La sentenza per il massacro della Scuola Diaz – di Mark Adin

La giustizia dei tribunali non è mai “giusta”, per forza di cose, non può essere che approssimativa e insufficientemente risarcitoria. L’applicazione di una norma è il margine esiguo della giustizia: secondo alcuni, è giusta quando assolve o condanna senza tenere conto di sesso, credo politico o religioso, classe sociale. E’ già qualcosa, temo non si possa andare più lontano.

Se ci si pensa, non c’è niente di più imperfetto della definizione di una regola, di una legge, in quanto non può essere altro che una semplificazione, non può adattarsi perfettamente a ciascuna delle cause celebrate. Ma è anche una delle modalità comunemente accettate per accertare una verità. Già … La verità. Quante volte l’abbiamo provata questa necessità, e quante volte ci siamo sentiti frustrati. Quante volte conosciamo in cuor nostro la verità, sicuri di non sbagliarci, eppure manca ancora qualcosa, manca il riconoscimento ufficiale, una certificazione che la renda indiscutibile, il poterla gridare in piena libertà.

Ebbi uno spiacevole scontro con mio padre, da ragazzo, sulla vicenda dei desaparecidos argentini. Non credeva che potessero succedere crimini così infami, negava perché la sua visione del mondo, la sua concezione di male non riuscivano a contenere tanto orrore, negava, rimuoveva. Anni dopo dovette ricredersi. Fu quando la televisione ne parlò, riferendo dell’apertura del processo ai militari. Ne sancì, ai suoi occhi, la veridicità.

La crudeltà dei criminali in divisa andò oltre lo sterminio degli avversari politici: i militari avevano rapito i neonati, prima di torturare e assassinare le madri, erano arrivati persino ad assistere le partorienti per poi sottrarne i figli e affidarli a famiglie che avrebbero potuto crescerli secondo i più sani principi dell’anticomunismo. Quei figli sono oggi uomini e donne, non tutti consci di quanto accaduto, alcuni non ancora consapevoli della loro “adozione”. I generali sono stati condannati da un tribunale per i rapimenti di quei bambini. La condanna è parte del processo di accertamento dei fatti. Non ho mai dubitato della esistenza di queste vicende terribili, eppure la chiusura del processo e la emissione della sentenza li invera ancora di più. Faticosamente. Perché è fatica accettare la realtà, quando essa è lontana dai confini che la nostra coscienza ci pone attraverso limitazioni e censure volte, in qualche modo, a proteggere una certa nostra innocenza.

Non credo perciò alla infallibilità della giustizia, semmai alla sua necessità.

Ecco perché, alla fine del processo, in Cassazione, quando alcuni degli imputati sono stati condannati per i fatti di Genova, ho pensato che la vicenda del G8  avesse avuto quel poco di giustizia che consente lo Stato di diritto, e tutti gli Italiani un po’ di verità in più. Dopo undici anni di processo. In Argentina ce ne hanno messi una trentina, da noi non è andata poi così male. Videla, in tribunale, ha tentato di giustificarsi, ha ritenuto di far sapere al mondo che i militari lo hanno fatto secondo nobili principi, ha tenuto ostinatamente il punto. Da noi il capo della polizia ha scritto per chiedere scusa, pubblicamente, senza troppi giri di parole, per quanto accaduto alla Scuola Diaz.

Una volta rotto il fiato, ha indirizzato anche una lettera autografa alla madre del ragazzo Aldrovandi, ucciso inerme a calci e manganellate da quattro tutori dell’ordine condannati dal tribunale, e ha chiesto nuovamente scusa. Scuse tardive? Inutili? Insufficienti? Retoriche? Non so, ma non avevo mai sentito scuse ufficiali da parte del capo della polizia. Mai. Forse per questo trovo che siano apprezzabili, forse per questo penso che rappresentino qualcosa. Non si butta il bambino con l’acqua sporca, sarebbe un grave errore.

Poi arriva la dichiarazione di De Gennaro, contenente “solidarietà” agli stessi condannati, e mi si storce la bocca. Ma come? Questi vengono condannati definitivamente, il capo della polizia di oggi ne dispone l’allontanamento dal servizio in applicazione alla sentenza, chiede ufficialmente e pubblicamente scusa, e io dovrei buttare tutto perché il capo della polizia di ieri offre ai condannati la sua (umana) solidarietà? No. Non mi faccio togliere una simile soddisfazione civile. Mi è però impossibile non rilevare l’apparente incongruenza.

Del resto i responsabili, o perlomeno alcuni di loro, hanno pagato, poco o tanto, ma i Politici non sono mai stati sul banco degli imputati. E non si può certo pensare che una operazione come quella portata a termine nella Scuola Diaz, dove sono stati impiegati più di cinquecento appartenenti alle forze dell’ordine, non sia stata, se non ideata, almeno autorizzata dal potere politico. Potere politico che è rimasto vilmente nell’ombra, come se tutto si fosse svolto “a sua insaputa”, potere politico che si è defilato e che doveva in qualche modo “risarcire” gli autori di quel massacro per averli prima comandati o almeno autorizzati ad usare le maniere forti, poi promossi ai vertici della polizia e, cambiato il vento, lasciati soli davanti al tribunale che li ha condannati, senza assumersi le proprie responsabilità. Un bel casino istituzionale, non c’è che dire.

Forse la solidarietà di De Gennaro espressa ai condannati è da leggersi come parte della spiegazione di questo casino, e allora se ne ritrova il senso.

Mark Adin

Redazione
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8 commenti

  • Condivido parte di questa riflessione, ma come vuole lo stesso principio del dialogo, scrivo per spiegare perché alcuni punti non mi trovano d’accordo.

    Molto si potrebbe dire sulla storia di Manganelli, e a quel punto non sarebbe nemmeno necessario o interessante chiedersi se le sue scuse siano sincere; ma non è questa la sede.

    “La necessità della giustizia”; già, un mondo senza tribunali e carceri fa paura. Fa paura anche a me, che vorrei vederli sparire. Cosa succede se poi qualcuno si mette in testa di ucciderti, o di vivere rubando il pane ai pensionati?

    Però sarebbe ora di uscire dalla logica del difendersi nascondendosi dietro un poliziotto e chiudendo gli occhi per non vedere cosa farà. E’ una tentazione forte, umana, a cui nessuno di noi può sfuggire; e proprio per questo è il nostro principale nemico. Come sarebbe bello se lo facesse solo un pugno di ignoranti! Sarebbe scoppiata una rivoluzione il giorno dopo l’instaurazione della democrazia, e ne sarebbe scaturito un mondo perfetto! Invece, temo che ognuno di noi, in fondo in fondo, abbia gli stessi istinti e le stesse paure dell’ultimo degli ignoranti, di Attila, di Mussolini e di Jack lo squartatore… in quanto appartenenti alla stessa specie.

    Certo, questo non risponde alla domanda che pesa come un macigno: come fare, se non ci fosse la “giustizia”? Ho in mente alcune rivoluzioni che avevano una risposta prestampata e più che convincente, ma che poi hanno ricreato quella che chiamavano “giustizia borghese”, rinominandola in “proletaria”. Preferisco quindi pensarla come Foucault (che non riesco proprio a immaginare come un ragazzotto punk dalle idee grossolane e confuse), e dire quindi che non so il “come fare”, ma mi pare abbastanza assodaro il “come NON fare”. Così no, non perché non risolve il problema, non perché ne crea altri, ma perché lo aggrava.

    Esisterebbero i reati in un mondo giusto? Mah, si possono fare tante speculazioni, ma una cosa è certa: non in tutte le culture esistono l’omicidio e la violenza sessuale. Alcune civiltà giudicate arretrate perché non sanno costruire le automobili, sono in grado di discutere alla pari su qualsiasi argomento, ed evitare di prendere una decisione finché non sono tutti d’accordo. Un aspetto che possiamo banalizzare e denigrare finché ci pare, ma questo atteggiamento ricorda la favola della volpe e dell’uva, e certo non contribuisce a renderci più credibili. Ebbene, queste stesse società che la nostra autostima ci chiede umilmente di disprezzare, non hanno il carcere. Non perché hanno la pena di morte e l’esilio – li hanno, ma avvengono talmente raramente che è difficile dire che “fanno parte” del loro modo di vivere. Infatti, l’omicidio avviene statisticamente ogni 300 anni.

    Un dato troppo impressionante per essere liquidato facilmente. Credo si possa spiegare solo ammettendo che é la giustizia sociale (e non quella borghese o proletaria) a determinare i cosiddetti disordini, le minacce alla pace. Solo questo? No, realisticamente no, ma in buona parte. Non cerchiamo riparo dietro una presunta e ideologica ineluttabilità della cattiveria umana, ma concentriamoci sul dato reale di quell’unico omicidio in 300 anni. Mi pare che ne valga la pena, se attribuiamo un seppur minimo valore alla vita umana!

    Giustizia sociale… paroloni del passato, caduti in disuso con la scusa che è caduto il muro di Berlino, come se potesse esistere un rapporto tra le due cose. Alcuni elementi del pensiero dominante sono proprio strani.

    Giustizia sociale… ecco che si affollano nella mente immagini di candelotti di dinamite gettati dalle barricate, ghigliottine (che per la verità, storicamente, appartengono a una classe ben precisa…), gulag e chissà che altro.

    Giustizia sociale… quello che non viene in mente è la cosa più banale del mondo: una società che fa il possibile per essere più giusta.

    Più giusta… un concetto troppo vago? No. Non quanto sembra, almeno. Certo non si limita a una riduzione dello stipendio dei parlamentari e a galere più grandi con l’aria condizionata. E’ qualcosa di più. E’ un concetto che bisogna tenere a bada, forse… perché, se riesce a farsi strada, esige da noi la capacità scomoda e ossessiva di “andare oltre”. Obiettivi e risultati… beh, non si possono tracciare a tavolino, possono venire solo dall’esperienza, da lotte che per quanto dolore possano portare non saranno mai terribili quanto il perenne aggravarsi della situazione delle carceri, delle morti bianche, dei licenziamenti e degli sfratti, dei campi dove gli immigrati lavorano come schiavi, dei cpt, delle guerre per il petrolio. Tutte quelle cose che, se anche non si sommassero tra loro, renderebbero un po’ difficile accontentarsi di un ideologico “questo è quasi il migliore dei mondi possibili”.

    Del resto, ormai, perfino sinceri democratici contrari a qualsiasi forma di estremismo (altra parola interessante…) scrivono contro il carcere. Gente del Nord Europa, dove peraltro il carcere come lo intendiamo noi non esiste, gente che magari viene da paesi dove per non sovraffollare le prigioni… mette i condannati in lista d’attesa. Eppure sì, questi ragazzotti punk ben mascherati (in quanto si presentano come professori di sociologia e giusti che lavorano per la UE) denunciano la dannosità e l’inutilità del carcere, additando la sua… perdonate la brutta parola… la sua “funzione classista”.

    Eh già, e questo non esula dall’argomento del post. Perché se si vuole negare la funzione classista del carcere, bisogna spiegarmi come mai le pene dei manifestanti, decise sulla base di nessuna prova, arrivano fino a 20 anni, mentre quelle date ai poliziotti sono talmente ridicole da volatilizzarsi nell’indulto, riducendosi a una vacanza (forse pagata) di 5 anni.

    Più in generale, bisogna spiegarmi perché il carcere è abitato solo dai poveri. E perché ogni singola legge, regola, che ha a che fare col carcere, sembra proprio scritta per colpire chi non ha abbastanza soldi per esserne immune. Errori del sistema? Strano che chi ha regolamentato gli arresti domiciliari non sapesse che se si impedisce a una persona di uscire di casa e di telefonare, le si impedisce di cercare lavoro. Eh, se la costituente fosse stata formata da tecnici! 🙂

    Allargo troppo il discorso? No, non credo, io penso che sia necessario avere sempre una prospettiva. Quanto ai problemi immediati, al “qui e ora”… vorrei che si smetterre di parlare delle capacità teatrali di Manganelli, e ci si ricordasse che quei poliziotti sono usciti illesi dal processo, mentre altri hanno avuto condanne da omicidio per aver sfasciato qualche vetrina… sulla base della parola del PM: giurin giuretta!

  • come sempre, Mark, scrivi con grande equilibrio e umanità, anche di faccende disumane andate tutte storte. Sulla faccenda del g8 di Genova stamattina, invece, ho ascoltato la registrazione di un reading di Philopat, non molto convincente, il che non diminuisce la convinzione con cui sostengo e invito a sostenere la campagna 10 x 100 a favore dei compagni accusati di “devastazione e saccheggio” per i quali sono stati chiesti cento anni di carcere.
    Riguardo ai desparecidos: proprio in questi giorni sto rispolverando una vecchia neuropoesia sull’argomento che presenteremo al muzik-reading casalingo del 19/07

  • La vendetta di stato alla scuola Diaz sarebbe stata normale routine per un François Vidocq. Fortuna che è morto da 150 anni. Da un De Gennaro non te lo aspetteresti, a meno che …. Io non credo nella reincarnazione, ma la mia certezza comincia a vacillare.

  • Alle belle riflessioni di Mark e agli interessanti commenti vorrei aggiungere tre piccoli inviti:
    1. non dimentichiamo che se alcuni coraggiosi magistrati hanno cercato la verità, molti altri – nelle istituzioni e fuori – hanno fatto di tutto per coprire i misfatti. In sede politica il Pd ma, se la memoria non mi inganna anche Di Pietro e appoggiando con un voto parlamentare qualche “decreto Mastella” anche Rifondazione;
    2. se ancora non lo avete fatto, leggete “L’eclisse della democrazia” scritto (un anno fa) da Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci; è un libro fondamentale per capire le ragioni di Genova 2001, il dopo ma anche il futuro prossimo;
    3. Infine chiedo a chi passa da qui: è possibile ancora fare qualcosa perchè, almeno in sede politica, De Gennaro non la passi liscia?
    db

  • Beh, contando anche la Cancellieri (condannata in primo grado e poi ovviamente prosciolta per aver dettato al questore di Genova la sua versione dei fatti), pare che Monti stimi molto quelli che hanno qualcosa a che fare con il G8.

    Senza voler distogliere l’attenzione da questi fatti importanti, vorrei però segnalare come il problema non sia limitato *solo* a questa vicenda, o *solo* all’Italia. Le forze dell’ordine funzionano così. Il generale Micheal Jackson, che ha trattato la resa di Milosevic e ha guidato la missione in Pakistan, non ha fatto carriera semplicemente ordinando ai parà di sparare sui cattolici in piazza a Derry nel 72? Era capitano. E da lì, evidentemente, è iniziata una grossa scalata, perché in fin dei conti militari e polizia sono pagati per combattere il dissenso… con qualsiasi mezzo.

  • mi hai fatto venire in mente un’analoga discussione con mio padre. Era la sera del 15 dicembre 1969 e la televisione aveva appena dato la notizia del supposto suicidio di Pino Pinelli. L’hanno buttato dalla finestra – commentò mio padre. Ero io, invece, che non volevo crederci. Mio padre faceva, allora, il dirigente della Montedison e aveva probabilmente avuto occasione di vedere l’altro volto della gente per bene. Da allora, fu irremovibile su questa tesi e anche oggi, che ha 88 anni, è sempre convinto che Calabresi sia un assassino. Io non ho il cuore di deluderlo.

  • Le dichiarazioni di De Gennaro mi lasciano perplesso non per il contenuto, ma perché le ha rilasciate pubblicamente. Non dubito che esista in Italia una consistente quota della popolazione italiana, borghesia in gran parte, ma anche quote della classe medio-bassa che è convinta, come la borghesia, che le proteste e rivolte sociali siano un pericolo per il benessere generale o i propri interessi.
    Nel 2001 c’era la forte convinzione di poter “mettere in ordine” la società italiana, eliminando o riducendo al silenzio il conflitto sociale. L’asse P2-Massoneria-Opus Dei ha cercato di educare la società italiana e ridurla a un silenzioso proletariato “pronto per tutti gli usi”.
    Berlusconi però ha commesso troppi errori, tra cui un asse con la Lega non gradito agli altri soci e così arriva Monti, che deve garantire ai tre soci un buon funzionamento della vacca da spremere.

  • Il potere politico rimane ,come suo solito, nell’ ombra quando deve fare i conti con simili nefandezze, soprattutto quando sono accadute per la sua stessa ignavia. I De Gennaro di questo mondo fanno sempre quadrato e serrano i ranghi, non si sa mai. La magistratura ci prova a fare giustizia e qualche volta ci si avvicina , a suo rischio, si sà.

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