La quinta parete
susanna sinigaglia
La quinta parete[1]
Romeo Castellucci
Una ragazza si tinge il viso di rosso e poi resta per qualche istante seduta, attonita, a fissare il vuoto.
Una sposa si trascina sull’impiantito col suo vestito bianco, il viso nascosto dietro un velo, che sembra in gramaglie: abbandonata sull’altare?
Una donna nuda scappa correndo in alto, lungo la balconata che corona lo spazio scenico, trascinandosi dietro un lungo drappo semitrasparente: sfugge a uno stupro?
Un uomo si denuda la schiena e comincia a disegnarvi, senza vedere, una faccia.
Una ragazza finisce col mettersi in castigo da sola, là in fondo, in un angolo.
Un libro viene appoggiato, aperto, al centro dello spazio; riporta brani tratti dalle Lettere di Paolo e dal Corano.
Una voce fuori campo ci presenta l’orologio che sta scandendo il tempo rimanente prima della distruzione dell’umanità; ma centrando con delle pallottole di carta un secchio, le lancette dell’orologio si possono fermare per qualche istante, rimandando solo di poco però l’inevitabile.
Sono tutti flash rimasti nella mia mente dopo aver visto il lavoro frutto di un workshop durato diciassette giorni che Castellucci ha tenuto alla Triennale, e ha impegnato gli interpreti (15) in brevi quadri messi in scena nel retropalco del teatro, trasformato per l’occasione in spazio performativo.
Come ogni lavoro di Castellucci, anche questo ha un tocco di originalità che lo contraddistingue e che reca l’impronta dell’artista.
[1] “La quinta parete della scena è quella della mente dello spettatore”, si legge nella presentazione dello spettacolo sulla pagina online della Triennale.