La questione ambientale e i diritti degli indios nell’era Bolsonaro

La presidenza di Bolsonaro in Brasile è stata contrassegnata, fin dal primo giorno del nuovo anno, da dichiarazioni shock e da interviste politicamente scorrette che fanno temere per lo stato della democrazia brasiliana. In particolare, ad essere finite nel mirino del nuovo presidente, sono state le comunità indigene. Anche sulle tematiche ambientali le provocazioni di Bolsonaro e dei suoi ministri hanno suscitato scalpore. Ripercorriamo i primi due mesi e mezzo al Planalto di Jair Bolsonaro, contrassegnati da proclami razzisti e contro la sostenibilità ambientale.

di David Lifodi

Il 1° gennaio scorso Jair Bolsonaro si è insediato ufficialmente alla presidenza del Brasile al termine di una campagna elettorale caratterizzata da pesanti attacchi ai diritti umani, civili e al mondo del lavoro. Le sue dichiarazioni sono state all’insegna della criminalizzazione dei movimenti sociali, delle minacce nei confronti dei popoli indigeni e di una costante opera volta a sminuire e a ridicolizzare la questione ambientale. Il nuovo governo non ammette che la Costituzione federale (sulla quale lo stesso presidente ha prestato giuramento) tuteli i diritti alla differenza etnica e alla demarcazione delle terre, che sono di proprietà dello Stato, ma destinate all’esclusivo usufrutto dei popoli indigeni. Le affermazioni e le azioni di Bolsonaro nei confronti delle minoranze (quilombolas, indios, poveri, organizzazioni urbane e contadine, comunità lgbtq) rappresentano un grave pericolo poiché spalancano le porte a una intolleranza diffusa e a un odio difficilmente controllabile.

Una tra le prime mosse annunciate da Bolsonaro, poco dopo la sua vittoria nel ballottaggio del 28 ottobre 2018 contro il petista Fernando Haddad, è stata il ritiro della candidatura del Brasile dall’ospitare e presiedere la Cop 25, la conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, che avrebbe dovuto tenersi dall’11 al 22 novembre 2019. Ufficialmente, la nota rilasciata dal Ministero degli esteri ha posto l’accento sui problemi di bilancio, però nell’ottobre scorso Itamaraty aveva confermato l’intenzione del Brasile di ospitare la Cop 25 per mantenere il suo ruolo di paese guida sul tema dello sviluppo sostenibile. Finora, non solo il più grande stato dell’America latina aveva sottoscritto gli Accordi di Parigi, ma si era impegnato a ridurre le emissioni del 37% entro il 2025.

La posizione assunta dal Brasile ha sollevato preoccupazioni e critiche non solo tra associazioni e istituzioni impegnate a lavorare per la tutela dell’ambiente, ma anche tra paesi come il Cile (che ospiterà la Cop 25 dopo la rinuncia brasiliana), la cui presidenza è politicamente assai affine a quella di Bolsonaro. L’Observatório do Clima, una rete che riunisce 45 organizzazioni della società civile brasiliana impegnata sulle questioni ambientali, ha espresso un forte disappunto per il passo indietro compiuto dal Brasile, indicando nel nuovo ministro degli esteri Ernesto Araújo il principale responsabile, soprattutto a seguito delle sue affermazioni dirette a ridimensionare le problematiche relative al riscaldamento globale[1].

Il dietrofront del Brasile ha suscitato grandi perplessità, anche perché, per un anno intero, Itamaraty aveva cercato di convincere gli altri paesi dell’America latina a sostenere la propria candidatura. Tuttavia è difficile che Bolsonaro ritorni sulla decisione presa, nonostante il paese rappresenti ad oggi un riferimento in tutto il mondo soprattutto per la ricchezza ambientale e la biodiversità presenti in Amazzonia, conosciuta universalmente per essere il polmone verde del pianeta.

Il Brasile è la quindicesima riserva mondiale di petrolio, soprattutto grazie alla scoperta del Pré-sal, l’enorme giacimento che si estende tra lo stato dell´Espirito Santo e quello di Santa Catarina[2]. Il predecessore di Bolsonaro, Michel Temer, giunto alla presidenza del paese a seguito di un controverso colpo di stato parlamentare, che aveva destituito Dilma Rousseff[3], la presidenta democraticamente eletta, aveva bloccato la partecipazione obbligatoria dell’impresa di stato Petrobras nell’estrazione del petrolio dal Pre-sal.

Jair Bolsonaro intende invece sfruttare interamente il Pré-sal affidandolo alle multinazionali, come emerso da un documento pubblicato il 16 dicembre 2018 sul quotidiano Folha de São Paulo, dietro al quale si cela il ministro degli esteri Araújo, dal significativo titolo “Per una politica estera del popolo brasiliano”[4]. Il ministro suggerisce, tra le altre cose, non solo un riallineamento del paese con le destre populiste mondiali (dagli Stati uniti all’Italia, passando per Ungheria e Polonia), ma anche una ridiscussione delle relazioni economiche e ambientali all’interno dei Brics, a partire dalla Cina.

La presenza di un presidente ultraconservatore al Planalto mette a forte rischio quell’integrazionismo latinoamericano che, anche a livello ambientale, aveva cercato di preservare le risorse del continente, dalla biodiversità dell’Amazzonia alle fonti di energia, fino alle riserve di acqua dolce.

Nell’amministrazione Bolsonaro risulta evidente che l’ambiente occupi l’ultimo posto e le finanze il primo, non a caso, tra le prime nomine del presidente figurano quelle dei ministri dell’economia, della giustizia, della difesa e degli esteri, mentre il ministero dell’ambiente corre il rischio di essere assorbito da quello dell’agricoltura e finire così nelle mani dell’agroindustria.

 

La nuova ministra dell’agricoltura, Tereza Cristina da Costa Dias, del partito Mdb – Movimento democrático brasileiro, appartiene al Frente parlamentar da agropecuária. Questo gruppo parlamentare, trasversale agli schieramenti politici, ha sempre ricevuto il sostegno delle imprese legate all’agronegozio e si è sempre battuto per proposte di legge favorevoli alle coltivazioni transgeniche e allo sfruttamento indiscriminato delle risorse dell’Amazzonia e contro i progetti volti a preservare la biodiversità e a tutelare le comunità indigene. Finora, il governo brasiliano si era preoccupato di proteggere l’intera regione amazzonica, tramite la creazione di parchi nazionali, corridoi ecologici e boschi protetti, avendo compreso che il polmone verde del pianeta mitiga gli effetti dei mutamenti climatici attraverso l’assorbimento delle emissioni di carbonio, rappresenta uno spazio vitale per le comunità indios e, proprio per questi motivi, merita di essere preservato[5].

Tuttavia, storicamente, la monocoltura della soia, imposta dall’agrobusiness su enormi appezzamenti di terreno, tramite l’agguerrita presenza della bancada ruralista, il gruppo parlamentare composto da deputati vicini agli interessi dei grandi latifondisti all’interno del Congresso, ha contribuito nel tempo a quella deforestazione dell’Amazzonia, a cui Bolsonaro ha già fatto riferimento nei mesi vissuti da presidente in pectore, per favorire l’approvazione di leggi il più possibile rispondenti ai desiderata delle multinazionali e dell’oligarchia terriera brasiliana.

A questo proposito, va ricordato che Bolsonaro, pur avendo ottenuto una schiacciante vittoria, sarà comunque costretto a negoziare con altri partiti lo sfruttamento delle risorse dell’Amazzonia, poiché il suo Partido social liberal (di estrema destra), pur facendo registrare un notevole successo elettorale, ha guadagnato soltanto 52 seggi sui 520 totali del Congresso. La presenza di lobbies legate all’industria delle armi e all’agronegozio giocherà, in ogni caso, un ruolo di primo piano per promuovere la monocoltura della soia ed implementare la costruzione di nuove centrali idroelettriche e l’estrazione mineraria in Amazzonia.

Per il Brasile di Bolsonaro è certo l’abbandono dell’Accordo climatico di Parigi, che, peraltro, non prevede sanzioni per i paesi non più intenzionati ad impegnarsi per ridurre le emissioni di carbonio, e, di conseguenza, il presidente e i suoi ministri avranno gioco facile nel concedere alle transnazionali il permesso per sfruttare le ricchezze dell’Amazzonia. Basta analizzare le bellicose proposte in ambito ambientale che Bolsonaro aveva già presentato durante la sua campagna elettorale, definite dal docente di diritto ambientale della Puc (Pontificia Universidade Catolica) di Rio de Janeiro, Marcelo Kokke[6], una vera e propria distruzione dei principi fondamentali di sostenibilità, per capire quanto la questione ecologica sia mal vista dal nuovo presidente.

Bolsonaro intende, infatti, cancellare la Lei das Unidades de Conservação (legge 9.985/2000 che crea il Sistema Nacional de Unidade de Conservação da Natureza e tutela la biodiversità e le aree ambientali protette), far assorbire le istituzioni statali impegnate a tutelare l’ambiente dal ministero dell’agricoltura, facilitare la concessione delle licenze ambientali per lo sfruttamento del territorio e promuovere l’utilizzo degli agrotossici, seppellendo le politiche per la preservazione della regione amazzonica.

La rivista Globo Rural pubblica un annuario che evidenzia le cinquecento principali imprese dell’agrobusiness e premia le migliori venti, pubblicando foto e articoli dei consigli direttivi di ciascuna di loro[7]. Da qui verrà sferrato il principale attacco all’ambiente, dalle lobbies che sostengono l’agronegozio, sicure di ricevere l’appoggio presidenziale di Bolsonaro che, in più di una circostanza, ha sottolineato la necessità di facilitare la concessione delle licenze ambientali per superare le difficoltà di fare impresa in un paese come il Brasile. Ad esempio, Bolsonaro ha preso come pretesto le difficoltà del governo dello stato del Paraná nella costruzione degli ultimi due blocchi della rodovia (il sistema della viabilità statale brasiliana) nella Mata Atlántica del Brasile, la foresta pluviale che si estende dallo stato di Rio Grande do Norte sino al Rio Grande do Sul[8]. La grande opera ha come fine principale quello di facilitare l’accesso ad un porto privato nel litorale paranaense e si scontra con le forti resistenze dovute alla mancanza di valutazione dell’impatto ambientale.

Come soluzione di fronte alle difficoltà nel rilasciare le licenze ambientali, il nuovo governo intende spostare il potere di concessione dal ministero dell’ambiente direttamente alla presidenza della Repubblica, tramite la creazione di un apposito gabinetto che si occupi esclusivamente di questo aspetto. L’obiettivo del governo è quello di ridurre il più possibile le funzioni e le competenze del ministero dell’ambiente, nonostante il Brasile sia il maggior paese biodiverso del mondo. Inoltre, c’è grande incertezza anche sul futuro dell’Ibama (Instituto brasileiro do meio ambiente e dos recursos naturais renováveis, l’ente responsabile per la realizzazione della politica nazionale ambientale sottoposto al ministero dell’ambiente) che conta su circa 300 impiegati a fronte di 2.800 casi in cui occorre la sua valutazione per concedere o meno le licenze di impatto ambientale.

A questo proposito, una lettera aperta del personale dell’Ibama[9], di fronte alle critiche dovute all’accusa di lentezza nel concedere le licenze ambientali, precisa che la valutazione non spetta soltanto al corpo tecnico dell’ente, ma anche al pubblico ministero dell’Unione e alla società civile organizzata. È altrettanto evidente come nella maggior parte dei casi sia lo stesso governo, in un palese conflitto di interessi, ad aiutare le imprese interessate ad ottenere le licenze ambientali non solo finanziandole, ma anche concedendo direttamente le autorizzazioni, sottostimando l’impatto sull’ecosistema o ignorando deliberatamente gli effetti negativi sulla flora, sulla fauna e sugli abitanti delle zone interessate. Tutto ciò è emerso anche da uno dei tanti filoni della celebre inchiesta Lava Jato[10], da cui sono derivate le premesse per il ribaltamento politico che si è verificato in Brasile.

I timori relativi al futuro della questione ambientale sotto la presidenza Bolsonaro non finiscono qui. La nomina a ministro dell’ambiente di Ricardo Salles rappresenta un’ulteriore fonte di preoccupazione per i trascorsi politici e i legami con la bancada ruralista e con l’oligarchia brasiliana dedita al commercio delle armi, che lo hanno ampiamente finanziato in occasione della sua campagna per divenire deputato federale. Avvocato ed ex segretario del tucano[11] Geraldo Alckmin (il candidato conservatore il cui bacino elettorale è stato prosciugato proprio da Bolsonaro alle ultime presidenziali), Salles ha già dichiarato che intende ridimensionare profondamente l’Ibama e i paletti che l’ente mette a proposito della concessione delle licenze ambientali. Il nuovo ministro ha espresso la sua intenzione nel corso di un incontro con Frederico D’Ávila, dirigente della Sociedade rural brasileira eletto nelle fila del Partido social liberal, e Antônio Nabhan Garcia, presidente dell’Únião democrática ruralista, durante il quale ha ribadito che si adopererà affinché si crei una maggiore sinergia con il dicastero dell’agricoltura[12].

Il fatto che Antônio Nabhan Garcia abbia festeggiato la nomina di Salles a ministro dell’ambiente, perché “metterà fine allo stato poliziesco e confiscatorio”[13] contro coloro che lavorano e producono in Brasile, fa temere una volta di più il totale assoggettamento del ministero dell’ambiente a quello dell’agricoltura, la cui ministra Tereza Cristina, appartenente al settore del paese legato al grande latifondo e agli agrotossici, è denominata inequivocabilmente O musa do Veneno, in quanto lo scopo principale della sua designazione è quello di abrogare l’attuale Lei dos Agrotóxicos a vantaggio del cosiddetto Pacote do Veneno, un insieme di misure volte a rendere facile la vita alle multinazionali del transgenico come Cargill e Monsanto.

Il ministero dell’ambiente, creato per proteggere e tutelare gli ecosistemi, le risorse idriche, la biodiversità e la sterminata selva amazzonica, finirà per essere sottomesso ad un modello di sviluppo agricolo fondato sulla monocoltura, sull’utilizzo dei semi transgenici e degli agrotossici, nei confronti dei quali già le presidenze petiste non erano riuscite, o non avevano voluto, mettere un freno, attirandosi le critiche delle organizzazioni popolari contadine, delle comunità indigene e della parte progressista della Chiesa cattolica.

I nomi dei sostenitori e dei finanziatori del ministro Ricardo Salles fanno intravedere, già per le posizioni che ricoprono, quale sarà il futuro dell’ambiente in Brasile. Tra loro figurano Jayme Brasil Garfinkel, presidente del consiglio di amministrazione della compagnia di assicurazione Porto Seguro Seguros e imprenditore della fazenda Periquitos Companhia Agropecuária, nota per la produzione della monocoltura della soia, e José Salim Mattar Junior, proprietario di Localiza Hertz, una ditta specializzata nel noleggio delle automobili.

La lista dei finanziatori di Salles non si ferma qui. Ne fanno parte anche Ronaldo José Neves de Carvalho, che presiede la Companhia Comercial de Drogas e Medicamentos, specializzata nel commercio di articoli chimico farmaceutici, Luis Stuhlberg, gestore di Fundo Verde, il fondo di commodities agricole di Credit Suisse e Gastão de Souza Mesquita, il quale controlla la Companhia Melhoramentos do Norte do Paraná, una delle maggiore imprese di agrobusiness del paese. Anche la lobby delle armi può vantare molti uomini d’affari vicini al nuovo ministro, a partire da Antonio Marcos Moraes Barros, tra i maggiori azionisti della fabbrica di armi Taurus e presidente della Companhia Brasileira de Cartuchos, una delle imprese leader nella produzione e nel commercio di munizioni in Brasile.

Se il ministero dell’ambiente finirà per diventare una succursale di quello dell’agricoltura, non sarà soltanto un intero ecosistema a subire un duro colpo da un Congresso sempre più dominato dall’oligarchia terriera, dall’agrobusiness e dalle multinazionali, ma anche le comunità indigene del Brasile, molte delle quali composte da gruppi di indiani incontattati[14], i quali hanno chiesto esplicitamente che la Fundação nacional do índio resti all’interno del Ministero della giustizia e non finisca per essere esautorata o essere incorporata, anch’essa, all’interno del dicastero agricolo[15].

“Nemmeno un centimetro quadrato in più agli indios”, è la frase minacciosa pronunciata più volte da Bolsonaro, che gode dell’appoggio di fazendeiros, garimpeiros (i cercatori d’oro), madereiros (i taglialegna illegali), delle grandi imprese petrolifere, della soia e di costruzione delle centrali idroelettriche.

Il 13 dicembre 2018, dopo l’ennesima provocazione del nuovo presidente, che ha paragonato le comunità indigene agli animali, l’Articulação dos Povos Indígenas do Brasil (Apib) ha deciso di inviare una lunga lettera a Bolsonaro per chiedere il rispetto dei diritti fondamentali[16].Al centro della missiva dell’Apib l’articolo 231 della Costituzione federale del 1988, che sancisce il riconoscimento dell’organizzazione sociale, delle lingue, degli usi, dei costumi e delle tradizioni degli indios, sottolineando che è compito dello Stato demarcare, proteggere e far rispettare i diritti originari sulle terre dove le comunità indigene vivono. A questo proposito, evidenziano ancora gli indios, lo Stato deve occuparsi di proteggere i loro territori da interventi esterni e da invasioni illegali, poiché la Costituzione non elargisce diritti ai popoli indigeni, ma li riconosce.

Per screditare le comunità indigene Bolsonaro dispone comunque di numerose frecce al suo arco, tra queste l’accusa, a dire il vero piuttosto fantasiosa, che gli indios intendano costituire stati autonomi al di fuori del Brasile. Anche di fronte a questa illazione, l’Apib ha risposto facendo ricorso alla Costituzione, che all’articolo 20 definisce le terre indigene come di proprietà dello Stato. In tutto il continente latinoamericano e, a maggior ragione, in Brasile, gli indigeni non sono interessati a costituire delle entità statali autonome, ma puntualizzano che, trattandosi proprio di territori di proprietà dello Stato, è compito di quest’ultimo adoperarsi per la loro protezione e demarcazione. I frequenti richiami alla Costituzione delle comunità indigene sono anche volti a mostrare come l’attuale presidente del Brasile intenda prevaricarla ripetutamente, a partire da quell’articolo 225 che definisce la tutela dell’ambiente un diritto fondamentale di fronte allo sfruttamento minerario intensivo, all’agronegozio e alla costruzione di nuove centrali idroelettriche.

La battaglia degli indios per vedere riconosciuti i propri diritti nell’era della presidenza Bolsonaro passerà anche attraverso Joenia Wapichana, la prima donna indigena ad essere eletta deputata al Parlamento brasiliano e ad aver conquistato un seggio nello stato del Roraima[17]. Subito dopo la sua elezione, la donna ha dichiarato l’impegno per portare a conclusione il progetto di demarcazione delle terre indigene, già bloccato dalla presidenza Temer e a cui difficilmente Bolsonaro darà impulso. Joenia Wapichana dovrà fare i conti con almeno duecento deputati legati alla bancada ruralista, per cui sembra molto complicato sia il suo percorso per far approvare uno Statuto dei popoli indigeni, sia la vertenza relativa alla proposta di emendamento della Costituzione (conosciuta come Pec 2015), volta ad attribuire al Congresso la possibilità di stabilire la demarcazione delle terre indigene in barba agli organismi preposti indicati dalla Costituzione.

Proprio la questione della demarcazione delle terre indigene rappresenta una vera e propria bomba ad orologeria della presidenza Bolsonaro[18]. Attualmente, sono circa 130 i territori in fase di demarcazione che il nuovo presidente potrebbe bloccare, nonostante in molte zone del paese siano già in corso conflitti tra fazendeiros e comunità indigene. Ad esempio, nello stato del Mato Grosso do Sul, gli indios guarani-kaiowá, da decenni, stanno affrontando una durissima lotta con i fazendeiros, che non vogliono riconoscere loro il diritto a vivere in quelle terre da sempre abitate dagli indigeni. La paralisi della demarcazione dei territori indios ha allarmato il Conselho indigenista missionário, che ha ricordato come Bolsonaro non possa in alcun modo violare la Costituzione e mettere in discussione la proprietà delle terre degli indios per gli interessi di pochi. L’intenzione del presidente di autorizzare la vendita e il porto d’armi libero non farà altro che aumentare la conflittualità nelle campagne a scapito di indigeni e contadini.

Lo scorso anno il presidente Temer aveva sottoscritto il parere dell’Avvocatura generale dell’Unione, che stabiliva un limite temporale in base al quale potevano essere demarcate le terre di proprietà delle comunità indigene soltanto fino alla data di promulgazione della Costituzione federale, avvenuta nell’ottobre del 1988. A fare scuola, la decisione del Tribunale supremo federale del 2009, che sancì il diritto alla terra per le comunità della Riserva Raposa Serra da Sol (nello stato del Roraima), un’area occupata illegalmente da allevatori di bestiame e da coltivatori di riso. Tuttavia, in quell’occasione, il Congresso stabilì che quel parere non sarebbe stato vincolante.

Dal ritorno della democrazia, nel 1985, la più alta media di demarcazione delle terre indigene risale alla presidenza di Fernando Collor de Mello (56). Durante i 13 anni di petismo sia Lula sia Dilma Rousseff per certi aspetti si sono trovati con le mani legate dalla bancada ruralista, per altri, nel tentativo di restare al governo, hanno fatto di tutto per cercare di compiacere l’oligarchia terriera allo scopo di raggiungere una pacificazione sociale che non li ha comunque risparmiati dagli attacchi della destra, riuscita alla fine ad eliminare politicamente entrambi, pur con metodi discutibili. La demarcazione delle terre indigene ha iniziato a rallentare principalmente con Dilma Rousseff al Planalto e si è bloccata con Temer; le provocatorie dichiarazioni di Bolsonaro non fanno altro che gettare benzina sul fuoco.

Attualmente, come fa notare la Fundação nacional do índio, il processo di demarcazione delle terre degli indios è regolato dal decreto 1775/96[19]. L’atto di demarcazione è una competenza esclusiva dell’esecutivo, secondo quanto stabilisce la Costituzione federale del 1988: il diritto dei popoli indigeni alla terra è originario poiché gli indios vi abitavano ben prima che si costituisse lo Stato brasiliano. Nonostante questo, Bolsonaro sostiene che le terre indigene già demarcate sono sovradimensionate, prendendo spunto dalla demarcazione della terra dell’etnia yanomami (nel nord dell’Amazzonia), corrispondente, secondo lui, a due volte lo stato di Rio de Janeiro. La demarcazione della terra yanomami fu sancita nel 1991 da Collor de Mello a seguito di una vera e propria strage di indios di cui si erano resi responsabili i garimpeiros.

Finora in Brasile vi sono 436 terre indigene pienamente riconosciute, che ammontano a circa 117 milioni di ettari, il 14% del territorio nazionale. Il presidente intende aprire i territori indigeni alle imprese interessate alla costruzione di nuove infrastrutture e attività legate all’estrazione mineraria, ma per farlo violerebbe la Costituzione, che vieta la realizzazione di progetti con impatto diretto sulle terre dove vivono gli indios.

“Sfortunatamente, le cose cambieranno solo scatenando una guerra civile”[20], dichiarava già nel 1999 l’allora deputato Bolsonaro, convinto che la difesa della sicurezza, individuale e della proprietà privata sia l’unico modo per ristabilire quello status quo che 13 anni di petismo sono riusciti solo leggermente a scalfire. I privilegi delle classi medio-alte, con Bolsonaro, torneranno a rivestire un ruolo centrale e a farne le spese saranno le comunità indigene a cui il grande latifondo ha sempre fatto la guerra, non accontentandosi nemmeno delle molteplici concessioni che il petismo ha finito, obtorto collo, per fare.

La politica ambientale non può rappresentare un ostacolo allo sviluppo del paese, argomenta Bolsonaro, sottolineando che soltanto il settore economico legato all’agronegozio è in buona salute. Molti analisti politici ritengono che nell’attuale scenario brasiliano le garanzie costituzionali siano a forte rischio, come dimostrano le dichiarazioni e le prime azioni del presidente. Militari, ruralistas, bancada evangelica e tutti coloro che si riconoscono nelle posizioni razziste, omofobe e fondamentaliste del loro presidente, hanno trovato il rappresentante che sosterrà e legittimerà i diritti e le aspirazioni di quell’oligarchia da sempre nemica di minoranze quali indios, senza terra e contadini, ritenuti ostacoli a quel sistema finanziario speculativo di cui Bolsonaro è il principale portavoce.

NOTE

[1] J. BRAUN, Alegando falta de orçamento, Brasil desiste de sediar COP 25, https://veja.abril.com.br/mundo/alegando-falta-de-orcamento-brasil-desiste-de-sediar-cop-25/, 28 novembre 2018

[2]Il Pré-sal è un insieme di rocce che si trovano in una parte della costa brasiliana, la cui caratteristica principale è il rilascio del greggio. La denominazione di Pré-sal deriva dal fatto che lo strato roccioso si trova sotto un ampio sedimento di sale. Le rocce sono collocate prima del giacimento salino.

[3]G. CAROTENUTO, Brasile, le responsabilità del PT e il golpe da fermare, http://www.gennarocarotenuto.it/28079-brasile-golpe-pt/,  14 maggio 2016

[4]M. BRUCKMANN, Brasil en la escena mundial, https://www.alainet.org/es/articulo/197236, 19 dicembre 2018

[5] U. RODRÍGUEZ, Bolsonaro, una amenaza para el Amazonas, https://www.alainet.org/es/articulo/196492, 13 novembre, 2018

[6] M. KOKKE, Sete propostas de Jair Bolsonaro contrárias ao meio ambiente, http://www.ihu.unisinos.br/78-noticias/583859-sete-propostas-de-jair-bolsonaro-contrarias-ao-meio-ambiente, 19 ottobre 2018

[7]R. DAHER, As grandes empresas estrangeiras do agronegocio nacional, https://www.cartacapital.com.br/opiniao/as-grandes-empresas-estrangeiras-do-agronegocio-nacional/, 17 dicembre 2018

[8]A. AROEIRA, Não são os ativistas ou Ibama que emperram grandes obras. São estudos ambientais mal feitos, https://theintercept.com/2018/12/17/ibama-grandes-obras-estudos-ambientais/, 18 dicembre 2018

[9]Ibidem

[10]T. CARLOTTI, Operação Golpe: Lava Jato mostra a que veio, https://www.cartamaior.com.br/?/Editoria/Politica/Operacao-Golpe-Lava-Jato-mostra-a-que-veio/4/35975, 17 aprile 2016

[11] Sono denominati tucanos i politici e i militanti del Psdb – Partido da Social Democracia Brasileira (di orientamento conservatore, a dispetto del nome). Il simbolo del partito è il tucano e per questo motivo gli esponenti del partito vengono definiti come tucanos.

[12] C. DE OLIVEIRA, Quem são os principais financiadores de Ricardo Salles, ministro do Meio Ambiente, https://www.redebrasilatual.com.br/politica/2018/12/saiba-quem-sao-os-ruralistas-que-financiam-o-ministro-de-bolsonaro-para-o-meio-ambiente, 17 dicembre 2018

[13] Ibidem

[14] Le tribù di indiani incontattati abitano nelle regioni più remote dell’Amazzonia brasiliana senza avere alcun contatto con il mondo esterno. Corrono il rischio di estinguersi per malattie portate dall’esterno e per la perdita della terra.

[15] A. FERRACUTI, L’agrobusiness uccide gli indios, l’Extraterrestre, supplemento del quotidiano il manifesto, 3 gennaio 2019

[16]Articulação dos Povos Indígenas do Brasil, Apib entrega carta ao governo de transição cobrando respeito e a garantia dos direitos fundamentais, https://porem.net/2018/12/07/apib-entrega-carta-ao-governo-de-transicao-cobrando-respeito-e-a-garantia-dos-direitos-fundamentais/, 7 dicembre 2018

[17] F. BILOTTA, Cade un tabù lungo due secoli. La prima deputata indigena, il manifesto, 31 ottobre 2018

[18]B. JUCÁ, A bomba-relógio das demarcações indígenas no Governo Bolsonaro,  https://brasil.elpais.com/brasil/2018/11/09/politica/1541769904_001109.html, 21 novembre 2018

[19]Conselho Indigenista Missionário, Como è feita a demarcação de terras indígenas, https://cimi.org.br/TERRAS-INDIGENAS/DEMARCACAO/

[20] R. LAMBERT, Il Brasile è fascista?, edizione italiana di Le monde diplomatique, novembre 2018

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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