La paura (di che?) fa 90, nel senso di Filmstudio

Una vicenda tutta varesina o invece emblematica?

di Enzo R. Laforgia (*)

Filmstudio90

La Varese uno e due.

Talvolta ho l’impressione di vivere in due città diverse: Varese uno e Varese due.

Varese uno l’attraverso per andare al lavoro e per tornare a casa. Varese uno mi ricorda le vecchie cittadine dei film western, dove, in assenza di uno sceriffo, domina la legge del più forte. Come accade nella Lombardia seicentesca raccontata dal Manzoni o in quei territori della nostra penisola dove lo Stato legale cede il posto ai signorotti locali. A Varese uno chiunque può fare ciò che vuole, sapendo di rimanere impunito. In Vicolo San Michele, per esempio, è normale parcheggiare dove c’è il divieto di sosta. Con il risultato che guidare in quella strada, che qualcuno ha voluto a due corsie, è diventata una prova di abilità per piloti esperti. In Via XXV aprile e sulla collinetta di Via Morselli, alle 8 del mattino o alle 13 e alle 14, ognuno con la macchina può fare quello che vuole, fermarsi dove vuole. Con il rischio che qualche studente possa essere investito, visto che anche i percorsi pedonali sono occupati da macchine sempre più grosse e da autisti sempre più prepotenti. Ma nel Far West è così. E da Varese uno ho paura che la Polizia locale sia scappata da tempo.

Ma per fortuna vivo anche a Varese due. A Varese due ci teniamo molto alla legalità. E abbiamo sceriffi pronti ad esibire la loro stella lucente. A Varese due sembra di vivere in un’appendice della ordinatissima e invidiatissima Svizzera. Qui, ad esempio, si ferma l’attività di un cineclub con tanto di sigilli. E non importa se Filmstudio90 sia una realtà consolidata nel territorio, un luogo di crescita culturale per migliaia di cittadini, un’istituzione che collabora ogni anno con lo stesso Comune da cui dipendono quegli stessi poliziotti locali ora inviati ad esibire la loro stella lucente. La legge è legge. E a Varese due non si scherza.

Ora, sono sicuro che l’iniziativa della Polizia locale sia un atto dovuto, che la macchina della giustizia, una volta avviato il motore, non possa fermarsi. Ma era proprio necessaria un’iniziativa così forte? In un luogo così importante, nel deserto culturale dei nostri tempi e del nostro territorio? Era proprio necessario imporre la chiusura di un’attività, che si basa sul lavoro volontario, sullo sforzo quotidiano, di chi cerca da un quarto di secolo di mantenere illuminato, in città, uno schermo non migliore degli altri, ma sicuramente diverso?

A me piaceva andare a Varese due, perché da sempre mi piace vedere bei film, in un luogo dove gli spettatori sono ancora educati e dove addirittura i volontari di Filmstudio90 accoglievano noi soci con un sorriso e introducevano la visione delle pellicole con poche e illuminanti parole.

Adesso non mi resta che continuare a camminare per le rischiose strade di Varese uno… Dove non ci sono sceriffi…

(*) ripreso da www.varesenews.it . In “bottega” qualche volta si è parlato dell’attivo/combattivo cioè intelligente/resistente e dunque “scomodo” Filmstudio90 di Varese… per lodarne le iniziative controcorrente. Urge approfondimento? (db)

 

Redazione
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Un commento

  • sandro sardella

    la presenza di Filmstudio in Varese è uno dei pochi luoghi e momenti di cultura nella “piccina città giardina” .. il lavoro di Giulio Rossini e di chi collabora all’attività è una nota di colore nel grettume
    bottegaio di questa cittadina impastata di arroganza legaiola di grettume bottegaio e di una sinistra che storicamente “ancora si sta cercando” ..
    la “procedura” che ha portato alla temporanea chiusura testimonia .. il fastidio che l’attività di Filmstudio provoca e quindi il maneggiare ……………. comunque lunga vita a Filmstudio!

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