La più grande crisi alimentare e…

… e i ricchi da far schifo. Chissà se esiste una connessione.

Due articoli ripresi da diogeneonline.info (*). A seguire una nota della “bottega”.

La più grave crisi alimentare di sempre

della redazione di Diogene

Agire in fretta. Si dice sempre parlando delle emergenze alimentari e la fame ma poi, a cominciare dall’agenda dell’Onu che vorrebbe eliminare la fame entro il 2030, non si agisce mai. Ma la crisi alimentare globale è in pieno corso, mai così drammatica. L’ultimo rapporto della Fao e del World Food Programme ci mostra sei aree del mondo a rischio estremo di immediata crisi alimentare. Dalle condizioni meteorologiche estreme alla crisi economica alla pandemia da covid alla guerra in Ucraina la situazione è peggiorata in maniera esponenziale trascinando nel vortice della povertà estrema anche chi viveva in relativa tranquillità alimentare.

Oggi sono 828 milioni le persone con carenze alimentari, aumentate di 150 milioni dal 2020, quando esplose la pandemia. 40 milioni a rischio in più rispetto al precedente massimo raggiunto nel 2020, anno in cui le misure prese contro la pandemia hanno pesantemente influenzato la sicurezza alimentare. Le guerre locali restano la maggior ragione di crisi alimentare, il 70% delle persone in difficoltà proviene da paesi colpiti da conflitti. A questo causa storica si è aggiunta come dicevamo l’interruzione della catena di approvvigionamento prima con il covid e adesso con la guerra in Ucraina. Sotto accusa per quanto riguarda le condizioni climatiche La Niña, Il fenomeno di raffreddamento anomalo dell’Oceano Pacifico che dal 2020, probabilmente fino al 2023 dicono gli esperti, provoca siccità in alcune zone del mondo e inondazioni da altre parti. Le conseguenze immediate sono le distruzioni dei raccolti, che colpiscono con la siccità l’Africa orientale mentre il Sudan meridionale affronta inondazioni, due fenomeni che spingeranno sempre più le popolazioni locali a migrare in cerca di cibo.

Il 10% circa della popolazione mondiale, il 9,8% per la precisione è in situazione di carenza alimentare, ma a rischio sono ormai 2,3 miliardi di persone. Vediamo in quali zone si concentrano per la maggior parte. Secondo il rapporto i paesi letteralmente in ginocchio sono Etiopia, Nigeria, Sud Sudan, Yemen, Afghanistan e Somalia. Per queste nazioni si parla letteralmente di catastrofe alimentare. Si calcola che in queste sei aree 750.000 persone, 400 mila concentrate nel Tigray etiopico, rischiano adesso, nel momento in cui state leggendo, fame e morte.

Subito dopo troviamo altri Paesi in stato di emergenza. Ad Angola, Libano, Madagascar e Mozambico che già figuravano nel precedente rapporto si uniscono adesso la Repubblica Democratica del Congo, Haiti, Sahel, Sudan, Siria, Kenya, Sri Lanka, Benin, Capo Verde, Guinea, Zimbabwe e Ucraina a causa del conflitto. Non si può certo aspettare il 2030 come prevedeva l’Onu, ma il problema è che nemmeno nel 2030 verrà risolta la questione alimentare, aggravata com’è la crisi da fattori che se per le guerre non erano prevedibili per quanto riguarda i cambiamenti climatici e la mancanza d’intervento dei governi erano assolutamente prevedibili.

RICCHI DA FAR SCHIFO

di Alfredo Facchini

“Noi siamo il 99%, Voi siete lo 0,666%”.

Nel 2011 era uno degli slogan più strillati a “Zuccotti Park” durante “Occupy Wall Street”.

Da allora, non è cambiato niente di niente. Anzi.

La solita storia: ricchi e riccastri i soldi neanche li contano più, li pesano, mentre i comuni mortali arrancano tra tasse e balzelli.

Una ricerca appena sfornata, che arriva direttamente dall’Impero del Soldo, informa che si è ulteriormente ampliato il gap degli stipendi tra i top manager e dipendenti nelle aziende americane.

In media i primi guadagnano 670 volte in più dei secondi, e in alcuni casi addirittura 1.000 volte di più.
Nel 2020 il rapporto era “solo” di 604 a 1.

Lo certifica l’Institute for policy studies, secondo il quale nel 2021 i compensi dei boss sono aumentati di 2,5 milioni di dollari, attestandosi su una media di 10,6 milioni.

A guidare la classifica degli amministratori delegati più strapagati spicca Andy Jassy di “Amazon”, Fabrizio Freda di “Estee Lauder” e Jay Snowden di “Penn National Gaming”.

A Jassy è stato riconosciuto un compenso di 212,7 milioni, 6.747 volte i 32.855 dollari che un dipendente medio di “Amazon” porta a casa.

Freda invece ha visto schizzare del 258% il suo compenso nel 2021: 66 milioni di dollari, circa 1.965 volte un lavoratore di “Estee Lauder”.

Snowden con i suoi 65,9 milioni ha guadagnato 1.942 volte in più di un suo dipendente.

Secondo lo stesso studio, l’aumento della forbice tra top manager e dipendenti è legato in parte ai piani di riacquisto di azioni proprie da parte delle aziende quotate. Nel 2021 ai piani di “buyback” sono stati destinati miliardi di dollari che, se investiti sui dipendenti, ne avrebbero in alcuni casi fatto raddoppiare i salari.

Lowes, azienda che opera nella vendita al dettaglio di materiale per la casa, ad esempio ha riacquistato suoi titoli per 13 miliardi: se li avesse distribuiti fra i suoi 325.000 dipendenti avrebbe regalato loro un aumento da 40.000 dollari. Fantascienza.

Ma mentre i vertici spendevano nei “buyback”, una delle strade per gonfiare i compensi dei super manager, gli stipendi dei lavoratori venivano ridotti del 7,6% a 22.697 dollari. Realtà.

Non è superfluo ricordare che l’1 per cento più ricco della popolazione mondiale guadagna quanto gli oltre quattro miliardi più poveri e gode del 55 per cento dei beni complessivamente consumati.

I mille soggetti più ricchi del pianeta Terra detengono un patrimonio netto di poco inferiore al doppio del patrimonio totale dei 2,5 miliardi di individui più poveri.

Dalla globalizzazione alla “glebalizzazione”, è un attimo.

E qui da noi come siamo messi?

I compensi dei top manager italiani, ma guarda un po’, hanno registrato un balzo in avanti del 35% rispetto al 2020.

Il primato spetta a Carlos Tavares, CEO di “Stellantis”, che ha incassato 19,1 milioni di euro.

Secondo “Oxfam”, il 20% più ricco detiene quasi il 70% della ricchezza totale in Italia, mentre il 20% più povero circa l’1,3%.

Il patrimonio dei primi tre paperon dei paperoni italiani (Ferrero, Del Vecchio e Armani) sarebbe superiore alla ricchezza netta detenuta dal 10% più povero della popolazione italiana, circa 6 milioni di persone (37,8 miliardi di euro).

Alla faccia della “patrimoniale”.

 

Una noticina della “bottega” a proposito di diogeneonline.

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