragrande maggioranza della popolazione, che continua a sopravvivere alla giornata esattamente come negli anni del feroce neoliberismo tanto deprecato e condannato a parole ma del quale si continuano a seguire i passi nei fatti concreti.

Se qualcuno volesse trascorrere il proprio tempo a fare una lista delle infinite promesse incompiute e perse per strada (ogni tanto rispolverate come se fossero la novità quotidiana, l’uovo fresco di giornata), si troverebbe di fronte come minimo un paio di esempi eclatanti: il canale interoceanico annunciato nel 2006, che avrebbe reso il Nicaragua un Paese ricco oltre ogni dire, del quale si attende ancora la posa della “prima pietra” e la fabbricazione di vaccini russi contro il Covid-19 nella splendida cattedrale del deserto battezzata «Laboratori Mechnikov», ripetutamente annunciata nel 2021 (non solo per uso interno ma addirittura da esportare a prezzi concorrenziali nel resto dell’America latina). L’elenco delle splendide soluzioni mai date a un’infinità di problemi è però infinita.

Lungo questo percorso propagandistico sulle «magnifiche sorti e progressive» del Paese, il Frente è passato senza dubbio dall’utopia al pragmatismo, soprattutto se si considera come è cambiato, nonostante la continua e insistente rivendicazione del monopolio della simbologia rivoluzionaria, che serve a mascherare decisioni e scelte assolutamente opposte al Programma Storico del FSLN (1969), noto anche come Eredità programmatica di Sandino.

Il FSLN del nuovo secolo è assai diverso da quello che aveva combattuto contro il somozismo e pure da quello che aveva governato negli anni Ottanta, vero laboratorio politico che all’epoca poteva essere definito “eretico”. Dalla sconfitta elettorale del 1990, il nuovo Fronte Sandinista ha subìto varie scissioni ed epurazioni, è molto più pragmatico e ha fatto un’infinità di concessioni, cercando di raccordarsi con un ventaglio più ampio di cittadini e di strati sociali, compresi molti dei suoi ex nemici e avversari (imprenditori, Chiesa, contra…). Fino a trasformare alchemicamente dei perfetti antisandinisti storici in sfegatati propagandisti dell’orteguismo, tutti illuminati e redenti sulla via di Damasco con un miracolo che neppure Cristo sarebbe in grado di effettuare. Nonostante che «Il pensiero liberale è di destra / ora è buono anche per la sinistra» (ancora Gaber), abbiamo qualche dubbio che resti qualcosa di sinistra nella politica orteguista, da tempo appiattita sui dogmi del neoliberismo più sfrenato (a malapena mitigato con un po’ di welfare da propagandare come socialismo).

Nel corso degli anni, la complessa figura di Sandino è stata estraniata dal suo contesto storico, eroicizzata, mitizzata e santificata, e la sua complessità umana è stata sempre più semplificata fino a trasformarla in un “santino” da venerare, stabilendone un’immagine fissa, stereotipata e inalterabile nel tempo e nello spazio. Essendo schematizzata, è più facilmente propagandabile secondo codici precisi, per favorirne un’interpretazione univoca e per nulla dialettica. In tal modo, la memoria non è altro che il quadro di riferimento utilizzato secondo gli interessi del presente e, di conseguenza, la Nazione si trasforma in un’immaginaria comunità politico-sociale, vista come entità sacra e inviolabile, che per la propria difesa ha bisogno dell’atomica, per quanto piccola possa essere (non sono più le idee a contrapporsi all’Impero né il vetusto e sorpassato Proletarier aller Länder, vereinigt euch!, bensì le armi). Con l’avvento di Rosario nel campo della comunicazione (parlare di informazione ci pare eccessivo), si è iniziato a costruire l’eroe-Sandino, il mito-Sandino, spogliato della sua complessità umana e storica, in analogia con Cristo, con un meccanismo generalizzato tendente a ricoprire di sacralità la Nazione e, soprattutto, il Governo. Il 21 febbraio 2022 lo stesso Daniel ha affermato: «Conosciamo tutti la storia dell’omicidio che ci ricorda l’ultima cena di Cristo. Qui l’ultima cena fu offerta al generale Sandino dal presidente che firmava la pace con lui, poi, quando uscì dalla cena lo catturarono e lo uccisero insieme ad altri commilitoni, con altri fratelli sandinisti». Utilizzando la mitologia cristiana, Sandino si trasforma nel Salvatore, poiché allo stesso tempo combatte contro una cospirazione (l’alleanza tra l’imperialismo e le élite tradizionali), stabilisce un nuovo ordine sociale e unisce il popolo sotto il suo esempio. Da questo modello astratto, dogmatico e anti-storico nasce la reiterazione di ulteriori modelli che simboleggiano ideali assoluti, immutabili nello spazio e nel tempo: essendosi autonominati suoi eredi, affermano a ogni pie’ sospinto che stanno continuando la sua battaglia e chi non lo capisce è un controrivoluzionario venduto all’imperialismo yanque.

La gestione iper-burocratica della società nicaraguense è più che evidente nella sovrapposizione tra Stato e Partito, esattamente come lo era nei Paesi dell’Est fino al loro crollo, con l’aggravante di legare strettamente il Partito-Stato alla famiglia governante di un Paese sempre più spopolato a causa della massiccia fuga migratoria per vari motivazioni (soprattutto dei giovani): secondo i dati ufficiali di Migración, dal 17 settembre al 7 ottobre 2022 sono stati consegnati oltre ventimila nuovi passaporti. Nel solo mese di febbraio del 2023, oltre centomila nicaraguensi hanno varcato legalmente o illegalmente la frontiera statunitense. E se, caso mai, a Managua, capitale di un Paese sempre più spopolato e fantasma, dovesse palesarsi la donna fosforescente di Majakovskij (il cui arrivo era stato da lui previsto nel 2030), è assai probabile che i vari Konstantin Pobiedonosikov locali, sempre più isolati, umiliati e delusi, resterebbero a bocca asciutta, continuando a propagandare a loro stessi l’avvento della nuova Gerusalemme e a vivere barricati nella catacomba-bunker ubicata a El Carmen, abbandonati al loro destino persino dai governi più o meno di sinistra dell’America latina: Argentina, Cile, Colombia, Messico… un terzo degli abitanti del subcontinente.

Lo stesso Grupo de Puebla, costituito nel 2019 da rappresentanti della sinistra latinoamericana, il 27 febbraio hanno reso noto un comunicato nel quale si legge: «Sappiamo che i governi con una vocazione alla trasformazione affrontano minacce e attacchi permanenti da parte dei settori più reazionari della società, che non lesinano azioni destabilizzanti e antidemocratiche. Ne’ abbiamo alcun dubbio che per i settori più conservatori degli Stati Uniti, un Governo indipendente sia sempre una minaccia, e promuovono l’opposizione a questi governi, a volte all’interno di quadri democratici, ma anche al di fuori di essi. Ma nulla di quanto sopra, può giustificare che un Governo di presunta ispirazione progressista, prenda misure che limitino la democrazia e le libertà, specialmente quelle che si riferiscono al libero esercizio dell’opposizione.

«Condanniamo pratiche così drastiche come l’esilio e la privazione della nazionalità, che ricordano le peggiori pratiche delle dittature di destra degli anni ‘70 e ‘80 nel nostro continente».

Del Grupo de Puebla, oltre ai Paesi citati sopra, fanno parte anche: Brasile, Bolivia e Uruguay, le cui popolazioni rappresentano un altro terzo degli abitanti totali del continente.

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