La piovra Erdogan e la resistenza dei popoli

testi di Chiara Cruciati e Domenico Gallo. A seguire intervista-video al portavoce delle SFD e molti link

Le manovre turche contro Kobane: «Operazione imminente»

SIRIA. Accordi dietro le quinte per far cadere il simbolo dell’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-est: bozza d’intesa con la Russia per costringere al ritiro le unità di autodifesa curde e unire la città all’est del Rojava già occupato da turchi e jihadisti. Che volano ad Ankara per coordinare l’attacco

di CHIARA CRUCIATI (*)

Sono ormai mesi che le voci di un prossimo attacco turco contro Kobane si rincorrono. Le forze di autodifesa curde maschili e femminili, le Ypg e le Ypj, e le unità multietniche delle Forze democratiche siriane (Sdf) sanno che quel fronte non è mai stato chiuso.

E dopo mesi di bombardamenti continui in giro per il Kurdistan, in Siria e in Iraq, dal campo di Makhmour alle montagne di Qandil fino alla regione di Shengal, quelle voci si fanno minaccia concreta.

Turchia e Russia starebbero negoziando un’operazione militare, gestita da Ankara, contro Kobane per ripulirla della presenza delle unità Ypg e Ypj, considerate dallo Stato turco affiliate al Pkk e dunque gruppi terroristici. Lo riporta il ben informato portale Middle East Eye, citando fonti anonime: la bozza di intesa prevedrebbe il mantenimento di una presenza militare russa intorno alla città, mentre ai turchi andrebbero le aree periferiche collegate con la strategica autostrada siriana M4, che corre da ovest a est del nord del paese, lungo il confine con la Turchia.

Ankara non invierà i suoi proxy, miliziani jihadisti impiegati nel resto del Rojava occupato, e Mosca farà ritirare verso sud le forze di autodifesa curde, il secondo punto dell’accordo.

Funzionari turchi, parlando con Bloomberg la settimana scorsa, avevano inserito nell’equazione anche Idlib, ovvero la possibilità di cedere alla Russia parti dell’ultima provincia siriana in mano ai gruppi qaedisti e jihadisti (e per questo ancora oggetto di bombardamenti russi e governativi), in cambio del via libera a Kobane.

Di certezze al momento non ce ne sono. E i messaggi sono contraddittori. Come l’arrivo di quattro jet russi Su-35 all’aeroporto di Qamishlo, “capitale” dell’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est, che fanno pensare che un’operazione turca contro il Rojava non sarebbe ben vista da Mosca.

Ma ci sono anche i fatti sul terreno: l’esercito turco, riporta al-Monitor, sta inviando rinforzi nel nord-est della Siria, mentre membri dell’Esercito libero siriano (alleato di Ankara) sono volati il 25 ottobre scorso in Turchia per coordinare un’eventuale operazione con i leader militari turchi.

Secondo la stampa turca, sarebbero pronti 35mila uomini da dispiegare contro Manbij, Ain Issa e Tel Temer, tanti altri quelli in fase di addestramento.

Appena una ventina di giorni fa era stato lo stesso presidente Erdogan a minacciare un ampliamento dell’intervento in atto dal gennaio 2018 (l’operazione Ramoscello d’Ulivo che portò all’occupazione del cantone occidentale di Afrin, poi Fonte di Pace nell’ottobre 2019 con la presa di 41 comunità tra cui le città di Gire Spi e Serekaniye, a est): dopo un attacco nella città siriana di Azaz e l’uccisione di due gendarmi turchi attribuita da Ankara alle Ypg/Ypj, Erdogan aveva parlato di «ultima goccia» e di imminente operazione per eliminare il problema alla radice. «Compiremo i passi necessari in Siria il prima possibile», aveva detto lasciando poco spazio alla fantasia.

Ma in Siria non decide tutto Erdogan. Ha bisogno di sponde. Nell’ottobre 2019 le aveva ricevute prima dagli Stati uniti di Donald Trump che, ritirando i marines, aveva dato luce verde all’invasione turca; poi dal presidente Putin. Il 22 ottobre 2019 a Sochi i due si erano accordati per il ritiro delle Ypg/Ypj dalle zone di confine, con Mosca che di fatto riconosceva l’occupazione (illegale) di un corridoio di Siria del nord-est lungo 100 chilometri.

Con in mano una mappa della Siria, dopo sette ore di bilaterale, i due avevano dato vita a una «safe zone» che altro non era che l’inizio di un’occupazione militare che dura ancora oggi, fatta della cacciata di centinaia di migliaia di residenti originari e di una palese operazione di ingegneria demografica, di rapimenti e arresti, di una gestione qaedista della vita dei civili rimasti.

Ora alla Turchia si presenta l’occasione di chiudere il cerchio. Primo, prendere Kobane (nonostante le truppe russe i droni turchi non hanno mai cessato di far piovere bombe: è successo due volte negli ultimi dieci giorni, tre combattenti delle Sdf e due civili uccisi). Secondo, collegarla alle zone orientali già occupate, Gire Spi e Serekenaye.

Ancora una volta la tempistica è inquietante: la notizia ha iniziato a circolare il primo novembre, la Giornata mondiale per Kobane. Era il primo novembre del 2014 quando milioni di persone in tutto il mondo scesero in strada in solidarietà con la resistenza del cantone all’assedio dello Stato islamico.

(*) ripreso dal quotidiano «il manifesto» del 3 novembre

 

La sottile linea nera (Turchia, Israele e non solo)

di Domenico Gallo (**)

«La sottile linea rossa» è un film del regista americano Terrence Malick, girato nel 1998, che, uscendo fuori da ogni retorica, ci mette di fronte all’orrore della guerra del pacifico come metafora della follia di ogni guerra. Gli eventi di questa settimana ci mettono di fronte ad altri disastri, per fortuna meno sanguinosi, ma gravidi di conseguenze negative e fanno emergere un filo diretto, una sottile linea nera, che collega Istambul a Tel Aviv.

Ha suscitato clamore lo schiaffo che il nuovo sultano della Turchia ha inferto ai principali Paesi occidentali dichiarando di voler espellere gli ambasciatori di Stati Uniti, Francia e Germania. Canada, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia e Svezia che avevano firmato un appello per la liberazione del filantropo Osman Kavala, detenuto da oltre 4 anni. Il dissidente aveva fondato l’organizzazione Anadolu Kultur, da sempre impegnata nella promozione di arte, cultura e nella lotta alla violazione dei diritti dell’uomo. Non c’è dubbio che in Turchia tutti coloro che lottano contro la violazione dei diritti umani si trovano in serio pericolo, tanto che vengono qualificati come terroristi e sottoposti a persecuzione. La Corte europea dei diritti dell’Uomo, con una sentenza del 10/12/2019 aveva condannato la Turchia e ordinato l’immediato rilascio di Kavala, bollando come illegale la privazione della libertà del dissidente. La Turchia ha aderito alla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo nel 1950, tuttavia Erdogan, non solo non ha dato corso alla sentenza della CEDU, ma addirittura ha avuto l’impudenza di rivoltarsi contro gli ambasciatori dei principali paesi occidentali che lo richiamavano al rispetto degli obblighi internazionali, invocando l’indipendenza della magistratura. Senonchè proprio l’indipendenza della magistratura è stato il primo ed immediato bersaglio del controgolpe attuato da Erdogan nel luglio del 2016. Con l’arresto di 2745 giudici e pubblici ministeri, il licenziamento di 4.560 magistrati, le purghe di massa nell’Università e nelle scuole, l’arresto di migliaia di avvocati, Erdogan ha trasformato la Turchia da Repubblica laica in una sorta di emirato islamico. Il fatto che, dopo il crollo della lira, Erdogan abbia fatto marcia indietro, revocando l’espulsione dei diplomatici, non cambia la sostanza del problema che consiste in una orgogliosa rivendicazione di indipendenza dalle regole di civiltà che governano le comunità umane.

Negli stessi giorni in cui esplodeva il caso Turchia, Israele assestava impunemente un colpo durissimo alla società civile palestinese. Il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz, ai sensi della legge nazionale antiterrorismo israeliana del 2016, ha dichiarato “organizzazioni terroristiche” sei associazioni della società civile palestinese attive nel campo della protezione dei diritti umani: Al-Haq, Addameer, Defense for Children-International, Union of Palestinian Women’s Committees, the Bisan Research and Advocacy Center e Union Of Agricultural Work Committees. Con questa dichiarazione Gantz ha autorizzato l’esercito a chiudere i loro uffici, a sequestrare i loro beni e ad arrestare e incarcerare il loro personale. Fra le associazioni messe al bando la più importante è AL HAQ, che da oltre trent’anni documenta le massicce violazioni dei diritti umani commesse da Israele nei territori occupati, collaborando con l’ONU. Secondo il suo Direttore Shawan Jabarin non sarebbe una coincidenza «che le misure punitive contro Al Haq e altre organizzazioni sia arrivata subito dopo l’apertura di un’indagine della Corte penale internazionale sui crimini di Israele in Palestina». Human Rights Watch e Amnesty International, hanno espresso la loro ferma condanna della “fatwa” di Gantz in un comunicato congiunto nel quale affermano che continueranno a collaborare con i partner palestinesi. Ma la condanna più dura è quella del centro israeliano per i diritti umani B’Tselem che, senza peli sulla lingua, ha dichiarato: «è una mossa che caratterizza i regimi totalitari».

Come in Turchia adesso anche in Israele tutti coloro che lottano contro la violazione dei diritti umani, se palestinesi, vengono qualificati come terroristi e sottoposti a persecuzione. Sono questi gli esempi ultimi è più gravi di un’onda nera che dalla Polonia, all’Ungheria, alla Turchia a Israele, sta travolgendo la democrazia, rinnegando quelle conquiste di civiltà scritte nelle Carte dei diritti, che sono il frutto più prezioso della lezione della Storia. Sono tornate d’attualità le parole scritta da Thomas Mann nella prefazione alle lettere dei condannati a morte della resistenza europea (1954): “Viviamo in un mondo di perfida regressione, in cui un odio superstizioso e avido di persecuzione si accoppia al terror panico (.) Una costellazione fatale sovverte la democrazia e la spinge nelle braccia del fascismo, che essa ha appena abbattuto, solo per aiutarlo, non appena a terra, a risollevarsi in piedi per calpestare, ovunque li trovasse, i germi del meglio e macchiarsi con ignobili alleanze”. Oggi una nuova costellazione fatale sta sovvertendo la democrazia e si sta estendendo in diversi paesi e con varie forme. Ma noi non possiamo rassegnarci e continueremo a denunziare con Kavala, con Al Haq e tanti altri, le violenze e gli abusi che corrompono la democrazia e oscurano il futuro.

  • dal sito di Articolo 21: QUI– ripreso poi dall’agenzia Anbamed

CFR ANCHE

https://pagineesteri.it/2021/10/30/varie/esclusiva-dal-rojava-intervista-al-portavoce-curdo-aram-hanna-la-guerra-allisis-non-e-mai-finita-continuiamo-a-combatterlo/

ESCLUSIVA DAL ROJAVA: Intervista video. Il giornalista Ivan Grozny Compasso ha incontrato Aram Hanna delle Forze curdo-arabe: «La guerra all’ISIS non è mai finita.. Occorre una soluzione condivisa per i miliziani dello Stato islamico che abbiamo preso prigionieri»

https://ilmanifesto.it/selahattin-demirtas-ostaggio-kafkiano

TURCHIA. Il 4 novembre 2016 l’avvocato curdo e co-leader dell’Hpd entrava in una prigione turca. Cinque anni dopo, Selahattin Demirtas resta l’unico in grado di sfidare Erdogan. Con le idee, i romanzi e l’ironia

di Murat Cinar e Francesco Pongiluppi

Altri migranti sacrificati sull’altare della guerra per la leadership del Mediterraneo Orientale | di VALERIO NICOLOSI
Quattro bambini morti e una persona dispersa nel mare tra Turchia e Grecia. Sono gli effetti della strategia “a rubinetto” di Erdogan per far pressione sull’Europa.

cfr anche https://ogzero.org/variante-turca-in-un-bagliore-di-guerra-fredda-2-0 di Yurii Colombo scritto in occasione dell’uscita del volume La spada e lo scudo per tentare di chiarire storia, modalità e tensioni interne ed esterne ai servizi segreti russi.

Gran Bretagna: Sindacati mobilitati per la liberazione di Ocalan 

Il maggior sindacato britannico, Unite the Union (1,3 milioni di iscritti), si schiera a favore della scarcerazione dell’esponente curdo Abdullah Ocalan (rinchiuso in condizioni indegne ormai da 22 anni) e per una soluzione politica democratica della cosiddetta “questione curda”. 

Da Parigi a Stoccolma, rischio di espulsione per i militanti Curdi 

Sempre più insistenti si fanno le voci di possibili estradizioni di esuli curdi dalla Francia e dalla Svezia verso il regime di Erdogan dove rischiano la pena di morte 

Donne e Curdi, le prime vittime della repubblica Islamica 

Secondo quanto scrive nel suo rapporto di settembre l’Associazione dei diritti dell’uomo del Kurdistan (KMMK) sarebbero in sensibile aumento le violazioni dei diritti umani da parte dello Stato iraniano nel Rojhilat (il Kurdistan dell’Est). 

ALCUNE NOTIZIE SULL’AGENZIA “ANBAMED” – notizie dal Sud Est del Mediterraneo

Turchia

Non si possono fare domande sulla salute del presidente. La procura di Ankara sta indagando su 30 persone che hanno postato domande sul perché Erdogan non è andato al vertice sul clima COP26 di Glasgow, interrogandosi se sia vera la motivazione ufficiale sulle misure di sicurezza. Le notizie sulla sua salute si sono diffuse dopo che l’ufficio stampa della presidenza ha pubblicato un video nel quale Erdogan camminava a stento.

Una magistratura al servizio del neo sultano.

(5 novembre)

Siria

La temuta invasione turca della zona ad est dell’Eufrate non c’è stata, ma la tensione è alta. La resistenza curda sta preparando la difesa del proprio territorio con l’arrivo sulla linea del fronte di nuovi rinforzi. Ieri l’artiglieria turca ha bombardato il villaggio di Dardara, nella provincia di Hasaka.

Per la seconda volta in una settimana, missili israeliani hanno colpito nella provincia di Damasco. Lo ha comunicato il ministero della difesa siriano senza fornire dettagli su vittime e danni.

(3 novembre)

Siria

L’esercito turco sta preparando un’offensiva su larga scala nel nord est della Siria, regione sotto l’amministrazione curda. Ankara avrebbe già fatto affluire 30 mila soldati turchi e miliziani islamisti siriani per un’operazione che mira alla presa di controllo della zona ad est dell’Eufrate e di Kobane, città simbolo della lotta contro il fu falso califfato. Dal valico di frontiera di Bab Al-Hawa sono transitate in questi giorni colonne di mezzi militari che trasportavano carri armati e artiglieria pesante. Due giorni fa il Parlamento di Ankara ha approvato la proroga dell’autorizzazione al presidente Erdogan di usare l’esercito in missioni militari nel nord della Siria e Iraq. Il governo di Damasco ha condannato duramente – a parole – le decisioni turche, “perché minacciano la pace nella regione”, secondo quanto ha riportato l’agenzia stampa SUNA, citando il comunicato del ministero degli esteri siriano.

Nel pomeriggio di ieri, missili israeliani lanciati dal Golan siriano occupato hanno colpito alcune postazioni nella provincia di Damasco. Secondo fonti dell’esercito sarebbero stati feriti 6 soldati e che la maggior parte dei missili sarebbe stata intercettata e distrutta prima di raggiungere terra.

(31 ottobre)

LE IMMAGINI: la prima foto è ripresa dal quotidiano “il manifesto”; la vignetta è di Mauro Biani; la donna della terza foto (sempre da “il manifesto”) ha in mano un ritratto di Selahattin Demirtas

Redazione
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