La Rivoluzione breve è anche la rivoluzione che ha prodotti effetti più lunghi e notevoli nella storia.

Dalla caduta del Palazzo d’Inverno alla caduta del Muro di Berlino, spunti di riflessione politica.
di Mauro Antonio Miglieruolo
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Tra le rivoluzioni che negli ultimi tre secoli hanno trasformato il mondo, quella russa si distingue (a parte l’importanza per le sorti dell’umanità) per essere quella con il ciclo più breve e nello stesso tempo per avere proiettato i suoi effetti su un più lontano futuro e i più lontani territori. Come lei, per importanza, solo la Rivoluzione Francese, che se ha sconvolto la sola Europa, ha comunque avuto effetti più duraturi dal punto di vista della borghesia: ha assicurato a quest’ultima il dominio sul mondo.

L'arrivo dei marinai di Kronstadt a Pietrogrado

L’arrivo dei marinai di Kronstadt a Pietrogrado

Il ciclo della Rivoluzione Russa ha inizio nel 1905, riprende nel febbraio del 1917, trionfa nell’Ottobre dello stesso anno e nel 1921, dopo 4 anni di guerra civile, con i fatti di Kronstadt (la paradossale rivolta pro-bolscevica dei marinai, che però si dichiaravano contro i “comunisti” ) si può dire praticamente conclusa. In tutto, 16 anni. Trascorsi questi 16 anni le masse, rese esauste dalla combinazione tra guerra imperialista e guerra in difesa della rivoluzione, non avranno più parte attiva nelle vicende politiche. Saranno gli apparati del partito a avere l’esclusiva nel portarle avanti, gli stessi apparati a “mobilitarle” sulla base dei bisogni determinati dalle contraddizioni interne al paese. In assenza delle masse però questi apparati, prova in negativo della giustezza delle tesi marxiste-leniniste, nessun gruppo dirigente, per quanto abile e addestrato selezionato da un ventennio di lavoro di lavoro clandestino antizarista, può gestire i nuovi strumenti che la rivoluzione ha creato; e saranno loro quindi, i funzionari del partito, non le masse, a dover affrontare tutte le problematiche della lotta ideologica di classe; e a dover mantenere in piedi una qualche parvenza di Dittatura del Proletariato (dizione che a quel punto è impropria: non si può assimilare la dittatura dei funzionari di partito a quella delle masse).
La sopravvivenza di questi elementi residuali di potere, nei quali la volontà del proletariato è quasi del tutto assente, secondo alcuni, a mio parere a torto, prefigurerebbe una sorta di doppio potere simile a quello instauratosi in Russia dopo le giornate di febbraio; con la conseguenza (cercata?) di dilatare fino al 1927 o anche al 1929, il periodo di predominio della rivoluzione. Ma nel periodo tra febbraio e ottobre 1917 il dualismo era tra un governo conservatore che lavorava per por termine alla spinta rivoluzionaria e i Soviet che ne sostenevano le potenzialità. A partire dal 1921 (diciamo 1921/1924: la storia è indifferente ai problemi di periodizzazione che stanno tanto a cuore e sembrano essere tanto indispensabili per gli esseri umani) governo e Soviet invece sono sotto il controllo di un’unica volontà, quella del Partito Comunista Russo, il quale partito si illude di controllando lo Stato, di controllare tutto il paese; il quale invece risponde alla combinazione degli interessi della vecchia burocrazia e della nuova.combinazione che rapidamente impone la propria volontà all’esiguo strato di bolscevichi sopravvissuto alle vicissitudini che lo hanno portato al potere. Imposizione di volontà che è conseguenza di imposizione di mentalità, di una sempre più forte influenza sulla formazione ideologica rivoluzionaria di un tempo. Il Partito Comunista non più lo stesso, né politicamente, né socialmente, della vigilia della rivoluzione. Non più gli stessi militanti, non più la stessa base operaia, inghiottiti ambedue sui campi di battaglia e nella guerra di ritorno scatenata dalla borghesia. I comunisti di prima della rivoluzione, i militanti temprati da decenni di lotte, dibattiti, sacrifici e persecuzioni, coloro che sono stati partecipi della storia del partito, costituiscono uno strato sottile in mezzo a una massa di nuovi militanti esposti all’influenza dell’ideologia borghese che, i vecchi militanti lo sapevano, era capace di assumere travestimenti molti sottili per sterilizzare dall’interno l’orientamento rivoluzionario delle formazioni ideologiche comuniste.

Lenin

Lenin

Dei militanti comunisti l’unico ad avere una consapevolezza di questa realtà è Lenin, che attraverso diverse campagne di verifica dei militanti tenterà di allontanare gli elementi più infidi, gli arrivisti, quelli che non forniscono garanzie di altruismo e dedizione alla causa. Fallirà sostanzialmente nell’intento (come per altro ha fallito Mao con la Rivoluzione Culturale). È proprio di Lenin una metafora che denuncia la crescente impotenza dei comunisti a governare i processi da loro stessi avviati. Diceva Lenin di sentirsi come il conducente di un’auto capitata su una lastra di ghiaccio che non risponde più ai movimenti impressi al volante. La storia successiva al 22 è dunque una storia di arretramento difensivo, la storia della frazione leninista che tenta di guidare la ritirata in attesa che analoghi sommovimenti all’estero diano nuovo slancio e nuova linfa alla rivoluzione.
Le illusioni sull’esistenza di un doppio potere possono comunque essere presi in esame, benché con forti perplessità, finché è vivo Lenin. Lenin rappresenta il garante del processo Rivoluzionario e l’unico argine nei confronti dello stalinismo (già robustamente presente prima che Stalin stesso, dopo aver assunto il controllo del partito, ne incarni le terribili caratteristiche). Dopo la morte di Lenin e il consolidamento del potere di Stalin, espressione della nuova classe dirigente, non è più possibile illudersi sui destini della Dittatura del Proletariato. Quest’ultima si è lentamente svuotata di ogni significato, resa moribonda dal progressivo venir meno di chi la poteva animare e uccisa dalla pratica quotidiana del sostitutismo (con questo nome è definita la tendenza del partito a sostituirsi alle masse, di fronte alle insufficienze vere o presunte delle masse stesse); nonché dalla necessità dei bolscevichi di ricorrere ai servigi della vecchia burocrazia zarista (qualcosa del genere abbiamo sperimentato anche noi in Italia, nell’immediato dopoguerra, quando a far parte del nuovo stato repubblicano sono entrati i vecchi arnesi del fascismo insieme a molte delle norme fasciste e agli apparati di stato come il fascismo li aveva configurati: è in questa mancata transizione che possono essere individuate le cause dell’attuale declino del paese).
Una rivoluzione breve, dunque. Breve non solo se la paragoniamo a quella francese, che dura quasi un secolo (dall’Ottantanove alla Comune di Parigi, 1870, la cui sconfitta segna anche il trionfo definitivo della borghesia), ma anche alle contemporanee rivoluzioni Messicana e Cinese. La Rivoluzione Messicana iniziata prima (1910) si protrae fino al 1929, con la rivolta dei Cristeros; e quella Cinese che comincia nel 1912 e si può considerare conclusa con la sconfitta della sinistra nel 1976, in seguito al Colpo di Stato di Deng Xiaoping e il processo alla Banda dei Quattro (con il contemporaneo arresto e la fucilazione di decine di migliaia di militanti).

Momento della commune

Momento della commune

Una rivoluzione breve quella Russa ma i cui effetti si prolungano nel tempo: vengono del tutto a cessare soltanto in seguito alla caduta del Muro di Berlino, specie di secondo Ottantanove borghese. Per oltre settanta anni in Africa, in Asia, nelle Americhe ogni qualvolta un popolo trova in sé la forza di ribellarsi allo sfruttamento e all’oppressione, il punto di riferimento obbligato diventa l’Ottobre. L’impresa compiuta dai bolscevichi è tanto grande, tanto vertiginose sono le difficoltà affrontate e superate che quell’esperienza, una delle tante possibili, diventa l’Esperienza, il modello esclusivo a cui ispirarsi. Le deviazioni teoriche introdotte dalla Terza Internazionale, figlia di quella rivoluzione, non vengono riconosciute, il suo programma è il programma di chiunque accetti di incamminarsi sulla strada del comunismo. Le voci, pur forti, di coloro che si levano per denunciarle non trovano ascolto. È l’offensiva mondiale del Capitale a impedirlo. Un’offensiva condotta prima utilizzando la terribile arma del nazifascismo, che però gli si ritorce contro (esattamente come succede ai nostri tempi con il fenomeno del terrorismo telebano, voluto dagli Usa in funzione anti URSS e subito oggi da tutti); e poi direttamente, a mezzo della Guerra Fredda e delle crociate anticomuniste. A fronte di quest’offensiva le masse scelgono di affidarsi ciecamente all’unica forza che si presenta in chiave anticapitalista, anche se in realtà si tratta di mero scontro tra opposti imperialismi, scontro nel quale uno si avvale della sua origine (la Rivoluzione d’Ottobre, della quale non condivide altro che alcune parole d’ordine) e l’altro (il blocco capitalista) delle posizione di forza storicamente privilegiate e delle gravi contraddizioni dell’avversario.

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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