La “Ruta Canaria”

di Gigi Eusebi

Settimane di attività, molto fuori porta, con senza dimora e soprattutto migranti.
Della “Ruta Canaria” si parla poco, sia nei media mainstream che in quelli militanti, ma sta crescendo parecchio, si calcolano 20/30.000 persone all’anno che tentano la…roulette russa delle “pateras” (barconi) sull’oceano, che salpano dalle coste africane del Marocco, Sahara Occ., Mauritania, Senegal, Gambia.
È una roulette perché i morti ufficiali sono poco più di mille, ma quelli reali (le acque dell’oceano sono agitate e molto profonde, diverse migliaia di mt, a differenza del Mediterraneo i corpi scompaiono per sempre) si stima arrivino al 25%.
Ci sono persone di ogni provenienza, in maggioranza dalle coste africane più vicine, ma anche dall’Asia, dall’America Latina, perfino dall’Italia, specie tra coloro che dormono per strada o nei due dormitori pubblici dell’isola di Tenerife.
Ne ho conosciuti cinque, ci stanno provando ma a differenza di turisti e pensionati che prendono qui la residenza, a loro sta girando male.
Lo stesso per diversi brasiliani e molti venezuelani.
L’influenza di quest’ultimo paese nell’immigrazione di andata e ritorno, come per tutta l’America Centrale, è forte, l’accento e vocabolario “canário” é molto simile a quello venezuelano.
Molti, come accade nelle nostre frontiere, puntano a raggiungere il nord Europa, o almeno la “peninsula” (la Spagna continentale). Ma altrettanti si fermano qui, spesso in villaggi dove si ritrovano le stesse comunità di origine.
Cercano di costruirsi una vita decente, tra le zone oscure di uno stato e di un “cabildo” (autorità locale), che in parte li persegue (meno che in Europa) ed in parte spesso non stringe più di tanto le maglie degli ingressi.
Una delle ragioni che spingono molti, specie gli africani, a tentare la via canaria, è che conoscendo i percorsi di violenze e torture di chi approda nel Mediterraneo dopo anni di soprusi in Libia, dovendo scegliere tra la vita, la morte, o la… morte in vita (campi libici and similar), decidono di puntare la fiche sulla roulette Canaria.

È arrivato ultimamente una specie di inverno, pioviggina e fa freschino.
Per chi vive nei tendoni del campo profughi de Las Raices, dove a causa di strani microclimi insulari fa proprio freddo, non è facile cavarsela, con cibo scarso e scadente, acqua fredda, arbitrarietà e rigidità nella gestione anche da parte dell’Ong filogovernativa, che non consente a nessun esterno di entrare.
Le realtà di supporto sono informali, singole persone che hanno iniziato negli ultimi anni a prendersi cura di qualche migrante, ospitandoli anche nelle proprie case, per poi evolversi nei servizi offerti e nel provare a fare massa critica, pressioni politiche per il rispetto dei diritti umani dei migranti.
Così sono ora più o meno attivi servizi legali, tutela dei minori, assistenza nelle richieste di asilo, fornitura di cibo, vestiti, medicine, corsi di lingua, il mercoledì anche di alfabetizzazione all’uso degli smartphone e di internet.
Da parte mia sto girando con tutti, e nel caso dei pasti ai senza dimora e dei corsi di spagnolo sono stato inserito al volo senza passare dal via negli “staff” (cinque minuti di spiegazione attività, presentazione alle persone venute ad usufruire del servizio di giornata, applausi poco meritati e via…).
Meriterebbe soffermarsi sulle analogie e differenze con i nostri gruppi di volontariato, in città o ai confini alpini.
Qui è tutto meno strutturato, nel bene e nel male, con il vantaggio non trascurabile di un’opinione pubblica meno razzista ed intollerante della nostra.
Segue qualche foto del campo profughi de Las Raices e dei corsi di spagnolo, che finiscono quasi sempre con merende o torte di compleanno di qualcuno (nel caso specifico di Falou, senegalese che in una settimana è riuscito a compiere gli anni tre volte…).

alexik

Un commento

  • Mariano Rampini

    Non è che se ne parli poco. È che non se ne parla affatto. Fa comodo ai nostri signori della terra (sì, proprio quelli di casa nostra) non far sapere che l’Italia non è l’unico canale attraverso il quale i migranti scelgono di entrare in Europa. Se la cosa fosse nota cadrebbe l’intero castello di carte dell’«invasione». Quindi, silenzio e tirare avanti senza guardarsi attorno! Grazie a Gigi che ha colmato una lacuna importante del mio poco sapere. Ma notizie come questa andrebbero diffuse e sbattute in faccia a chi sostiene che gli unici a “soffrire” (già, perché siamo un popolo che soffre. Forse per la loro presenza?) siamo noi. Il problema immigrazione – problema degli immigrati soprattutto – è globale e come tale andrebbe affrontato e studiato. Ma per i nostri governanti da barzelletta è meglio non far sapere e continuare a illudere la gente che in Italia sbarchino solo “palestrati”. Provo un disagio profondo dinanzi a queste storie. Lo provo soprattutto perché nessuno sembra davvero interessarsene. Neanche quello che fu – e che stenta a tornarlo – il partito dei lavoratori…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *