La rivolta, lo spirito e la tartaruga-isola:

conversando con Lance Henson

«Questo anno che si è appena chiuso dovrebbe essere oggetto di meditazione per gli incredibili mutamenti che ha prodotto».

Avevo belle chiare in testa tre “domandone” (e persino un paio d’emergenza) per Lance Henson ma la conversazione porta subito in un altrove interessante. Ci conosciamo da anni e l’intervista prevista per «L’unione sarda» passa in secondo piano rispetto al piacere del confronto e alla ricerca di un comune sentire.

Ove non sappiate chi è Lance Henson, scoprirete qualcosa di lui in questa chiacchierata e alla fine aggiungerò qualche indicazione sui suoi libri. Per intodurlo basta dire che è un poeta, ma anche un rappresentante “politico” (fra virgolette perchè la sua idea della politica è diversa da quella della tradizione europea) e spirituale del popolo che noi conosciamo come Cheyenne; «mentre il nostro vero nome è tsistsistas, un termine che significa sia “esseri umani” che “popolo magnifico”. Attualmente viviamo in due località della terra oggi chiamata America» spiega lui stesso.

La chiacchierata si svolge in inglese, per Lance Henson «la lingua del nemico» e per me un pianeta sconosciuto. D’obbligo dunque ringraziare per la minuziosa traduzione Silvana Fracasso che nella vita è l’amore di Lance e per l’anagrafe (post-leggi razziste di Maroni che hanno costretto molte coppe “miste” ad arbitrarie forme di legalità) anche sua moglie.

Due asterischi rimandano a notizie che può essere utile conoscere… dopo, senza cioè spezzare il filo del discorso.

Ciò chiarito, si parte.

«Nella mondanità del tessuto sociale tutto sembra andare bene ma si allargano le crepe nelle fondamenta. Quando ero giovane nella mia comunità fra le voci più ascoltate c’era Vine Deloria (*) e lui aveva previsto i tempia venire e che alla fine l’isola della tartaruga avrebbe risposto alla disumanità che sempre più sta lacerando il tessuto della vita». Sull’isola della tartaruga – una storia che da noi non è conosciuta – Lance tornerà verso la fine della conversazione.

«Dobbiamo guardare il messaggio del mito che viene ignorato, cercare lì le risposte. Le piccole vittorie della primavera araba, ma anche la rivolta in America, sono il sollevarsi dell’umanità contro un sistema disumanizzato. Il movimento “occupy” ha persino fatto irruzione nel Parlamento degli Usa. Sorprendente. Sono voci senza leader. Ma il messaggio è così forte da cambiare la vita di molte persone. Le idee che spingono questi movimenti molto spesso non vengono verbalizzate, ma è evidente che essi hanno la comune intuizione di doversi ribellare a una tirannia: una componente indefinibile eppure fortissima. Del resto nello spirito umano c’è molto che non possiamo chiarire. Io lo considero un movimento spirituale prima che politico. Persone estremamente consapevoli, decise a cambiare in primo luogo la loro vita».

Le dirette di Al Jazera avevano a tal punto coinvolto Lance che non trovava più il tempo per scrivere. O meglio: le immagini erano così forti da imporre una pausa di riflessione, un restare ammutoliti, senza parole… Poi sua figlia Zoe gli ha detto che aveva il dovere di scrivere e ha ricominciato. Ma a questo punto della conversazione è inevitabile una domanda: «la tirannia vincerà ancora?».

Come sempre Lance soppesa a lungo le parole prima di rispondere.

«Oggi il volto della tirannia è in mostra. Per gli eredi dei popoli nativi è stato più facile, noi lo abbiamo riconosciuto subito. Ma ora è visibile a tutti. Potete chiamarlo capitalismo se volete. Il suo linguaggio è diventato più riconoscibile che in passato. Non ha un aspetto spirituale, anche se continua a fingere. Non ha altro progetto che quello di Wall Street. Però viviamo in tempi pericolosi perchè la filosofia neo-con ha mostrato come questa tirannia pensa solo a difendere se stessa, sfuggendo a ciò che lei stessa distrugge. C’è gente che crede di poter vivere in città sotterranee dopo aver distrutto tutto quello che c’è sopra, il mondo intero. Per ricostruire la speranza occorre guardare oltre la confusione e la disinformazione, oltre la nostra attuale difficoltà a comunicare».

Ricordandosi che ero venuto per una intervista, Lance mi chiede cosa volevo domandargli. La mia prima domanda era sui muri invisibili: sapere qual era, dopo tanti anni in Europa, la barriera più alta che lui sentiva alzarsi anche con persone a lui vicine.

«Negli incontri pubblici come nelle conversazioni con intellettuali io chiedo perchè questa è sempre più una nazione di estranei. Non vengo compreso quando lo domando. Oppure la risposta è: “abbiamo paura”. Paura “di tutto”. E poi mi dicono “abbiamo poco tempo, per questo non concediamo attenzione alle persone”; oppure “non appartiene alla nostra cultura”. Credo invece che al fondo ci sia un’idea di superiorità ed è questa che consente di negare i diritti a molte persone. A me pare che ciò stia alimentando un grande disordine mentale, io non vedo molte persone felici in Europa, anzi vedo una regressione. Giudico negativamente il ruolo fortissimo della Chiesa cattolica in Italia anche per questo. La paura e il razzismo mi sembrano sempre più la stessa cosa. Tanti hanno perduto l’anima, avrebbe detto Vine Deloria. Non è neppure il vecchio imperialismo culturale, il colonialismo: non riconosco una gran cultura all’Europa di oggi, chi mai potrebbe farsi colonizzare? Eppure la confusione regna anche fra la mia gente… Non abbiamo abbastanza forza per essere un’alternativa ai modelli della tirannia».

Quasi in un momentaneo scambio di ruoli obietto a Lance che lo spirito dei nativi americani – le “ombre rosse” direbbe qualcuno – dato per sconfitto sembra sempre ripresentarsi. In un celebre libro, «Il ritorno del pellerossa» (da poco ristampato in Italia) Leslie Fiedler parla dell’indiano che sta scomparendo ma in realtà non svanisce e anzi riappare, riconquista la scena.

«Il dilemma sull’americano delle origini attraversa la società. Ho letto Fiedler all’università: un approccio brillante, un intellettuale attento all’integrità dell’altro, in particolare dei nativi americani. Un ribelle, un visionario. Molto critico sulla narrativa che ci ignorava. E’ morto prima di vedere la letteratura dei nativi emergere. Queste ombre, come dice qualcuno, dalle tradizioni orali sono diventate pagine per riproporre un messaggio costante, insegnare a sopravvivere. Noi siamo passati da una sconfitta militare alla ghettizzazione cercando di mantenere la forza dei nostri riti, della spiritualità; è un metodo che forse può essere adottato anche dai cambiamenti in corso nel mondo. Mahmoud Darwish (**) aveva una positività resistente, un messaggio umano che può essere valido per tutti, anche per gli europei. Per sopravvivere devi definire la struttura metaforica che ti sostiene, riscoprire nella vita quotidiana una battaglia antica che non ha nulla a vedere con la religione o la filosofia ma con la comprensione della relazione, con il diritto di vivere dentro la comunità degli esseri umami. La semplice realtà è che non possiamo sopravvivere come razza umana se non siamo capaci di articolare la nostra anima e gli istinti basilari. Dobbiamo definire il nostro bisogno di sopravvivenza in relazione al mondo sia individualmente che collettivamente. Vivere dentro la comunità degli umani non richiede particolare talento. Però molto è andato perduto anche per colpa di Stati e Chiese che ci hanno allontanato dal nostro esser parte del mondo naturale. L’isola della tartaruga sta rispondendo. Il messaggio del mondo naturale in gran parte non si può definire a parole ma è evidente nei mutamenti del pianeta che ci lanciano un messaggio assolutamente da ascoltare, ben più chiaro di quelli politici o filosofici. Siamo chiamati a rispondere del disastro ambientale che abbiamo provocato per la nostra incapacità di sentirci umili. Nel mondo dei Navaho o degli Hopi, un esempio di potenza è la pulce: ci morde per ricordarci che dobbiamo essere puliti. É semplice no? Eppure ha un significato più profondo… Per la persona che dorme sulla schiena della tartaruga, il petrolio tirato fuori dalla terra è come quella pulce. Non basta farsi la doccia se si è sporchi».

E’ il momento di chiarire la natura di questa tartaruga-isola già due volte nominata.

«E’ un mito. Un essere umano vede se stesso nel sogno, sta galleggiando nell’oceano. Una tartaruga nuota verso la persona che sogna e gli dice “sembri molto stanco”. Lo invita ad appoggiarsi alla sua schiena e l’uomo lo fa ben volentieri. Così si accorge che sul guscio ci sono molte altre persone di colori differenti e che parlano lingue diverse. “Mio piccolo amico stai bene qui?” gli chiede la tartaruga: “vedi tutte queste persone che si appoggiano a me? Alcune sono molto belle ma altre scavano sulla mia schiena o avvelenano l’aria qui intorno. Ad altre persone non piace chi è un po’ differente e così iniziano a lottare fra loro. Tu sei in un sogno speciale perciò quando ti svegli devi raccontare quel che hai visto, dire che se sulla mia schiena continuano le guerre e qualcuno avvelena qui intorno: io ho un solo modo per salvarmi, andare sott’acqua. Ma voi come farete senza di me?”. Questo mito è originario dei Mohaw, che oggi vivono in una riserva vicino New York: sono un popolo legato ai più famosi Mohicani da tempo scomparsi».

Chiedo a Lance Henson del suo nuovo libro.

«Si intitolerà “Emo s-est-de-haa’e” in lingua tsistsistas con vicino le due possibili traduzioni italiane: “Vento che sussurra lievemente” e “colui/colei che parla dolcemente”. Sono due prospettive diverse, una cosmica e una personale, entrambe legate a una parola sacra. Il vento infonde la vita che parte dal respiro, ed è su un soffio sottile, benefico all’interno del vento che viaggiano le cose sacre, il fischio dell’aquila nelle nostre preghiere».

Si interrompe per prendere un fischietto ricavato dall’osso di un’aquila e mostrarmelo. Lo indossa da 32 anni per la danza del sole. «Quello più antico della mia famiglia è andato perduto e ho dovuto ricomprarlo. Quest’altro oggetto – me lo mostra – è un supporto alla preghiera, antico di 500 anni. Il vento connette il fischio e in questo libro collega poesie per persone scomparse: una è dedicata a Enrico Pili che ho conosciuto in Sardegna. Quando ripenso a persone amiche morte così giovani, mi chiedo perchè io sono sopravvissuto a tutto, persino all’avere combattutto in Vietnam, quando ero molto giovane e poco cosciente di quel che facevo. Mi rispondo che se sono ancora vivo forse è perchè devo continuare a scrivere. Come diceva Walt Whitman in “Foglie d’erba” ogni poesia è parte di un viaggio ed è lì che ogni giorno cucino la mia vita».

DUE INFORMAZIONI SUPPLEMENTARI

(*) Vine Deloria junior (1933-2005) nasce nel popolo Sioux: è stato scrittore, studioso di spiritualità, professore universitario e attivista. Il suo libro più conosciuto resta «Custer è morto per i vostri peccati. Manifesto indiano» (nel 1972 fu tradotto anche in Italia).

(**) Mahmoud Darwish (1941-2008) è stato un poeta e scrittore palestinese.

UNA PICCOLA NOTA BIBLIOGRAFICA

Sono 36 i libri di Lance Henson, pubblicati in molte lingue. In «La neve scarlatta» (uscito nel 2003) di Gisele Vanhese, la sua poesia viene messa a paragone con quella di Yves Bonnewfoy, Paul Celan, Alain Tasso e Salvatore Quasimodo. Gli ultimi editi in Italia – sempre in edizione bilingue – sono «Un canto dal vento che si leva» (edizioni La collina), «I testi del lupo» (Nottetempo) e «La perlina mancante: poesie di un dog soldier scritte in esilio» (Arcipelago). Su http://www.nativewiki.org/Lance_Henson la biografia aggiornata. Chi vuole scrivergli (in inglese) lo trova su lancehens@yaho.com: è spesso in Italia anche per conferenze o per letture pubbliche dei suoi versi.


Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *